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BIT 2020. Spunti di riflessione di una viaggiatrice.

Andare alla BIT – la Borsa Internazionale del Turismo – è un po’ come viaggiare. Lo ripeto ogni anno, perché questo importante evento del settore turistico che si svolge a Milano da oltre trent’anni, accorcia le distanze favorendo l’incontro tra chi vive i territori e chi li vuole conoscere. Una passione – quella dei viaggi – che coinvolge sempre più persone e che non conosce età.

“Non viaggiamo per scappare dalla vita, ma perché la vita non ci sfugga.”

Una vetrina internazionale con grandi presenze che permette di scoprire nuove destinazioni, e che vede l’Italia al primo posto nel mondo nei desideri dei viaggi per la sua grande forza attrattiva storico-artistica e paesaggistica. I numeri lo dimostrano, tra l’altro numeri destinati sempre più a crescere.

Detto ciò, cosa chiedono i viaggiatori agli operatori turistici italiani alla fine di una vacanza? Più servizi.

Durante la mia visita oltre ai momenti di incontro e di confronto presso i vari stand espositivi, sono stati tanti gli approfondimenti e gli spunti di riflessione offerti dai numerosi convegni tematici. Sì, perché per favorire il turismo servono serie riflessioni, ma soprattutto servono operatori disposti a superare gli individualismi, quei paletti che intoppano sul concetto di fare sistema. Operatori con intraprendenza che sappiano ascoltare l’ospite, perché il viaggiatore di oggi vuole esperienze di viaggio più significative, che diano un impatto autentico nella propria vita. Vuole entrare in contatto con la realtà del luogo, con esperienze emozionali che lo arricchiscano. Mi riferisco a viaggiatori sempre più connessi, ma che non disdegnano scollegarsi dalla rete per qualche ora per favorire le connessioni con le persone

Oltre a ciò, per lo sviluppo del turismo – che vale il 13% del nostro PIL (dati Eurostat) – è necessario investire sempre più in accessibilità, sostenibilità e innovazione. Servono strategie di marketing territoriale, anche e soprattutto nelle stagioni in cui l’Italia non è favorita dai flussi turistici. Una destagionalizzazione che richiede programmazione e persone competenti che sappiano promuovere i tanti segmenti di questo comparto così importante per la nostra economia: il turismo enogastronomico, il turismo culturale, il turismo verde, il turismo del benessere, il cineturismo, il turismo sanitario, il turismo sportivo…

Purtroppo chi vive il territorio spesso non lo conosce a sufficienza, tasto dolente che ahimè – per esperienza diretta – mi trovo spesso a constatare. In tal senso può  venire in aiuto un’informazione diffusa: strumenti digitali e cartacei facilmente fruibili negli esercizi ricettivi costruiti sulla base delle domande abituali dei turisti. Aiuti concreti che fanno guadagnare reputazione a chi li crea e che aiutano il viaggiatore ad ambientarsi.

C’è tanto da fare, c’è tanta bella Italia da comunicare…

 


 




Nostalgia di Budapest… nostalgia di gulyás, la zuppa ungherese

Si sa, ogni volta che si torna da una vacanza, breve o lunga che sia, ci assale quella malinconia che i viaggiatori come me conoscono bene. Quel pizzico di tristezza che scaturisce dalla nostalgia dei luoghi e dalle esperienze vissute. Nonostante ciò, come ripeto spesso, l’importante è ‘andare’ per conoscere e dilatare il tempo. Oggi va così… già, sono da poco rientrata da Budapest, la ‘Parigi dell’Est’, dal 1873 la capitale dell’Ungheria. Una metropoli conosciuta per le sue fonti termali che il Danubio – ‘il re dei fiumi’ – divide in due: ‘Buda’, la parte più alta e storica; ‘Pest’, la parte più bassa e moderna. Un’elegante capitale europea nata dall’unione di tre città: Buda, Pest e and Óbuda – in cui ha sede il parlamento e la sinagoga più grande d’Europa, e la più antica metropolitana ‘continentale’ (1896).

La cosa più bella di Pest è la vista su Buda’ (proverbio ungherese).

Ebbene, in questa fredda sera di febbraio ho deciso di superare la malinconia post-viaggio preparandomi un piatto che amo molto: il gulyás ungherese tradizionale (gulasch). Una zuppa di antiche origini a base di carne di manzo e verdure che un tempo veniva cucinata all’aperto in grosse pentole poste direttamente sul fuoco. Una scelta quanto mai azzeccata, visto che, negli Stati Uniti e non solo, ogni 4 febbraio si celebra la zuppa con il ‘National soup day’. Qui di seguito riporto la ricetta che mi è stata data dal cuoco dell’Ungarikum Bisztrò, un locale tipico nel centro di Budapest in cui ho avuto il piacere di cenare.

Gulyás ungherese tradizionale

Ingredienti:

  • 400 grammi di manzo a cubetti
  • due pomodori
  • due carote a rondelle
  • un peperone giallo tritato
  • due cipolle tritate
  • 2 patate a dadi
  • mezzo gambo di sedano
  • uno spicchio d’aglio tritato
  • un cucchiaio di paprika dolce
  • due cucchiai di olio extra vergine di oliva
  • due litri d’acqua
  • sale e pepe

Preparazione:

Soffriggere il trito di cipolle, quindi aggiungere la carne rosolandola a fuoco vivo. Unire sale, pepe e semi di cumino macinato, mescolando di continuo. Aggiungere il pomodoro, il peperone, l’aglio e la paprika. Allungare con circa due litri d’acqua, e cuocere a fuoco moderato per circa 90 minuti. Quando la carne è quasi pronta aggiungere le altre verdure e cuocere per altri dieci minuti.

Il Gulyás ungherese tradizionale va servito con dei piccoli gnocchetti di pasta chiamati ‘csipetke’. Si preparano facendo un impasto con un uovo, cento grammi di farina e un pizzico di sale. Cuocerli in acqua bollente per alcuni muniti, scolarli e unirli alla zuppa.

Viszontlátásra (arrivederci) Budapest!

Hungarikum Bisztró – Budapest, Steindl Imre u. 13
www.hungarikumbisztro.hu




Poggiorsini, il paese dell’acqua pura e delle orchidee selvagge.

