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“Dal fare nasce l’esigenza di imparare.” Due belle storie di didattica e di ristoro in Brianza.

Il Buono di In-Presa’, caffetteria e pasticceria didattica della scuola di formazione professionale della Cooperativa Sociale di In-Presa; ‘Saporinmente’, ristorante didattico dell’Istituto alberghiero Don Carlo Gnocchi. Due belle realtà di Carate Brianza.

Qualche settimana fa, sempre nell’intento di ambientarmi e di conoscere interessanti realtà del territorio in cui da poco vivo, mi sono imbattuta, e devo ammettere sorprendentemente immersa, in un’area industriale dismessa di ben 50 mila metri quadri situata a poca distanza dal centro di Carate Brianza: l’ex Formenti, ora Distretto del Gusto. Ho scritto ‘immersa’ perché le atmosfere di quell’architettura industriale di un tempo, per me di grande fascino, negli ultimi anni oltre ad essere oggetto di recupero, hanno accolto e dato nuovi inizi a svariate attività artigianali, e non solo… (avremo tempo per approfondire). Ebbene, un polo che non poteva non attirare la mia attenzione per la molteplice tipologia delle offerte produttive: due birrifici, due scuole con annessa bar-pasticceria e ristorante, entrambi didattici, un’osteria, una produzione di cioccolato e di succhi di frutta, e molto altro ancora.

In effetti, dopo essermi soffermata sulla mappa orientativa posta in uno degli ingressi, ho deciso di iniziare la mia esplorazione partendo con la visita delle due scuole che formano operatori per il settore ristorativo-turistico.

Il Buono di In-Presa’, caffetteria e pasticceria didattica della scuola di formazione professionale della Cooperativa Sociale di In-Presa. 

Guidata dalla preside della scuola Chiara Frigeni, ho ascoltato la bella storia che ha dato origine a questo progetto. Un sogno di una donna, ora divenuto realtà, che ha lasciato un segno tangibile per il suo operato e per il suo metodo educativo e formativo. Un modello maturato negli anni dopo esperienze di affido con ragazzi difficili, che, superato un tirocinio presso artigiani locali, sono stati inseriti nel mondo lavorativo.

Un percorso formativo basato sull’attenzione al singolo, sull’accoglienza di una famiglia, sul lavoro e poi sulla scuola, pensato da Emilia per adolescenti con grave dispersione scolastica che non riescono a concludere il triennio di scuola media, o con difficoltà ad inserirsi nel circuito di istruzione di secondo grado per situazioni di abbandono scolastico o per disagi personali. Una formazione che si concretizza con svariati laboratori tecnici – tra cui quello gastronomico – con un orto didattico e con gruppi di studio che, oltre agli insegnanti prevedono il supporto di un tutor. Tirocinio e stage esterni vengono svolti coinvolgendo gli stessi imprenditori, che in un certo senso riscoprono il valore della propria arte in un’attività che educhi attraverso il lavoro.

Una proposta educativa in crescita che attualmente conta duecentottanta allievi applicata a più percorsi formativi. Per il settore enogastronomico, a me caro, ha portato alla realizzazione di una caffetteria e pasticceria didattica – Il Buono di In-Presa – condotta sistematicamente dagli studenti con il costante supporto dei docenti di sala e di maestri pasticceri. Dal fare nasce l’esigenza di imparare, questa è la formula. Un’idea nata nel 1995, trasformata in un progetto strutturato nel 2000, fino alla concretizzazione nel 2005, con la realizzazione di un vero e proprio centro di formazione professionale.

In-Presa, una cooperativa sociale costituita da alcuni soci fondatori, soci lavoratori e ad altri amici di Emilia Vergani, ideatrice e fondatrice nativa di Carate Brianza. Il 30 ottobre si è celebrato il ventesimo anniversario della sua tragica morte, avvenuta in un incidente stradale durante un viaggio in Paraguay.

Saporinmente’, il ristorante didattico dell’Istituto alberghiero Don Carlo Gnocchi.

Cinzia, una scuola così bella non esiste!” E’ così che Tiziana Villa – preside dell’istituto alberghiero Don Carlo Gnocchi di Carate Brianza – ha esordito durante il nostro incontro. Un istituto paritario nato nel 2008 con l’idea di unire le materie teoriche con quelle pratiche. Vera didattica consolidata da solide basi culturali, che punta a far comprendere agli studenti quanto sia importante usare la testa per fare andare le mani.  Un progetto di studio che ha dato vita a “Saporinmente”, ristorante didattico annesso alla scuola.

Anche qui si impara facendo, ogni giorno, attraverso l’esperienza critica. Duecentoventi studenti che con la didattica e l’esperienza diretta rivalutano l’importanza della sala, perché la sala racconta ciò che avviene in cucina.

Esperienze maturate anche grazie alla collaborazione con un maestro di cucina quale Claudio Sadler. Un esempio autentico di genialità che ha permesso agli studenti di avvicinarsi al mondo reale della gastronomia, difficile ma appassionante. Un incontro che ha portato alla realizzazione di una serata e di un menù elaborato con gli studenti.

Qui di seguito le impressioni di uno di loro: “L’aver incontrato e riconosciuto in Claudio Sadler un maestro ha rappresentato per noi un dono e, al tempo stesso, una sfida. Nonostante i nostri dubbi, la gratitudine per aver potuto conoscere da vicino il suo genio e il suo esempio ha vinto l’iniziale timore di non essere all’altezza, grazie, soprattutto, alla sua disponibilità a realizzare con noi una serata che ci vedrà protagonisti anzitutto come uomini, prima ancora che come chef. In forza di questa reale collaborazione, abbiamo infatti capito che, per donare l’eccellenza ai propri ospiti o, come direbbe lui, “ committenti”, bisogna riconoscere un inestimabile valore alla preparazione in ambito scientifico e umanistico, alla padronanza della parola, alla cura del dettaglio e, infine, al servizio, che deve essere impeccabile.”

Durante la visita nelle sala della scuola mi ha colpito l’attenzione al bello delle arti, pittoriche e non solo. Opere ampiamente esposte donate da artisti, la cui collaborazione è sfociata in cene tematiche aperte al pubblico. Un modo per coniugare e valorizzare l’arte e la creatività personale degli studenti, espressa attraverso i loro piatti.

A conclusione della mia visita, dopo aver parlato a lungo con Tiziana, la preside, ho ascoltato alcuni suoi desideri per il futuro. Il primo, è che questo istituto alberghiero diventi un modello replicabile ovunque, per far si che chi ha talento trovi un luogo idoneo per imparare ed esprimersi. Il secondo, è che questa scuola paritaria, sia pur prevedendo delle borse di studio, sia più accessibile a chi ha difficoltà economiche nel sostenere la retta. Infine, il terzo, è rivolto alle istituzioni locali, affinché potenzino la rete dei mezzi pubblici, agevolando gli studenti che provengono da Milano.

Scrivere di scuola e di didattica nel settore della ristorazione di questi tempi non è facile. Ho scelto di farlo perché nonostante il periodo difficile, gli studenti di queste scuole continuano a prepararsi per il futuro, esprimendosi con l’unico mezzo in questo momento consentito: il food delivery. Sostenerli significa contribuire a sostenere le loro speranze, e soprattutto, questo settore messo così a dura prova.

 

Società Cooperativa Sociale In-Presa www.in-presa.it   Via Emilia Vergani, 14 – Carate Brianza (MB)        

Istituto Scolastico Don C. Gnocchi www.liceodongnocchi.eu  Piazza Risorgimento, 1 – Carate Brianza (MB) 

 

Photo credit Istituto Don Carlo Gnocchi
 



Una storia di agricoltura in Brianza: Cascina Bressanella

Ambientarsi nel luogo in cui si vive seguendo le proprie passioni, la mia prima regola, fondamentale per conoscere ed apprezzare ciò che ci circonda.

Da pochi mesi, nuovamente, ho voltato pagina e luogo di residenza. Vivo in Brianza, terra verde e piena di buona energia, quella della natura. Dalle mie finestre, dovunque io guardi, vedo alberi. Essenziale, vitale, rigenerante. Dopo settimane di peripezie e intoppi burocratici legati al mio trasloco, ma soprattutto al periodo difficile che tutti stiamo vivendo, finalmente ho iniziato ad esplorare il territorio che mi circonda. E’ così che ho passato l’estate, documentandomi sulle realtà circostanti – storiche artistiche e produttive – e andando su e giù per le vallate brianzole. Vi assicuro, davvero sorprendenti! Sapere che vicino a Monza e a Milano, città metropolitane, ci sia questo polmone verde è rassicurante e rincuorante.

Oltre a documentarmi, avendo la necessità di fare buoni acquisti, durante il mio girovagare ho conosciuto la Cascina Bressanella. Una storia di agricoltura nata ben trentacinque anni fa nella bella Brianza grazie alla passione di una donna, fondatrice e attuale socia, che, dopo aver conseguito una laurea in scienze delle produzioni animali, ha avviato un’attività a pochi chilometri dalla sede attuale dell’azienda agricola. Un allevamento di animali da cortile – anatre, faraone, capponi, polli ecc. – che col passare del tempo l’hanno portata ad ampliarsi. L’acquisto di un appezzamento di quattro ettari di terra e il desiderio di passare ad un allevamento di conigli, più vicino alla sua specializzazione universitaria e agli studi fatti su questo animale, diedero origine alla Cascina Bressanella. Negli anni a seguire l’attività agricola ebbe una nuova svolta: il passaggio alla coltivazione di frutta e ortaggi, ma soprattutto, l’intuizione dell’importanza della consegna a domicilio.

Creare una vera relazione di fidelizzazione con il cliente, capire i suoi gusti, proporre i prodotti di stagione, la portarono a raggiungere circa trecento consegne alla settimana nei comuni limitrofi di Monza. Un’attenzione al consumatore che la premiò con la costituzione nel 2015 di una vera società agricola istituita insieme alla figlia e il genero. E’ con lui, socio più attivamente impegnato nell’azienda, che mi sono confrontata chiacchierando a lungo. Laureato in consulenza pedagogica, compiuti i 33 anni, ha lasciato completamente la sua attività per impararne un’altra, nella natura e per la natura. Un richiamo all’agricoltura dovuto anche alle sue origini contadine. In realtà io credo che ogni esperienza lavorativa apporti conoscenza e capacità. Sono poi l’affiancamento, l’ascolto di chi ha maturato competenze, gli studi e la ricerca, a formarci ed avviarci verso nuove vite lavorative. Un impegno che ha permesso alla società il riconoscimento a IAP (imprenditori agricoli professionali).

Tre ettari circa di coltivazione orticola e un ettaro e mezzo dedicato alla frutta, tra cui uva da tavola, piccoli frutti, susine, il fico della Brianza, pere e mele, con il minimo utilizzo di prodotti fitosanitari e con prodotti ad estrazione vegetale che non contrastino insetti utili al ciclo vegetativo delle colture, nel rispetto della biodiversità. Gli impianti sono di nuova generazione ad alta densità, con piante messe a 80/100 cm l’una dall’altra. L’origine e il tracciamento dei semi garantiti dal passaporto. Dal 2015 è nata anche una piattaforma online attraverso la quale si può procedere direttamente con gli ordini di frutta e ortaggi. Oggi l’attività dell’azienda è supportata da due dipendenti stabili e dalla collaborazione stagionale con contratti a chiamata, che spesso rientrano nella cerchia dei ragazzi che si sono formati durante il tirocinio scolastico all’ ENAIP, l’ente di formazione professionale nel settore agricolo di Monticello Brianza: www.enaiplombardia.eu . Inoltre, con lo sportello-lavoro gestito dal comune di Casatenovo, la società si avvale di tirocini annuali che prevedono percorsi di recupero.