Siamo in provincia di Bari, più precisamente a Poggiorsini. Una piccola e silenziosa cittadina conosciuta per il suo ricco bacino idrogeologico e per la bellezza naturalistica del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Posta su una collina, gode di una posizione strategica anche per la vicinanza a luoghi dall’alto interesse storico e naturalistico come Matera, Altamura, Gravina e Trani. Una località della bella Puglia in passato feudo della famiglia Orsini, da cui prende il nome. Uno dei tanti piccoli borghi storici e paesaggistici che testimoniano la memoria italiana. Luoghi da custodire e riscoprire per non perdere la nostra identità.

Punto forte del paese è il “belvedere” situato in prossimità del piccolo centro storico. Una terrazza panoramica che spazia fino alla Basilicata che mi ha permesso di godere dei bei colori autunnali della terra in tutte le sue sfumature. Un territorio – quello di Poggiorsini e dei comuni circostanti – così suggestivo da trasformarsi in un set cinematografico per il film “L’ultimo Paradiso” con Riccardo Scamarcio, e per le riprese del cortometraggio “Mother” scritto e diretto da Antonio Costa. Ma non solo… a Gravina di Puglia, cittadina archeologica-naturalistica, sono state girate alcune scene di ‘No time to die’, 25esimo film della saga di James Bond.

Un’altra area del territorio molto affascinante è quella del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, 68.000 ettari di vaste aree collinari e pietrose intervallate da boschi di quercia e conifere, e dalla presenza di ben ottanta varietà di orchidee selvagge la cui fioritura migliore si concentra nel mese di aprile. Al suo interno è ben visibile il Castello medievale del Garagnone (1048), una roccaforte inserita in un sistema castellare federiciano, che in quell’epoca collegava le fortificazioni presenti sull’Alta Murgia al fine di segnalare vicendevolmente l’arrivo dei nemici. Un luogo di presidio del territorio dei Cavalieri Ospitalieri, frati guerrieri appartenenti all’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, che sorvegliavano il passaggio delle risorse alimentari e proteggevano i pellegrini diretti in Terra Santa. È consigliabile visitarla con guide esperte vista la mancanza di sentieri tracciati, ma anche e soprattutto per non imbattersi inaspettatamente in branchi di cinghiali. Animali sociali di indole pacifica che diventano aggressivi se si sentono minacciati, o se avvertono un pericolo per i loro cuccioli. Un’emergenza – quella della proliferazione incontrollata dei cinghiali – soggetta da tempo ad azioni di contenimento, ahimè ancora insufficienti, che riguardano molte aree naturalistiche italiane da nord a sud.

Dietro quell’apparente tranquillità che lì per lì ho percepito a Poggiorsini, c’è un pullulare di giovani iniziative imprenditoriali che puntano a favorire percorsi turistici ed enogastronomici. Nuove leve degli anni ‘80-‘90 che, dopo essersi formati, si stanno impegnando ‘insieme’ per uno sviluppo sostenibile che valorizzi le risorse locali. Tra queste ce n’è una in particolare: l’acqua di sorgente. Grazie alle sue proprietà qualitative analizzate e certificate dall’Università di Pisa viene imbottigliata, ma non solo… È in fase di progetto avanzato anche un centro benessere rurale basato sui benefici terapeutici delle acque termali e delle erbe dell’alta Murgia.

Un’acqua di alto livello qualitativo è anche un ingrediente fondamentale per ottenere una buona birra artigianale. Una produzione che riscuote sempre più successo e che ha fatto nascere nella piccola Poggiorsini ben due birrifici artigianali: il Social Brewery Alta Murgia – SBAM,  birrificio sociale che favorisce l’accesso al lavoro delle persone con disabilità, e il Birrificio degli Ostuni, fondato in un vecchio cinema.

Non si può scrivere di una città senza citare la sua cucina. Quella tradizionale murgese è molto ricca e variegata, e si basa sui prodotti spontanei della terra come il fungo Cardoncello, protagonista nelle tavole, ma non prevaricatore nei sapori. Non mancano i meravigliosi prodotti caseari e la tipica pasta fresca lavorata a mano. Con l’avvicinarsi del periodo natalizio però la voglia di assaggiare dolci della tradizione si fa sentire più che mai. A Poggiorsini grazie alle mani esperte di Giusy Cantore, quarta generazione di mastri fornai del Panificio Cantore, ho avuto il piacere di assistere alla preparazione dei Sasanelli, dolci speziati delle Murge a base di mandorle e vincotto inseriti dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT). Ecco come prepararli.

Impastare 500 grammi di farina setacciata con 30 grammi di cacao amaro, 200 millilitri di vincotto di fichi, 10 grammi di ammoniaca per dolci, 250 grammi di mandorle di Toritto tostate e tritate (tipiche pugliesi), 125 grammi di zucchero, 100 ml di buon olio extra vergine di oliva, un limone grattugiato, cannella e chiodi di garofano in polvere. Una volta ottenuto un composto omogeneo porre delle cucchiaiate su una teglia imburrata e infarinata, e infornare per 15 minuti a 160 gradi.

Un’idea golosa per un Buon Natale della tradizione.

 




Saranda, nuova meta albanese del turismo low cost. Le mie impressioni.

Devo ammettere che nel momento in cui mi è stato proposto un viaggio a Saranda – località a sud dell’Albania nuova frontiera del turismo low-cost – lì per lì sono rimasta un po’ perplessa. Una destinazione che non consideravo e che non ha mai suscitato particolarmente il mio interesse. Una città in una nazione extra UE la cui situazione politica degli ultimi anni non ha contribuito positivamente a livello turistico. Le cose però stanno iniziando a cambiare. La bellezza delle sue coste e i pacchetti turistici a tariffe vantaggiose stanno contribuendo a far diventare l’Albania una nuova frontiera del turismo low cost. Ebbene, fatte queste considerazioni, dopo qualche ricerca e la visione di alcuni video, incuriosita non ho esitato a partire. 

 Una volta giunta a Saranda la mia espressione è ritornata ad essere perplessa.

La vista della costa deturpata da schiere di palazzi, uno a ridosso dell’altro, per certo non mi ha suscitato un impatto positivo. Un quadro certamente non tra i più belli che mi ha fatto pensare ad una corsa verso un turismo sconsiderato, che sfrutta le risorse senza tener conto dell’equilibro di cui ogni territorio necessita. Una prima impressione non proprio piacevole che mi ha fatto pensare ad un insediamento di nuovi ricchi del post comunismo. Imprenditori del nuovo capitalismo legati a vecchie credenze di un tempo passato, che in realtà ancora del tutto non lo è. Vedere all’ingresso di un hotel a quattro stelle, certamente non paragonabili alle nostre, simboli scaccia malocchio come trecce d’aglio mi è parso davvero strano. Eppure…

Eppure dopo una settimana di permanenza posso dire di aver visitato, sia pur per una piccola parte, un paese dalle spiagge bellissime la cui memoria è stata minata da una lunga dittatura. Un paese in cui la presenza di bunker a testimonianza del passato supera di gran lunga gli edifici religiosi, per lo più distrutti durante il regime.