Alla mia domanda sull’eventuale difficoltà di reclutamento di personale, tanto lamentata dagli agricoltori, mi ha fatto piacere ascoltare la doppia valenza del problema. In effetti, spesso le difficoltà nascono nell’incapacità degli stessi imprenditori agricoli nel non vedere in profili giovani dei percorsi formativi, senza necessariamente aspettarsi operatori fatti e finiti. Per costruire bene, anche nella formazione agricola, serve tempo e pazienza.

Cascina Bressanella, una società di agricoltori attenta agli equilibri in tema di sostenibilità, la cui crescita è supportata da un consulente agronomo – che per sua formazione è vicino a metodologie a carattere biologico – e da un tecnico alimentare, per la fase della trasformazione. Una storia di agricoltura che rispetta la tradizione contemplando l’innovazione, il più possibile vicina alla natura e a disposizione del territorio.

Cascina Bressanella www.cascinabressanella.it
Via della Cascina Selva 11
Besana in Brianza (MB)




C’è chi sogna l’America… io sogno la Trinacria

Ricordando Ragusa… viaggiando ‘a casa’ tra ricordi e sapori.

C’è chi sogna l’America… per quanto mi riguarda nella lista dei miei desideri di viaggio c’è la bella Sicilia, un’isola dalla forma particolare un tempo chiamata Trinacria, simbolo araldico che raffigura una testa femminile con tre gambe piegate. Un nome composto da due termini sanscriti: ‘trna’ giardino e ‘krjia’ creato, il giardino dell’Eden. In realtà, a fine aprile, avevo programmato un bel viaggio itinerante purtroppo annullato per l’emergenza che ha coinvolto e sconvolto l’intero pianeta. Un viaggio sognato ma solo rimandato a tempi migliori. Il meno dei mali in questo periodo drammatico che tutti – chi più, chi meno – stiamo vivendo.

Ebbene, per consolarmi ho voluto rispolverare qualche ricordo di un tour fatto tempo fa a Ragusa. Una città che ho inizialmente conosciuto – come tanti – grazie alla nota serie televisiva tratta dai romanzi del caro Andrea Camilleri.  A dire la verità l’ho voluta visitare anche per la sensazione che fosse un po’ trascurata dai turisti che scelgono la Sicilia come meta di viaggio.

Ragusa, la città dei cento ponti e dei diciotto monumenti Unesco, l’isola nell’isola (capirete il significato di questa definizione dopo averla visitata). Da qualche anno dal punto di vista turistico le cose sono decisamente cambiate. Un successo certamente da attribuire alla ricchezza artistica, paesaggistica e gastronomica, ma anche all’estrema cura della città e alla gentilezza della sua gente. Grande merito di questa crescita, che tra l’altro ha permesso di migliorarne l’accoglienza e i servizi, è certamente da attribuire alla serie televisiva del Commissario Montalbano. Una fiction che oltre a valorizzare il territorio ragusano, ha contribuito a far conoscere alcune ricette della tradizione siciliana. Preparazioni con ingredienti del territorio che durante il mio soggiorno ragusano non mi sono fatta mancare. Arancini, busiate alle sarde, caponata, insalata siciliana (pomodoro, cipolla, capperi e origano), minne di Sant’Agata, pane cunzatu (pane condito), cassate di ricotta… e molti altri ancora.

Visto che domani vivremo tutti una Pasqua ‘blindata’ nelle nostre case, ho deciso di rispolverare i bei ricordi del mio viaggio preparando un dolce antico ragusano tipico del periodo pasquale. Una preparazione fatta di semplici ingredienti che non ha nulla a che vedere con la più ben nota cassata siciliana. Un cestino di pasta ripiena di tuma fresca – la cagliata, la prima fase della produzione del formaggio – e ricotta. 

Cassate di ricotta ragusane

Per il ripieno:

  • 1 kg di tuma
  • 500 gr. di ricotta
  • 450 gr. di zucchero
  • 2 uova
  • cannella, cioccolato e buccia grattugiata di limone

Per l’impasto:

  • 1 kg di farina di semola di grano duro
  • 3 tuorli
  • 50 gr di strutto
  • acqua q.b.

Amalgamare tuma e ricotta (o solo ricotta) con uova e zucchero, quindi aggiungere cannella, buccia di limone grattugiato e scaglie di cioccolato. Il cestino della cassata si prepara impastando la farina con i tuorli d’uovo, lo strutto e lo zucchero e un po’ d’acqua. Ottenuto un impasto omogeneo stenderlo per ricavare dei dischi di circa quindici centimetri di diametro e alcune listarelle di pasta di circa un centimetro che serviranno per rinforzare l’interno dei bordi. Farcire i cestini con la crema di ricotta e infornare per circa quindici minuti a 150°.

Una volta pronte spolverare con un po’ di cannella e scaglie di cioccolato, se di Modica ancora meglio! In abbinamento vi consiglio un buon Marsala secco, vino liquoroso siciliano dalla grande storia.

Buona Pasqua!

Fonte ricetta www.visitvigata.com

 




Un compleanno che non dimenticherò… al tempo del COVID-19

E’ iniziato tutto verso la fine del 2019, quasi in sordina, o meglio, forse eravamo noi che non volevamo dare il giusto peso alle notizie che iniziavano ad arrivare dalla Cina. Inconsapevoli di quello tsunami che a distanza di pochi mesi ci avrebbe travolto, siamo andati avanti con le nostre vite, sdrammatizzando… – certamente una brutta influenza, ma dai, non esageriamo – dicevamo così. E invece no. La triste realtà dei fatti lo sta dimostrando.

Da troppi anni siamo abituati a vivere con quella leggerezza che ci ha portato a non credere che una tragedia di tali dimensioni ci potesse coinvolgere. Ma com’è possibile?! Chi come me vive in Lombardia – la regione con più contagi, la regione dell’eccellenza sanitaria – se lo continua a chiedere. La verità è che non eravamo pronti. Lungi da me da fare polemiche, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento. Ora dobbiamo soprattutto ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questa emergenza… anzi, dobbiamo aiutarli e aiutarci con quel distanziamento sociale così necessario per fermare i contagi. Ci sarà tempo per le riflessioni da trarre da questa dura lezione.

Qualche giorno fa mi sono trovata ad ascoltare un anziano signore… “Sa, per la gente della mia età è peggio della guerra, posso dirglielo con certezza perché io l’ho vissuta. Noi anziani stiamo vivendo nella solitudine per la paura di imbatterci in questo nemico invisibile. La tecnologia aiuta, è vero, ma molti di noi non ha quella dimestichezza necessaria per l’uso. Certo, c’è anche la televisione, ma per combattere l’ansia spesso è meglio spegnerla.Ho ascoltato anche il racconto di una dottoressa commossa e nello stesso tempo traumatizzata nell’assistere i pazienti nei reparti Covid: “Un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era più…”

Nuovo coronavirus COVID-19

COVID-19, ‘CO’ per corona, ‘VI’ per virus, ‘D’ per disease (malattia in inglese) e ‘19’ per l’anno in cui è stato identificato. Un nuovo coronavirus particolarmente aggressivo e contagioso chiamato così per la sua forma di corona con le spine, il cui contagio comporta problemi respiratori più o meno gravi. Un’infezione che si è manifestata per la prima volta a Wuhuan, in Cina, i cui sintomi iniziali più comuni sono febbre, stanchezza e tosse secca. Si diffonde attraverso il semplice starnuto, o toccando bocca naso e occhi con le mani contaminate. Per limitarne la diffusione è fondamentale starnutire o tossire in un fazzoletto (da gettare subito in un cestino) o sulla piega del gomito, e lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone. Un paziente si può definire guarito dopo la risoluzione dei sintomi, e in via definitiva, dopo essere risultato negativo a due tamponi consecutivi effettuati a distanza di 24 ore uno dall’altro. L’indicazione per l’esecuzione del tampone in persone sintomatiche viene eseguita su indicazione medica. Vista la diffusione mondiale di questa nuova malattia l’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato il COVID-19 pandemia. (Fonte: Ministero della Salute)

Pochi giorni fa ho compiuto gli anni, un compleanno che non dimenticherò, vissuto virtualmente, pensando a cosa sarà della mia bella Italia. Mi sono chiesta se una volta finita questa emergenza continueremo a sentirci uniti come in questo momento difficile… se riusciremo a sostenere i nostri artigiani, mai come ora piegati dalla crisi. Se continueremo a sentire quel senso di appartenenza all’Italia che in questi giorni ci ha tutti emozionato e scaldato il cuore. L’anno scorso sotto la spinta di queste riflessioni ho deciso di dare al mio libro un titolo provocatorio: C’erano una volta gli italiani. Ebbene, io credo che dopo la fine di questa emergenza che ci sta colpendo così duramente saremo più saggi, ma soprattutto, sapremo difendere come non mai la nostra italianità. Ne abbiamo bisogno, TUTTI. Questa per lo meno è la mia speranza più grande. 

Covid-19, domande e risposte  www.salute.gov.it




BIT 2020. Spunti di riflessione di una viaggiatrice.

Andare alla BIT – la Borsa Internazionale del Turismo – è un po’ come viaggiare. Lo ripeto ogni anno, perché questo importante evento del settore turistico che si svolge a Milano da oltre trent’anni, accorcia le distanze favorendo l’incontro tra chi vive i territori e chi li vuole conoscere. Una passione – quella dei viaggi – che coinvolge sempre più persone e che non conosce età.

“Non viaggiamo per scappare dalla vita, ma perché la vita non ci sfugga.”

Una vetrina internazionale con grandi presenze che permette di scoprire nuove destinazioni, e che vede l’Italia al primo posto nel mondo nei desideri dei viaggi per la sua grande forza attrattiva storico-artistica e paesaggistica. I numeri lo dimostrano, tra l’altro numeri destinati sempre più a crescere.

Detto ciò, cosa chiedono i viaggiatori agli operatori turistici italiani alla fine di una vacanza? Più servizi.

Durante la mia visita oltre ai momenti di incontro e di confronto presso i vari stand espositivi, sono stati tanti gli approfondimenti e gli spunti di riflessione offerti dai numerosi convegni tematici. Sì, perché per favorire il turismo servono serie riflessioni, ma soprattutto servono operatori disposti a superare gli individualismi, quei paletti che intoppano sul concetto di fare sistema. Operatori con intraprendenza che sappiano ascoltare l’ospite, perché il viaggiatore di oggi vuole esperienze di viaggio più significative, che diano un impatto autentico nella propria vita. Vuole entrare in contatto con la realtà del luogo, con esperienze emozionali che lo arricchiscano. Mi riferisco a viaggiatori sempre più connessi, ma che non disdegnano scollegarsi dalla rete per qualche ora per favorire le connessioni con le persone

Oltre a ciò, per lo sviluppo del turismo – che vale il 13% del nostro PIL (dati Eurostat) – è necessario investire sempre più in accessibilità, sostenibilità e innovazione. Servono strategie di marketing territoriale, anche e soprattutto nelle stagioni in cui l’Italia non è favorita dai flussi turistici. Una destagionalizzazione che richiede programmazione e persone competenti che sappiano promuovere i tanti segmenti di questo comparto così importante per la nostra economia: il turismo enogastronomico, il turismo culturale, il turismo verde, il turismo del benessere, il cineturismo, il turismo sanitario, il turismo sportivo…

Purtroppo chi vive il territorio spesso non lo conosce a sufficienza, tasto dolente che ahimè – per esperienza diretta – mi trovo spesso a constatare. In tal senso può  venire in aiuto un’informazione diffusa: strumenti digitali e cartacei facilmente fruibili negli esercizi ricettivi costruiti sulla base delle domande abituali dei turisti. Aiuti concreti che fanno guadagnare reputazione a chi li crea e che aiutano il viaggiatore ad ambientarsi.