Qui di seguito alcune delle mie tappe naturalistiche e gastronomiche.  

Saranda, una città costiera che vanta siti archeologici e bellissime spiagge di ghiaia e di sabbia, con comodi lidi attrezzati. Di notte particolarmente vivace, forse per i miei gusti un po’ troppo. Per certo una meta ideale per chi ama il mare e la movida.

Lo chiamano ‘occhio blu’, in realtà il nome esatto è Syri i Kalter. Una sorgente carsica a sedici km da Saranda con una temperatura costante tutto l’anno di dieci gradi. Bagnarsi nelle sue acque cristalline vi assicuro che è altamente rigenerante!

Ksamil certamente rimarrà la località balneare albanese di cui avrò più nostalgia. La sua spiaggia bianca, il color turchese del mare, e le quattro piccole isole su cui si affaccia, mi hanno donato momenti di benessere e di vera emozione. Situata a circa diciassette chilometri da Saranda è una tappa davvero irrinunciabile!

Gjirokastër, un borgo storico situato a sessanta chilometri da Saranda e a quaranta dal confine con la Grecia. Una città riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità tra le più antiche dell’Albania, in cui passeggiare tra case di pietra e botteghe di artigianato locale. 

Anche se la tradizione gastronomica albanese è più legata alle preparazioni a base di carne, durante il mio soggiorno ho assaggiato piatti di pesce davvero ben fatti.  Tra le tipicità locali ho apprezzato il Fërgesë, un piatto a base di ricotta, peperoni rossi, pomodori, cipolle e spezie che vengono cucinati insieme. Il prodotto finale è una salsa densa, che accompagnata con un po’ di pane è davvero deliziosa. Per quanto riguarda i vini locali dopo vari tentativi di assaggio mi sono arresa. Davvero un’impresa capire la provenienza e l’origine… per non parlare delle temperature sbagliate a cui vengono serviti. Ahimè… qui i tempi non sono ancora maturi per i degustatori.

In conclusione… cosa mi è piaciuto di più e cosa di meno di Saranda.

Cosa mi è piaciuto di più? Senza dubbio le spiagge e il colore del mare.

Cosa mi è piaciuto di meno? L’improvvisazione nell’accoglienza turistica e la cementificazione selvaggia. Per non parlare delle condizioni del manto stradale e della gestione dei rifiuti. Passeggiare richiede uno sguardo attento sul suolo per non incappare in buche e quant’altro.

Cosa servirebbe? Certamente servono investimenti nei servizi turistici, nel potenziamento dei mezzi pubblici assolutamente insufficienti, nella sicurezza stradale e soprattutto nella formazione alberghiera in toto. Resta il fatto che la riviera albanese rappresenta per il paese un comparto economico davvero importante. Per come l’ho vista, serve ancora almeno un decennio di buone pratiche. Se così sarà, ci sono ottime prospettive per il miglioramento economico di una nazione con un reddito medio pro capite di 300/400 euro mensili.




A Siviglia la gente sorride… appunti di viaggio e di gusto

Ricordando Siviglia, Plaza de España e il Salmorejo.

“A Siviglia la gente sorride…” Una frase che mi disse una giovane donna al ritorno da uno dei suoi viaggi di studio in questa città dell’Andalusia. Un ricordo nostalgico che mi espresse con un po’ di tristezza, perché tornando in Italia di sorrisi anno dopo anno ne vedeva sempre meno.  

 “A Siviglia non s’invecchia. È una città in cui si sfuma la vita in un sorriso continuo, senz’altro pensiero che di godersi il bel cielo, le belle casine, i giardinetti voluttuosi.” Edmondo de Amicis

È stata questa la molla che mi ha convinto a mettere in programma un viaggio nella capitale dell’Andalusa il cui antico logo – NO8DO – è simbolo di fedeltà. Un emblema che Alfonso X nel XIII secolo volle dedicare alla popolazione per la dedizione dimostratagli. Se avrete modo di visitarla lo vedrete praticamente impresso ovunque.

Due ore e trenta minuti di volo dall’aeroporto di Bergamo mi hanno permesso di raggiungere la mia meta, un altro sogno realizzato. Devo ammettere che al mio arrivo lì per lì sono rimasta un po’ delusa a causa del fare brusco dei primi sivigliani che ho incrociato. In realtà per ambientarsi sul serio è necessario adeguarsi ai loro ritmi. In pratica, significa non andare troppo in fretta, soprattutto se si visita la città in estate, quando le temperature sono molto elevate. Significa salutare sempre quando si entra o si esce da una bottega dicendo buenos dias o hasta luego. Significa ritardare l’ora del pranzo (15.00) e della cena (22.00) adeguandosi certamente ad uno stile di vita più lento e rilassante. Significa trovarsi in una città famosa per le sue bellezze architettoniche e per il flamenco, un’arte che nel 2010 è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

È a Plaza de España – una piazza attraversata da un canale navigabile tra le più belle che io abbia mai visto – che ho assistito a questa danza fatta di istinto e di pura passione.

Dal punto di vista gastronomico devo dire che a Siviglia ho apprezzato molto la presenza costante di una bottiglia di olio extravergine di oliva sui tavoli nei più disparati punti di ristorazione, dal semplice bar al ristorante. Una consuetudine da cui dovremmo prendere spunto per diffondere la cultura di questo grande e salutare prodotto.

C’è un’altra consuetudine nell’offerta gastronomica sivigliana che mi è piaciuta molto: la preparazione di un piatto tipico molto adatto al clima torrido di queste parti, il Salmorejo. Una zuppa andalusa a base di pomodori maturi e pane raffermo che, servita fredda, è un vero sollievo nelle giornate di calura estiva.

Si prepara amalgamando nel mixer 100 grammi di pane raffermo, precedentemente messo in ammollo nell’acqua, con  500 grammi di pomodori maturi e uno spicchio d’aglio. Io ho fatto una piccola variante alla ricetta aggiungendo qualche goccia di Tabasco, per dare quel tocco di piccante che amo molto. Una volta ottenuta una crema omogenea si ripone il tutto in frigorifero per qualche ora. Il Salmorejo va servito con qualche strisciolina di jamon, prosciutto crudo stagionato e con uova sode. Dosi per tre persone.