C’è tanto da fare, c’è tanta bella Italia da comunicare…

 


 




Nostalgia di Budapest… nostalgia di gulyás, la zuppa ungherese

Si sa, ogni volta che si torna da una vacanza, breve o lunga che sia, ci assale quella malinconia che i viaggiatori come me conoscono bene. Quel pizzico di tristezza che scaturisce dalla nostalgia dei luoghi e dalle esperienze vissute. Nonostante ciò, come ripeto spesso, l’importante è ‘andare’ per conoscere e dilatare il tempo. Oggi va così… già, sono da poco rientrata da Budapest, la ‘Parigi dell’Est’, dal 1873 la capitale dell’Ungheria. Una metropoli conosciuta per le sue fonti termali che il Danubio – ‘il re dei fiumi’ – divide in due: ‘Buda’, la parte più alta e storica; ‘Pest’, la parte più bassa e moderna. Un’elegante capitale europea nata dall’unione di tre città: Buda, Pest e and Óbuda – in cui ha sede il parlamento e la sinagoga più grande d’Europa, e la più antica metropolitana ‘continentale’ (1896).

La cosa più bella di Pest è la vista su Buda’ (proverbio ungherese).

Ebbene, in questa fredda sera di febbraio ho deciso di superare la malinconia post-viaggio preparandomi un piatto che amo molto: il gulyás ungherese tradizionale (gulasch). Una zuppa di antiche origini a base di carne di manzo e verdure che un tempo veniva cucinata all’aperto in grosse pentole poste direttamente sul fuoco. Una scelta quanto mai azzeccata, visto che, negli Stati Uniti e non solo, ogni 4 febbraio si celebra la zuppa con il ‘National soup day’. Qui di seguito riporto la ricetta che mi è stata data dal cuoco dell’Ungarikum Bisztrò, un locale tipico nel centro di Budapest in cui ho avuto il piacere di cenare.

Gulyás ungherese tradizionale

Ingredienti:

  • 400 grammi di manzo a cubetti
  • due pomodori
  • due carote a rondelle
  • un peperone giallo tritato
  • due cipolle tritate
  • 2 patate a dadi
  • mezzo gambo di sedano
  • uno spicchio d’aglio tritato
  • un cucchiaio di paprika dolce
  • due cucchiai di olio extra vergine di oliva
  • due litri d’acqua
  • sale e pepe

Preparazione:

Soffriggere il trito di cipolle, quindi aggiungere la carne rosolandola a fuoco vivo. Unire sale, pepe e semi di cumino macinato, mescolando di continuo. Aggiungere il pomodoro, il peperone, l’aglio e la paprika. Allungare con circa due litri d’acqua, e cuocere a fuoco moderato per circa 90 minuti. Quando la carne è quasi pronta aggiungere le altre verdure e cuocere per altri dieci minuti.

Il Gulyás ungherese tradizionale va servito con dei piccoli gnocchetti di pasta chiamati ‘csipetke’. Si preparano facendo un impasto con un uovo, cento grammi di farina e un pizzico di sale. Cuocerli in acqua bollente per alcuni muniti, scolarli e unirli alla zuppa.

Viszontlátásra (arrivederci) Budapest!

Hungarikum Bisztró – Budapest, Steindl Imre u. 13
www.hungarikumbisztro.hu




Poggiorsini, il paese dell’acqua pura e delle orchidee selvagge.

Siamo in provincia di Bari, più precisamente a Poggiorsini. Una piccola e silenziosa cittadina conosciuta per il suo ricco bacino idrogeologico e per la bellezza naturalistica del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Posta su una collina, gode di una posizione strategica anche per la vicinanza a luoghi dall’alto interesse storico e naturalistico come Matera, Altamura, Gravina e Trani. Una località della bella Puglia in passato feudo della famiglia Orsini, da cui prende il nome. Uno dei tanti piccoli borghi storici e paesaggistici che testimoniano la memoria italiana. Luoghi da custodire e riscoprire per non perdere la nostra identità.

Punto forte del paese è il “belvedere” situato in prossimità del piccolo centro storico. Una terrazza panoramica che spazia fino alla Basilicata che mi ha permesso di godere dei bei colori autunnali della terra in tutte le sue sfumature. Un territorio – quello di Poggiorsini e dei comuni circostanti – così suggestivo da trasformarsi in un set cinematografico per il film “L’ultimo Paradiso” con Riccardo Scamarcio, e per le riprese del cortometraggio “Mother” scritto e diretto da Antonio Costa. Ma non solo… a Gravina di Puglia, cittadina archeologica-naturalistica, sono state girate alcune scene di ‘No time to die’, 25esimo film della saga di James Bond.

Un’altra area del territorio molto affascinante è quella del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, 68.000 ettari di vaste aree collinari e pietrose intervallate da boschi di quercia e conifere, e dalla presenza di ben ottanta varietà di orchidee selvagge la cui fioritura migliore si concentra nel mese di aprile. Al suo interno è ben visibile il Castello medievale del Garagnone (1048), una roccaforte inserita in un sistema castellare federiciano, che in quell’epoca collegava le fortificazioni presenti sull’Alta Murgia al fine di segnalare vicendevolmente l’arrivo dei nemici. Un luogo di presidio del territorio dei Cavalieri Ospitalieri, frati guerrieri appartenenti all’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, che sorvegliavano il passaggio delle risorse alimentari e proteggevano i pellegrini diretti in Terra Santa. È consigliabile visitarla con guide esperte vista la mancanza di sentieri tracciati, ma anche e soprattutto per non imbattersi inaspettatamente in branchi di cinghiali. Animali sociali di indole pacifica che diventano aggressivi se si sentono minacciati, o se avvertono un pericolo per i loro cuccioli. Un’emergenza – quella della proliferazione incontrollata dei cinghiali – soggetta da tempo ad azioni di contenimento, ahimè ancora insufficienti, che riguardano molte aree naturalistiche italiane da nord a sud.

Dietro quell’apparente tranquillità che lì per lì ho percepito a Poggiorsini, c’è un pullulare di giovani iniziative imprenditoriali che puntano a favorire percorsi turistici ed enogastronomici. Nuove leve degli anni ‘80-‘90 che, dopo essersi formati, si stanno impegnando ‘insieme’ per uno sviluppo sostenibile che valorizzi le risorse locali. Tra queste ce n’è una in particolare: l’acqua di sorgente. Grazie alle sue proprietà qualitative analizzate e certificate dall’Università di Pisa viene imbottigliata, ma non solo… È in fase di progetto avanzato anche un centro benessere rurale basato sui benefici terapeutici delle acque termali e delle erbe dell’alta Murgia.

Un’acqua di alto livello qualitativo è anche un ingrediente fondamentale per ottenere una buona birra artigianale. Una produzione che riscuote sempre più successo e che ha fatto nascere nella piccola Poggiorsini ben due birrifici artigianali: il Social Brewery Alta Murgia – SBAM,  birrificio sociale che favorisce l’accesso al lavoro delle persone con disabilità, e il Birrificio degli Ostuni, fondato in un vecchio cinema.

Non si può scrivere di una città senza citare la sua cucina. Quella tradizionale murgese è molto ricca e variegata, e si basa sui prodotti spontanei della terra come il fungo Cardoncello, protagonista nelle tavole, ma non prevaricatore nei sapori. Non mancano i meravigliosi prodotti caseari e la tipica pasta fresca lavorata a mano. Con l’avvicinarsi del periodo natalizio però la voglia di assaggiare dolci della tradizione si fa sentire più che mai. A Poggiorsini grazie alle mani esperte di Giusy Cantore, quarta generazione di mastri fornai del Panificio Cantore, ho avuto il piacere di assistere alla preparazione dei Sasanelli, dolci speziati delle Murge a base di mandorle e vincotto inseriti dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT). Ecco come prepararli.

Impastare 500 grammi di farina setacciata con 30 grammi di cacao amaro, 200 millilitri di vincotto di fichi, 10 grammi di ammoniaca per dolci, 250 grammi di mandorle di Toritto tostate e tritate (tipiche pugliesi), 125 grammi di zucchero, 100 ml di buon olio extra vergine di oliva, un limone grattugiato, cannella e chiodi di garofano in polvere. Una volta ottenuto un composto omogeneo porre delle cucchiaiate su una teglia imburrata e infarinata, e infornare per 15 minuti a 160 gradi.

Un’idea golosa per un Buon Natale della tradizione.

 




L’ambiente va salvaguardato, ma soprattutto, va rigenerato! NeoruraleHub

Rigenerare l’ambiente… ma come?! Per certo ognuno di noi può qualcosa. Ad esempio, potremmo iniziare tutti semplicemente piantando un albero. A dir la verità c’è una legge dello stato – la Legge n. 10 del 14 gennaio 2013 – che prevede l’obbligo per i comuni sopra i 15.000 abitanti di porre a dimora un albero nel territorio comunale per ogni bambino nato o adottato. Per dirla tutta è stato persino istituito presso il Ministero dell’Ambiente un Comitato competente per lo sviluppo del verde pubblico, con lo scopo di vigilare e ricevere le informazioni specifiche riguardo la piantumazione. Eppure in molti comuni tale obbligo non viene rispettato a causa della mancanza di fondi. Per lo meno così giustificano gli amministratori. Che tristezza…

La questione sulla salvaguardia dell’ambiente e sui cambiamenti climatici è cosa seria e ormai dibattuta da anni. La verità è che più che dibattiti servono sempre più azioni concrete che mirino a ricreare ecosistemi. A questo proposito mi torna alla mente un film documentario del 2014 – Il sale della terra – che testimonia come in vent’anni il fotografo brasiliano Sebastião Salgado, insieme alla moglie Lélia Deluiz Wanick, abbiano ‘rigenerato ambiente’ in un’area desertica di 600 ettari. La deforestazione selvaggia di questo territorio del Brasile adibito un tempo a pascoli inaridì la terra, lasciando desolazione e assenza di natura. Salgado, deciso a ricostituire quella biodiversità che era stata distrutta, ripiantò nella sua proprietà circa due milioni di alberi ricreando l’ambiente di un tempo, rigenerando natura. Un film documentario istruttivo che tutti dovremmo vedere e su cui molto dovremmo riflettere.

Fortunatamente è in atto da tempo un movimento incessante animato dalle nuove generazioni: Fridays for Future. Sono molto orgogliosa di questi giovani, perché hanno una mentalità aperta e determinata a fermare i meccanismi che stanno portando la Terra a ribellarsi. L’obiettivo delle manifestazioni in corso in tutto il mondo è infatti quello di far rispettare l’Accordo di Parigi del 2015 finalizzato a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi Celsius.

Dobbiamo agire velocemente, perché sono convinta che la Terra ci possa salvare, se sapremo salvare lei.