Ebbene, durante le mie escursioni a Siviglia ho fatto più volte il bis con questa zuppa estiva, concludendo il pasto con un’altra abitudine che in Italia ahimè si è un pochino persa: un buon bicchierino di Vermouth. Un vino liquoroso aromatico la cui storia ha origini piemontesi. Nacque infatti a Torino nel 1786 da un’idea di Antonio Benedetto Carpano che miscelò del vino moscato con spezie ed erbe aromatiche. Per definirsi tale deve essere costituito da 75% di vino e in buona dose da artemisia, una pianta dalle tante virtù benefiche. Non mi resta che dire arrivederci Siviglia e… Salud!




Preparando il mojo verde… ricordando Lanzarote.

Lanzarote, l’isola dei vulcani, del vento e delle case bianche.

Ci sono immagini di terre che si fermano nella mente, e che colpiscono l’immaginario al punto da condurci nei luoghi da cui sono tratte. Esattamente ciò che mi è successo dopo aver visto alcuni scatti fotografici di Lanzarote. Mi riferisco in particolar modo ai suoi caratteristici vigneti. Piantati su terra lavica in profonde cavità, sono riparati dal vento grazie a muretti semicircolari di pietra vulcanica chiamati ‘zoco’.

Un paesaggio unico, emozionante e davvero suggestivo.

Di fatto, la realtà supera sempre le immagini. È stato così anche questa volta.

Quest’isola dal clima dolce tutto l’anno, per le sue caratteristiche, è stata dichiarata dall’Unesco ‘Riserva della Biosfera’. Una terra vulcanica che nel 1993 è stata scelta come base per allenare l’equipaggio della Nasa Apollo 17. Tanti i suoi aspetti – a volte estremi – riservati a chi ama la tranquillità e la natura selvaggia. Una terra che regala una sorpresa dopo l’altra… un’emozione continua.

La prima cosa da fare una volta arrivati a Lanzarote, è noleggiare un’auto e munirsi di una cartina. Su di essa troverete molte mete turistiche che vi consiglio di non perdere per l’unicità e la bellezza dei paesaggi. Nella settimana della mia permanenza, periodo minimo necessario se si vuole visitarla come merita, ho percorso oltre seicento chilometri grazie alle strade in perfetto stato e all’ottima segnaletica. Qui di seguito vi segnalerò alcune tappe che vale davvero la pena di visitare!

Lanzarote

Parque Nacional de Timanfaya

Visitare questo parco (quasi riduttivo chiamarlo così) equivale a proiettarsi in un paesaggio lunare: trecentosessanta coni vulcanici in cinquemila ettari di montagne di fuoco. Vi ricordate il film del 2001 ‘Odissea nello spazio’? Ebbene, alcune scene sono state girate proprio qui.

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César Manrique

Come non ringraziare César Manrique, architetto ambientalista e grande creativo, che si è opposto allo sviluppo urbanistico selvaggio dell’isola non permettendo la costruzione di edifici in disarmonia con la sua naturale bellezza. La sua impronta è presente ovunque, anche e soprattutto nella casa che un tempo fu di Omar Sharif, ora trasformata in un museo e ristorante. Un posto incantevole che fa sognare ad occhi aperti!

Lagomar

Playa del Caleton Blanco

Salendo verso Orsola il paesaggio si trasforma. Dune di cespugli erbosi e sabbia bianca tra blocchi di colate laviche custodiscono incantevoli calette, tra cui Playa del Caleton Blanco. Una tra le spiagge più belle di Lanzarote… uno scorcio dai colori del cielo.

Cueva de los Verdes

Spettacolare! Una grotta sotterranea lunga sei chilometri con una sorpresa finale che non voglio svelare per non togliervi la sorpresa! Anche se è un segreto vi do un consiglio: non fidatevi delle apparenze. La maggior parte delle volte traggono in inganno.

Playa del Papagayo

Sono tante le spiagge di Lanzarote, ma ce n’è una in particolare che mi ha fatto rimanere per un istante senza fiato.  Mi riferisco alla Playa del Papagayo, una caletta racchiusa tra due promontori. Una tra le spiagge più belle al mondo. La si raggiunge percorrendo qualche chilometro su una strada non asfaltata a pedaggio. Un paradiso sulla Terra!

Mojo verde

Ed ecco uno dei sapori che ho apprezzato di più a Lanzarote: il mojo verde. Una salsina tipica di facile preparazione che sconsiglio vivamente a chi non ama l’aglio. Utilizzata per accompagnare piatti di carne o di pesce, a mio gusto, è strepitosa anche semplicemente spalmata su una fetta di pane. Si prepara pestando in un mortaio tre spicchi d’aglio, un cucchiaino di cumino in grani, un mazzetto di coriandolo tritato, un mazzetto di prezzemolo, un peperoncino verde e sale grosso quanto basta. Si aggiunge poi olio extra vergine di oliva e qualche cucchiaio di aceto di mele, fino ad ottenere un composto omogeneo che vi assicuro vale la pena di assaggiare.

Mojo verde

Isola ‘La Graciosa’

Sono una donna che ama l’avventura. Secondo voi potevo mai perdermi un safari su questa isola selvaggia a nord di Lanzarote?  Certo che no! La si raggiunge via mare dal Porto di Orsola in trenta minuti. Vi aspettano strade non asfaltate, dune, archi di pietra lavica e bellissime playe incontaminate! In particolare vi consiglio quella della Las Conchas. Godersi questo spettacolo naturale seduti sulla sua sabbia dorata bagnata dalle onde impetuose dell’oceano è davvero impagabile!

Salinas de Janubio

Devo ammettere che queste saline color bianco argentato sulla mia cartina non erano state messe in particolare evidenza. Una tappa che non ho voluto perdermi, e che vi consiglio di visitare. Un ambiente molto suggestivo in cui si può tranquillamente passeggiare. Ovviamente, una volta conclusa la visita, non perdetevi la bottega del sale.

Lago Verde, El Golfo

Scendendo dalla scogliera di Los Hervideros, nella zona di ‘El Golfo’, tra sabbia nera e rocce rosse vulcaniche, spicca un piccolo lago dal caratteristico colore verde smeraldo. Una Riserva Naturale chiamata anche De los Ciclos, che, grazie alla presenza di un’alga, crea un colpo d’occhio davvero sorprendente!