Riflessioni che mi hanno portato a cogliere con interesse l’invito a visitare NeoruraleHub, un comprensorio rurale di 1.700 ettari nato nel 1996 tra le province di Pavia e Milano, grazie alla volontà e alla passione per l’ambiente dell’ingegner Natta, suocero dell’ing. Piero Manzoni, Amministratore Delegato di questa realtà. Un territorio un tempo deserto agricolo che mi ha riportato alla mente l’esempio di Sebastião Salgado in Brasile. In oltre vent’anni di ricerca e sviluppo è stato trasformato in un modello di sostenibilità agricola ed ambientale in cui si sono ricreate le giuste condizioni di biodiversità.

Un’area rinaturalizzata con circa 78 ettari di bosco e 107 ettari di aeree umide che accoglie l’Innovation Center Giulio Natta, centro di risorse per start up innovative nel mondo dell’agrifood. Sede del comparto di agricoltura 4.0, dell’unità di ricerca e sviluppo su nuove biotecnologie per l’agricoltura e l’ambiente, e di quella specializzata in efficientamento energetico dei processi industriali delle aziende agri-food. In parallelo è stato creato il brand ‘Cavalieri d’Italia’ che vanta la certificazione ‘Biodiversity Alliance’ da parte di CCPB, ente che certifica prodotti biologici ed eco-sostenibili, agroalimentari e non.

Un incubatore di startup che accoglie laboratori di ricerca e soluzioni innovative e sostenibili nell’ambito agrifood. Di particolare interesse la presenza di un campo sperimentale per lo sviluppo di estratti di piante medicinali, in particolare dell’epilobio, una pianta nota per la cura delle affezioni alla prostata e alla vescica.

Una natura rigenerata che riequilibra l’attività umana con l’ambiente.

Innovation Center Giulio Natta – Giussago (PV)

www.neoruralehub.com




Settembre, tempo di noci. Vi porto nel noceto più grande d’Italia!

Eraclea… uno dei miei luoghi del cuore, una città di mare e di grandi vedute verdi in provincia di Venezia con cui da anni ho instaurato un forte legame. Un richiamo dettato non solo dalle mie origini. Di fatto, i profumi della sua grande pineta e la nostalgia delle mie lunghe passeggiate all’alba in riva al mare, mi riportano lì spesso, per vivere il territorio ripristinando i giusti equilibri. Semplice e naturale benessere, e un pizzico di poesia che fa bene all’anima. Ma la poesia si rompe facilmente! Sì, soprattutto quando riscontro che importanti realtà locali sono da molti ignorate. Non mi riferisco certo ai turisti, ma ad alcune persone attivamente coinvolte nelle economie dei comuni circostanti che snobbano e sottovalutano le potenzialità di questo luogo. Un inutile campanilismo che non fa bene al territorio. Eh sì, siamo alle solite…

La realtà a cui mi riferisco è quella di un noceto di oltre 140 ettari, la prima azienda privata produttrice di noci in Italia: ‘Cuor di Noce’ della Tenuta La Spiga di Eraclea. Un’oasi incontaminata di grande bellezza paesaggistica nata nei primi anni del ’900 condotta da Alessandro Gaggia, naturale erede della famiglia fondatrice. Un fiore all’occhiello della regione Veneto che negli ultimi decenni si è contraddistinta nella nocicoltura italiana con ben 757 ettari di impianti. Le varietà più diffuse sono la californiana Chandler e la francese Lara.

Alessandro Gaggia, nell’accompagnarmi in visita alla Tenuta, mi ha raccontato il lavoro di bonifica che nei primi anni del ‘900 ha permesso di recuperare ben 3.650 ettari di terra destinati all’agricoltura e all’allevamento. Fu il bisnonno Achille l’artefice di questa attività, che col passare del tempo si è trasformata in una fiorente azienda agricola specializzata nella coltivazione delle noci. Un fondo chiuso che tutela la natura e salvaguardia la flora e la fauna autoctona. Un ambiente davvero suggestivo in cui le pratiche agricole sostenibili e le tecniche innovative vanno di pari passo. Recentemente sono state disposte quaranta telecamere sugli alberi che insieme alle sonde nel terreno trasmettono dati per comprendere il fabbisogno idrico delle piante.

Ma ora parliamo di noci…

Il Noce – nome scientifico Juglans regia – è un albero maestoso e longevo di origini asiatiche. Il suo frutto, la noce, è contenuta nel mallo, parte esterna verde e carnosa che si apre a maturazione. La parte che noi tutti conosciamo è il gheriglio, il buonissimo seme del frutto dalle tante proprietà. Il Veneto produce il 30% del prodotto nazionale. Venezia – considerata la capitale della noce – produce un terzo della produzione veneta.

Raccolta : nel mese di Settembre è ormai tempo di raccolta! Ogni anno tra Settembre e Novembre, quando il mallo si scurisce e tende a rompersi, si procede alla raccolta delle noci che poi vanno essiccate su graticci all’aria aperta.

Proprietà : le noci sono grandi alleate del benessere del nostro organismo per le loro proprietà nutrizionali benefiche. Sono ricche di vitamine, antiossidanti, omega 3 e sali minerali. Il loro consumo regolare previene le malattie cardiovascolari e aiuta ad abbassare i valori del colesterolo ‘cattivo’. Sono energetiche e contrastano l’ipertensione arteriosa.

Consumo giornaliero : tre noci al giorno e levi il medico di torno! Essendo molto caloriche però non bisogna esagerare. Tre noci al giorno, pari a circa 15 grammi, comportano 100 kilocalorie.

Conservazione : le noci non amano il caldo né l’umidità, quindi vanno conservate in un luogo fresco, asciutto e lontano da fonti di calore.

Con il guscio o senza? Col guscio direi che è tutta un’altra storia! Si ha una maggiore garanzia di conservazione e di qualità, evitando così rischi di ossidazione e di contaminazione di muffe.