Teguise

L’antica capitale di Lanzarote (l’attuale è Arrecife, cittadina alquanto caotica su cui non mi soffermo) ospita il più grande mercato dell’isola. I suoi colori, la sua gente, e l’offerta di artigianato tipico, rendono la sua visita unica e speciale! In quest’isola non aspettatevi di trovare centri commerciali (per lo meno come li intendiamo noi). Qui è la ‘botega’ che ha la meglio… e meno male!

Mirador del Rio

Formidabile punto panoramico sull’oceano atlantico consigliato a chi vuole ammirare panorami con un ampio campo visivo. Un’altra grande opera progettata da César Manrique!

Potrei dilungarmi ancora a lungo, ma come ho già scritto, la realtà supera di gran lunga le immagini. Lanzarote mi ha sorpreso – e sono certa che sorprenderà anche voi – non una volta, ma molte di più!

Turismo Lanzarote

 




La mia Firenze in dodici tappe… d’arte e di gusto

Pochi ricordano che Firenze – dal 1865 al 1871 – è stata capitale d’Italia. Devo ammettere che dopo averla visitata come merita ne comprendo meglio i motivi. Davvero emozionante ammirare i suoi capolavori… se non fosse stato per le lunghe code! Sì, code interminabili che il freddo dei primi giorni di gennaio non ha certo agevolato! D’altronde, o meglio per fortuna, parliamo di una delle quattro città italiane più visitate al mondo che vanta un flusso turistico costante tutto l’anno. Un luogo in cui si respira arte ovunque, che ha dato i natali a grandi artisti conosciuti in tutto il mondo. Uno fra tutti è Leonardo Da Vinci (15 aprile 1452 – 2 maggio 1519) genio italiano che a maggio di quest’anno verrà celebrato per il quinto centenario della sua morte.

“Imparare non stanca mai la mente.” Leonardo Da Vinci

Un’ora e cinquanta minuti di treno da Milano e mi sono trovata nel cuore del suo centro storico. Oserei dire finalmente, viste le volte che avevo messo in programma questo viaggio che per vari impegni ero stata costretta a rimandare. Mi riferisco non a una toccata e fuga, ma a una visita come piace a me, con calma e con il tempo che questa città richiede. A dir la verità, al termine della mia permanenza, mi ha fatto specie ascoltare che la persona dalla quale ho alloggiato – un fiorentino autoctono – abbia visto metà di quello che ho visitato io in pochi giorni. Sempre la stessa storia, anzi, lo stesso errore… diamo troppo per scontato ciò che abbiamo vicino. C’è però anche da sottolineare che chi vive in questa città – che l’alto movimento turistico ha un pochino snaturato – non ha sempre vita facile. Tanto per dire che l’albergatore fiorentino sopra citato, mi ha raccontato che appena può fugge in una piccola isola del sud America, per recuperare quella pace e tranquillità che ormai a Firenze è diventata un sogno.

Firenze, bella ma invasa

Ebbene, consapevole che non sarebbero bastati pochi giorni per conoscere il suo immenso patrimonio artistico, munita di programma e di cartina, mi sono avviata a piedi verso la mia prima tappa. Ovviamente mi sono premurata di prenotarla in anticipo, e per fortuna! Il rischio, in caso contrario, sarebbe stato quello di incappare in lunghe attese, e spesso, a causa delle tante prenotazioni, di perdersi la visita.

  • 1′ Tappa: Uffizi

Un edificio ad opera del Vasari risalente al 1560 che in origine era stato fatto costruire per contenere gli uffici dell’amministrazione cittadina. Oggi la galleria d’arte più visitata d’Italia, con quarantacinque sale che accolgono numerosi capolavori del Rinascimento esposti in ordine cronologico. Ammirarli dal vivo è tutta un’altra cosa… le sensazioni si amplificano, e il cuore batte più forte!

Bacco (1597-1598) di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

  • 2′ Tappa: Piazza del Duomo

Giungere nel cuore di Firenze significa trovarsi al cospetto di un complesso di bianca bellezza che inorgoglisce e cattura lo sguardo. Mi riferisco alla facciata ottocentesca della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, che, insieme alla Cupola del Brunelleschi (1434) e al Campanile di Giotto (1337), crea uno scenario davvero magnifico.

Il Duomo o Cattedrale di Santa Maria del Fiore, è la terza chiesa della cristianità più grande al mondo

Se si rimane un po’ delusi dall’interno semplice e austero del Duomo, certamente la visita al Battistero – l’edificio più antico di Firenze in cui fu battezzato Dante – vi lascerà senza fiato. Con la testa all’insù si possono ammirare i ricchi mosaici bizantini risalenti al XIII-XIV secolo. Un trionfo di bellezza!

Il Battistero dedicato a San Giovanni Battista, patrono della città

Imperdibile la visita al Museo dell’Opera del Duomo. Situato nell’omonima piazza al numero nove, custodisce numerose opere d’arti provenienti dalla Cattedrale, dal Battistero e dal Campanile di Giotto. Tre piani di tesori che terminano con la magnifica vista godibile dalla Terrazza Brunelleschiana.

Museo dell’Opera del Duomo

  • 3′ Tappa: Appuntamento con una Chianina

Andare a Firenze e non fermarsi a mangiare una bistecca di Scottona Chianina non ha senso, per lo meno per me. Una razza antica, la Chianina, conosciuta per il suo gigantismo somatico. Pensate che è la più grande razza bovina al mondo. Detto questo, seguendo un consiglio, mi sono recata in una delle sedi della Trattoria dall’Oste. Una Chianineria in Via dei Cerchi nata all’insegna della bistecca alla Fiorentina. Cinque minuti di cottura sulla griglia per lato e… buon appetito!

Trattoria dall’Oste

  • 4′ Tappa: Piazza della Signoria

Una piazza tra le più belle, un museo all’aperto e un luogo di ritrovo. Sono numerose le opere scultoree che la arricchiscono. In particolare, sotto la Loggia dei Lanzi a lato della piazza, mi ha colpito la perfezione del Perseo di Benvenuto Cellini. Un’opera in bronzo che fu commissionata da Cosimo I de’ Medici dal significato politico. Realizzata tra il 1545 e il 1554, raffigura il mito dell’eroe greco con la testa di Medusa recisa, ma non solo… Osservando la nuca del Perseo, si può notare distintamente un volto: si tratta dell’autoritratto dell’autore. Lascio a voi la sorpresa.

Il Perseo di Cellini

  • 6’ Tappa: Appuntamento con un Lampredotto

Se c’è un piatto rappresentativo della tradizione gastronomica fiorentina quello è il Lampredotto. Mi riferisco ad un panino da gustare in uno dei tanti chioschetti presenti nelle piazze di Firenze (lampredottai) farcito con la trippa, o meglio, con l’abomaso (quarto stomaco del bovino detto anche lampredotto). Una preparazione tipica da consumare informalmente su un tavolino o passeggiando a piedi per la città. Io ho avuto il piacere di assaggiarlo in una piccola bottega situata davanti a Palazzo Pitti: “Alimentari Del Chianti”. Un localino delizioso in cui assaporare la vera Firenze del gusto tra assaggi e racconti del territorio. Sì, perché le limitate dimensioni favoriscono il dialogo e la conoscenza.

Panino al Lampredotto

  • 7’ Tappa: Galleria dell’Accademia

Ed ecco a voi il David di Michelangelo Buonarroti (1504)! La famosa statua posta nella galleria dell’Accademia che l’artista realizzò a soli ventisei anni da un unico blocco di marmo. Un’opera che colpisce per la sua perfezione tra le più note ed apprezzate al mondo. Sono figlia di un marmista. Io stessa, guidata da mio padre, ho avuto modo di lavorare questa roccia calcarea che l’abilità dell’uomo leviga e trasforma. Ebbene, forse è anche per questo motivo che sono rimasta a lungo incantata da tanta precisione e bellezza superiore.

David di Michelangelo Buonarroti 1504 – marmo, altezza cm. 516,7

  • 8’ Tappa: Chiesa di Santa Croce

Santa Croce, un edificio sacro, ma soprattutto un luogo di grandi memorie. All’interno di questa chiesa di stile gotico riposano trecento uomini che si sono distinti nelle arti e nella scienza. Una specie di Pantheon in cui passeggiare con rispetto reverenziale accanto a monumenti funebri di illustri italiani: Galileo Galilei, Michelangelo Buonarroti, Niccolò Macchiavelli, Ugo Foscolo, Gioacchino Rossini, e… solo per citarne alcuni.

Santa Croce – 1385

  • 9’ Tappa: Appuntamento con la ribollita

Passeggiando per Firenze ho avuto la conferma che la cucina tradizionale tipica delle trattorie la fa da padrona. Devo ammettere con mio grande piacere, visto che la mia passione per le tradizioni mi porta a scegliere per lo più questo tipo di locali. Se poi arriva il consiglio giusto, meglio ancora! Questa volta mi riferisco alla Trattoria Le Mossacce, in Via del Proconsolo 55. Senza dubbio un luogo di ristorazione in cui si respira la vera Firenze, dove non si prenota, e casomai nell’attesa si assaggia un calice di Chianti. Seduta accanto a perfetti sconosciuti – che da lì a poco non lo sono stati più – tra i vari assaggi, mi sono deliziata grazie a un’ottima ribollita! Gran piacere quello della tavola!

La ribollita

  • 10’ Tappa: Ponte Vecchio

Il ponte più antico di Firenze, posto nel punto più stretto dell’Arno. Certamente uno dei simboli di questa città. L’ultima sua ricostruzione – a seguito delle varie inondazioni – risale al 1345. Una tappa immancabile che consente anche la visita alle tante botteghe degli orafi concentrate in questo tratto per volere dei Medici, la famiglia fiorentina che ha segnato la storia di Firenze.

Ponte Vecchio

  • 11’ Tappa: Chiesa di Santa Maria Novella

Una chiesa tra le più belle di Firenze che colpisce per la sua magnifica facciata decorata con marmi bianchi e verdi. Un edificio risalente al 1278 che custodisce molti capolavori, tra cui il grande crocefisso di Giotto. Una curiosità: all’interno della basilica è ben visibile una linea meridiana in ottone, che, grazie ad un foro realizzato nel rosone della facciata, crea sul pavimento ellissi solari che variano a seconda dei mesi dell’anno. Una sorta di osservatorio astronomico.

Santa Maria Novella

  • 12’ Tappa: Appuntamento con una Schiacciata alla fiorentina

Amo le trattorie quanto le pasticcerie, quelle storiche, in cui nella giusta atmosfera si può assaporare preparazioni tipiche della tradizione locale. Un patrimonio gastronomico assolutamente da non perdere! Ebbene, è così che ho conosciuto la Schiacciata alla fiorentina, chiamata anche Schiacciata unta per l’uso dello strutto nell’impasto. Un dolce a lenta lievitazione al profumo di arancia tipico di carnevale, che in realtà si prepara tutto l’anno. Davvero delizioso!

Schiacciata alla fiorentina

Firenze è molto di più…

Salendo fino a Piazzale Michelangelo me ne sono resa conto. Una terrazza panoramica su cui si erge una copia in bronzo del David di Michelangelo. Un luogo con un colpo d’occhio davvero meraviglioso! Si è conclusa così la mia vacanza… con un tramonto rosa su una bellissima Firenze. 

Vista da Piazzale Michelangelo

 




Ritornare significa ricordare. Aquileia, Palmanova e… il Presnitz!

Le mie origini chiamano…

Esattamente così, il richiamo delle nostre origini è una sensazione che di tanto in tanto sentiamo un po’ tutti. Ritornare significa ricordare, e riscoprire luoghi unici della nostra bella Italia. Una ricchezza storica e artistica che spesso sottovalutiamo.

Mi riferisco, in questo caso, a due città friulane che da tempo volevo visitare: Aquileia e Palmanova.

Se Aquileia incanta per i preziosi e antichissimi mosaici presenti sull’intera pavimentazione della sua Basilica, Palmanova colpisce per la perfetta forma stellata. La prima sito archeologico tra i più importanti del settentrione d’Italia, la seconda città fortificata. Riconosciute dall’Unesco come Patrimonio Mondiale dell’umanità, sono situate a poca distanza una dall’altra. Una tappa irrinunciabile per chi come me sente il richiamo delle proprie origini, ma soprattutto, per gli appassionati di storia e tipicità del territorio. Si, perché dopo aver seguito questo mio bel itinerario, vi consiglio l’assaggio di un dolce tradizionale friulano: il Presnitz.

Aquileia

Vi è mai capitato di rimanere senza fiato davanti a un’opera d’arte? A me l’ultima volta è successo all’ingresso della Basilica di Aquileia. La vista del suo pavimento, il più esteso mosaico paleocristiano del mondo occidentale, ha rapito letteralmente il mio sguardo (foto in testata). Ben 760 metri quadri risalenti al IV secolo portati alla luce dagli archeologi tra il 1909 e il 1912. Una magnificenza dell’essere umano che si può osservare camminando su lunghe passerelle di cristallo sopraelevate.