Una curiosità: i gusci di noce macinati e ridotti in polvere vengono utilizzati nel settore del restauro per sabbiature delicate su dipinti e opere lignee.

E in cucina… Io con le noci ho fatto il pesto!

Semplice da preparare e buonissimo per condire la pasta. Si ottiene frullando 50 grammi di basilico lavato e asciugato su un canovaccio, unito a due spicchi d’aglio, 6 gherigli di noci e un pizzico di sale grosso.

Successivamente aggiungere 100 ml di buon olio extra vergine di oliva, 5 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato e 2 di pecorino. Frullare il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo da conservare in frigorifero. Una vera delizia di sapori e di profumi!

Tenuta La Spiga – Cuor di Noce www.cuordinoce.it

Via Sette Casoni, 4 loc. Torre di Fine – Eraclea (VE)




Saranda, nuova meta albanese del turismo low cost. Le mie impressioni.

Devo ammettere che nel momento in cui mi è stato proposto un viaggio a Saranda – località a sud dell’Albania nuova frontiera del turismo low-cost – lì per lì sono rimasta un po’ perplessa. Una destinazione che non consideravo e che non ha mai suscitato particolarmente il mio interesse. Una città in una nazione extra UE la cui situazione politica degli ultimi anni non ha contribuito positivamente a livello turistico. Le cose però stanno iniziando a cambiare. La bellezza delle sue coste e i pacchetti turistici a tariffe vantaggiose stanno contribuendo a far diventare l’Albania una nuova frontiera del turismo low cost. Ebbene, fatte queste considerazioni, dopo qualche ricerca e la visione di alcuni video, incuriosita non ho esitato a partire. 

 Una volta giunta a Saranda la mia espressione è ritornata ad essere perplessa.

La vista della costa deturpata da schiere di palazzi, uno a ridosso dell’altro, per certo non mi ha suscitato un impatto positivo. Un quadro certamente non tra i più belli che mi ha fatto pensare ad una corsa verso un turismo sconsiderato, che sfrutta le risorse senza tener conto dell’equilibro di cui ogni territorio necessita. Una prima impressione non proprio piacevole che mi ha fatto pensare ad un insediamento di nuovi ricchi del post comunismo. Imprenditori del nuovo capitalismo legati a vecchie credenze di un tempo passato, che in realtà ancora del tutto non lo è. Vedere all’ingresso di un hotel a quattro stelle, certamente non paragonabili alle nostre, simboli scaccia malocchio come trecce d’aglio mi è parso davvero strano. Eppure…

Eppure dopo una settimana di permanenza posso dire di aver visitato, sia pur per una piccola parte, un paese dalle spiagge bellissime la cui memoria è stata minata da una lunga dittatura. Un paese in cui la presenza di bunker a testimonianza del passato supera di gran lunga gli edifici religiosi, per lo più distrutti durante il regime.

Qui di seguito alcune delle mie tappe naturalistiche e gastronomiche.  

Saranda, una città costiera che vanta siti archeologici e bellissime spiagge di ghiaia e di sabbia, con comodi lidi attrezzati. Di notte particolarmente vivace, forse per i miei gusti un po’ troppo. Per certo una meta ideale per chi ama il mare e la movida.

Lo chiamano ‘occhio blu’, in realtà il nome esatto è Syri i Kalter. Una sorgente carsica a sedici km da Saranda con una temperatura costante tutto l’anno di dieci gradi. Bagnarsi nelle sue acque cristalline vi assicuro che è altamente rigenerante!

Ksamil certamente rimarrà la località balneare albanese di cui avrò più nostalgia. La sua spiaggia bianca, il color turchese del mare, e le quattro piccole isole su cui si affaccia, mi hanno donato momenti di benessere e di vera emozione. Situata a circa diciassette chilometri da Saranda è una tappa davvero irrinunciabile!

Gjirokastër, un borgo storico situato a sessanta chilometri da Saranda e a quaranta dal confine con la Grecia. Una città riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità tra le più antiche dell’Albania, in cui passeggiare tra case di pietra e botteghe di artigianato locale. 

Anche se la tradizione gastronomica albanese è più legata alle preparazioni a base di carne, durante il mio soggiorno ho assaggiato piatti di pesce davvero ben fatti.  Tra le tipicità locali ho apprezzato il Fërgesë, un piatto a base di ricotta, peperoni rossi, pomodori, cipolle e spezie che vengono cucinati insieme. Il prodotto finale è una salsa densa, che accompagnata con un po’ di pane è davvero deliziosa. Per quanto riguarda i vini locali dopo vari tentativi di assaggio mi sono arresa. Davvero un’impresa capire la provenienza e l’origine… per non parlare delle temperature sbagliate a cui vengono serviti. Ahimè… qui i tempi non sono ancora maturi per i degustatori.

In conclusione… cosa mi è piaciuto di più e cosa di meno di Saranda.

Cosa mi è piaciuto di più? Senza dubbio le spiagge e il colore del mare.

Cosa mi è piaciuto di meno? L’improvvisazione nell’accoglienza turistica e la cementificazione selvaggia. Per non parlare delle condizioni del manto stradale e della gestione dei rifiuti. Passeggiare richiede uno sguardo attento sul suolo per non incappare in buche e quant’altro.

Cosa servirebbe? Certamente servono investimenti nei servizi turistici, nel potenziamento dei mezzi pubblici assolutamente insufficienti, nella sicurezza stradale e soprattutto nella formazione alberghiera in toto. Resta il fatto che la riviera albanese rappresenta per il paese un comparto economico davvero importante. Per come l’ho vista, serve ancora almeno un decennio di buone pratiche. Se così sarà, ci sono ottime prospettive per il miglioramento economico di una nazione con un reddito medio pro capite di 300/400 euro mensili.

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