Palmanova 

Sono giunta a Palmanova (Palma in friulano) in una giornata di pioggia. Nonostante ciò, l’aria che ho respirato da subito è stata ricca di richiami storici e suggestioni. Una città-fortezza a forma di stella geometricamente perfetta. Nove baluardi, sette chilometri di mura imponenti e sei strade lineari, che si irradiano dalla centrale piazza esagonale: Piazza Grande. Un modello di architettura militare fondata nel 1593 dai Veneziani per difendere i confini della Serenissima dagli attacchi dei Turchi. Solo nel 1866, dopo il dominio asburgico, è entrata a far parte del Regno d’Italia. Passeggiando per le sue vie, non mi è stato difficile percepire i richiami di un passato importante, che nel 1960, ha portato il presidente della Repubblica a proclamarla “Monumento Nazionale”.

Il Presnitz

E ancora una volta… paese che vai tradizione che trovi. Tanto per dire che una volta concluso il mio itinerario, mi sono concessa una pausa di gusto in una pasticceria tipica della zona. È così che ho scoperto un dolce friulano – in particolare triestino – che si prepara tutto l’anno: il Presnitz. Un rotolo di pasta sfoglia a forma di chiocciola con all’interno noci, nocciole, pinoli, uvetta, rum, miele e aromi vari. In realtà, ho avuto l’impressione che il pasticcere che mi ha raccontato la sua storia non mi abbia rivelato tutti gli ingredienti… Si sa, ogni bottega ha la sua malizia!

aquileia.net          www.palmanova.it




Siena, un concentrato di capolavori!

Cor magis tibi Sena pandit«Siena ti apre un cuore più grande» (della porta che stai attraversando).

Un’iscrizione presente sull’arco esterno dell’antica Porta Camollia, che dà il senso dell’accoglienza che questa città storica tra le più belle d’Italia, offre a chi ha la fortuna di visitarla. Un luogo in cui vivere con i tempi giusti, che mi ha permesso di capire quanta ricchezza d’arte possa concentrare una città. Una conoscenza da fare passeggiando nei vicoli del suo centro storico – patrimonio dell’Unesco – godendosi la bellezza dei palazzi e delle botteghe artigianali, fino a giungere nel suo cuore a forma di conchiglia: la splendida Piazza del Campo.

Sedersi a terra ad ammirarla è quasi un rito, che agevola la vista e che permette di godere della sua magnificenza a 360 gradi.

Piazza del Campo

Passeggiando per Siena

Cattedrale dell’Assunta

Cattedrale dell’Assunta – interni

Libreria Piccolomini

Siena, un concentrato di capolavori!

L’ho visitata camminando a piedi tra le sue diciassette Contrade. Realtà storiche che dal 1729 tracciano un territorio e rappresentano una comunità basata sul volontariato, con un’identità e con tradizioni che a differenza di altrove non scemano, anzi, col passare degli anni si rafforzano. Diciassette istituzioni democratiche e indipendenti con statuti, battesimi laici e con una propria chiesa, il cui più alto rappresentante è il Priore. Intorno a lui, a supporto, molte altre cariche tra cui il Vicario (vice del Priore), il Cancelliere (segretario), il Camerlengo (tesoriere), il Bilanciere (contabile), l’Economo (curatore del patrimonio), l’Archivista (custode storico), il Correttore (capo spirituale della Contrada), e… Insomma, un’organizzazione serissima basata sulla solidarietà e sulla passione, che ho conosciuto attraverso l’ascolto dei racconti di una contradaiola che mi ha guidato alla visita del Museo ‘Contrada della Civetta’.

Museo Contrada della Civetta

A questo proposito riporto un pensiero del grande Federico Fellini.

“Voi a Siena avete questa cosa preziosa, ed è singolare come nel conflitto delle Contrade vi sia la vostra unione. Tutto il mondo si sfalda e voi siete qui con la vivezza di questi riti e con la fedeltà dei secoli. Credo sia l’unico esempio in Italia. C’è una sorta di cordone misterioso tra voi e i senesi di tutte le epoche. È bello, molto bello!”

Non mi soffermerò sul Palio, una corsa di cavalli condotta da fantini mercenari, che sia pur di secolare tradizione, ogni anno scalda l’atmosfera al punto da creare eccessi e talvolta incidenti, per tutti gli esseri coinvolti, umani e animali.

Museo Contrada della Civetta

Museo Contrada della Civetta

Museo Contrada della Civetta

Siena, un capolavoro dopo l’altro… Questa volta mi riferisco alla Ribollita. Un piatto tipico che si può assaggiare in una delle tante trattorie storiche della città. Una zuppa di origine contadina a base di cavolo verza, cavolo nero, fagioli, patate, pomodori… da far cuocere a fuoco lento e da gustare con pane raffermo. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un buon calice di vino rosso del territorio. Una delle mie pause gastronomiche senesi, che si è conclusa con l’assaggio di un ottimo Moscadello di Montalcino Vendemmia tardiva, e di una ‘chicca liquoristica’ che vi consiglio: l’Elisir di Santa Caterina. Un liquore a base di erbe prodotto seguendo i dettami di un’antica ricetta dalle origini misteriose. Per certo, la sua produzione iniziata in passato in una distilleria di un convento di Siena, oggi continua a cura della Distilleria Deta di Barberino Val d’Elsa.  

Ribollita

Moscadello di Montalcino

Elisir di Santa Caterina

Siena, una città ricca di leggende, di arte e di storia, che ancora una volta mi ha portato a pensare a quanto sia bella l’Italia!

Mi guarda Siena,
mi guarda sempre
dalla sua lontana altura
o da quella del ricordo –
come naufrago? –
come transfuga?
mi lancia incontro
la corsa
delle sue colline,
mi sferra in petto quel vento,
lo incrocia con il tempo –
il mio dirottamente
che le si avventa ai fianchi
dal profondo dell’infanzia
e quello dei miei morti
e l’altro d’ogni appena
memorabile esistenza…
Siamo ancora
Io e lei, lei e io
soli, deserti.
Per un più estremo amore? Certo.

Mario Luzi

Piazza del Campo di sera

Terre di Siena  www.terredisiena.it




Vacanze condivise. Un’esperienza per chi ama l’avventura e la natura.

Arezzo, agosto 2017

Coincidenze, si, continue coincidenze nella mia vita. Anche solo quando, dopo la lettura di un articolo, mi sono confrontata per una scelta di viaggio che – guarda caso – mi ha riportato all’argomento appena letto. Mi riferisco ad un progetto di comunità aperto in cui la parola chiave è  “condivisione“. Un’esperienza che da tempo avevo in mente di provare, salvaguardando però una parte del mio tempo per pensare e per recuperare energia.

Ebbene, è stato così che avendo a disposizione una settimana in pieno agosto – periodo critico per chi ama vivere le vacanze in tranquillità – ho deciso di partire. Destinazione Arezzo, più precisamente Ceciliano. Nell’entroterra toscano – in una villa del ‘700 immersa in trentaquattro ettari tra oliveto, bosco e vigneto –  ho condiviso il mio tempo con un gruppo di persone appena conosciute. In un luogo ricco di storia che ospita seminari incentrati sulla comunicazione, l’incontro e la comunità, abbiamo cucinato e mangiato insieme, collaborando e condividendo pensieri e capacità maturate. Persone accomunate da interessi legati ai viaggi culturali e all’agricoltura rispettosa della natura, che per giorni si sono sedute intorno ad un tavolo confrontandosi e scambiandosi opinioni. Un’ennesima sfida con me stessa che ha trasformato i miei giorni ad Arezzo in una vera e positiva esperienza di vita.

Ovviamente non sono mancate né le passeggiate nei borghi storici, né quelle nella natura. Non è mancato neanche un corso di conoscenza sull’uso di preparazioni naturali a base di erbe spontanee, argomento a me particolarmente caro da sempre. Sono tante le cose che ho visto e sperimentato. Qui di seguito ve ne citerò alcune che a mio parere meritano un approfondimento, o meglio ancora, un’esperienza diretta e personale.

Ceciliano

Come di consueto, appena giungo in un luogo, ho la necessità di ambientarmi esplorando e conoscendo ciò che mi circonda. E’ così che dopo una prima occhiata generale, insieme ai miei compagni di viaggio, ho passeggiato nella campagna circostante. Anche qui, come in molte altre terre d’Italia, la forte siccità degli ultimi mesi ha danneggiato l’agricoltura. Nonostante ciò ho notato la presenza di una pianta molto diffusa dalle foglie verde brillante: la inula viscosa. Dopo qualche ricerca, ho scoperto che è un’alleata naturale dell’ulivo, in quanto accoglie favorevolmente un insetto che ha il merito di contrastare la mosca olearia, un parassita tra i più dannosi per l’olivicoltura. Molto interessante!

inula-viscosa

Imparare a riconoscere erbe e piante utili al nostro benessere è un’esperienza bellissima. Utilizzarle in cucina ancora di più. Una fra le tante raccolte è la nepetella. Mentuccia selvatica dal profumo delicato che ha conferito alla nostra acqua da tavola un sapore balsamico. Non è mancata nemmeno l’acetosella, chiamata anche erba brusca, facilmente riconoscibile dalle foglie cuoriformi. Tritandola con l’aggiunta di semi di girasole, ci ha permesso di ottenere un ottimo pesto ‘dalle proprietà depurative’ per condire la pasta. Soddisfazioni e piaceri naturali che ci hanno uniti e divertiti allietando la nostra tavola.

in-cucina

Intorno a noi tanta natura, ma anche moltissimi borghi storici. In primo luogo Arezzo. Bellissima cittadina nell’entroterra toscana che riporta indietro nel tempo. Il susseguirsi dei caratteristici scorci medievali ricchi di preziose testimonianze d’arte, di palazzi e di musei, mi ha fatto comprendere meglio perché Roberto Benigni l’ha scelta per girare alcune scene del film “La vita è bella”. Cuore della città Piazza Grande, un’area caratteristica per la sua forma trapezoidale e per la forte inclinazione, in cui ogni anno si svolge un suggestivo torneo cavalleresco: la Giostra del Saracino.

arezzo-piazza-grande

A poca distanza Anghiari, un altro bellissimo borgo medievale, uno tra i più belli d’Italia. Un comune noto per una famosa battaglia avvenuta nel 1440 in cui le truppe fiorentine si scontrarono con quelle milanesi. Casomai vi trovaste da queste parti vi consiglio di visitarlo. Passeggiando tra le sue vie e ammirando gli ingressi delle case fiorite, sarete avvolti da un’atmosfera unica che dà il senso della vacanza come la intendo io.

Anghiari

Anghiari

Raccolte d’erbe, visite a borghi storici ma anche momenti di confronto e conoscenza sulle problematiche legate all’ambiente e all’agricoltura. In un caldo pomeriggio, tra le antiche mura della casa, ho avuto il piacere di conoscere Raúl Alvarez, regista di “Rinascere Nella Terra”, documentario girato in Spagna, Francia, Italia, Grecia e Canada. Un progetto nato dopo la frequentazione attiva nel movimento WWOOF. Un’associazione di persone – i wwoofers – che credono in un’agricoltura e in un mondo sostenibile e naturale, che viaggiano e collaborano con realtà produttive che li accolgono e che in cambio forniscono loro vitto e alloggio.

Nonostante il caldo non sono mancati i cammini, come quello fatto sull’Appennino Toscano all’ombra di una foresta monumentale di faggi e abeti. Ci sono molti percorsi in Italia che permettono di scoprire luoghi d’arte e di storia. Noi, insieme, ne abbiamo scelto uno che ci ha portato fino al complesso architettonico del Santuario Francescano della Verna. Un luogo di pellegrinaggio e di accoglienza ricco di opere d’arte che meritano un’attenta visione.

Santuario La Verna

La mia permanenza ad Arezzo mi ha dato un’altra opportunità che da tempo desideravo e che ho colto con entusiasmo: visitare un villaggio ecologico. Una comunità in cui i membri sentono di appartenere, vivendo in armonia con la natura, sostenendosi a vicenda, e condividendo le risorse comuni. Insieme ai miei compagni di viaggio ho visitato quello situato ad Upacchi, a pochi km da Anghiari. Un borgo abbandonato che un gruppo di persone ha provveduto a ristrutturare seguendo i principi della bioarchitettura. Guidati da Eva Lotz, comunicatrice ecologica residente in una delle unità abitative di Upacchi da oltre quindici anni, abbiamo conosciuto questo centro sostenibile associato alla RIVE Rete Italiana dei Villaggi Ecologici.

Upacchi

Credo che sia facile intuire quanto la mia prima volta ad Arezzo sia stata intensa ed emozionante. Giorni in cui ho avuto modo di condividere ma anche di pensare che è giunto il momento di una pausa, prima di un nuovo inizio e di una nuova partenza.

 

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