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Francesco Santorelli, una storia di rivincita nello sport e nella ristorazione

Prima di iniziare a raccontarvi questa storia voglio porgervi una domanda: avete mai provato a socializzare con chi vi vive accanto? Ovviamente parlo di vera socialità, quella che tanti predicano sul web, ma che pochi concretizzano nella realtà. Già… mi riferisco a interazioni sociali tra persone che casualmente si trovano a vivere accanto, ma che in realtà non si conoscono, o meglio, che spesso non sono interessate a farlo.

Eppure… già, eppure viviamo in un’epoca di grandi connessioni virtuali, e, purtroppo, molto meno di relazioni che presuppongono veri rapporti di conoscenza. Mi riferisco a quei ‘legami di vicinato’ che si consolidano nel tempo, ma soprattutto dal vivo, e che spesso aiutano reciprocamente, rendendo meno soli, chi solo spesso viene a trovarsi per le circostanze della vita. Senza alcun dubbio la frenesia dei nostri tempi, i timori e la diffidenza, non facilitano le relazioni sociali dal vivo. In questa veloce era digitale, rapportarsi sui social network dà l’illusione di una maggiore sicurezza, con meno rischi e interferenze nella nostra sfera privata.

Ma ora vi chiedo: tutto ciò a che prezzo? Apparire e non essere, riempire vuoti senza viverli realmente.

Ebbene, ho voluto fare questa premessa perché recentemente, dopo l’ennesimo cambio di residenza, mi sono trovata in queste circostanze: tra persone vicine e sconosciute, che, nonostante i numerosi impegni reciproci, hanno deciso di cambiare lo stato delle cose. Come dico sempre, la conoscenza delle persone e la condivisione di esperienze è di grande emozione ed arricchimento. È per questo che oggi voglio raccontarvi la storia di un giovane uomo, in un certo senso ‘a me vicino’, che ho molto apprezzato per la forza e la determinazione che ha dimostrato nel vincere una grande sfida: la vita e gli ostacoli che ci pone.

Vi presento Francesco Santorelli, atleta della Briantea84. 

Complice di questa storia è la bella ‘Mbriana, spirito benevolo portatore di serenità e buon auspicio, protettrice delle case e dei luoghi in cui è ben accolta. Una fata buona nata da un’antica leggenda partenopea, che sta accompagnando Francesco nella sua nuova avventura in un campo diverso dal solito: quello della ristorazione. Immagino già le vostre facce stupite!  Legami di vicinato, spiriti, leggende… ma di che cosa stiamo parlando direte?! Be’, mi sa che avete proprio ragione. Forse è il caso di partire dall’inizio…

Francesco Santorelli, classe 1992, è stato un bambino come tanti che a Napoli, sua città natale, amava giocare a calcio con gli amici. Un’infanzia bruscamente scossa a sei anni, dopo che un’auto accidentalmente l’ha investito per strada, causandogli una seria disabilità motoria. Un evento traumatico che, dopo le conseguenti difficoltà di adattamento, ha dato via alla sua seconda vita. Fondamentale il supporto della famiglia, essenziale la sua determinazione, ma soprattutto la sua voglia di socialità. Di fatto, dopo alcune esperienze di sport individuale, il bisogno dello spirito di squadra lo ha portato a scegliere il basket in carrozzina. Inizialmente con la Ciss Napoli, poi, dopo la chiamata in Brianza, terra in cui si è trasferito stabilmente, con la Briantea84, società sportiva paralimpica con cui dal 2013 ad oggi ha vinto ben 21 trofei.

E la bella ‘Mbriana direte? Cosa c’entra in tutto ciò?

Ebbene, Francesco, oltre ad avere la passione per lo sport di squadra, da buon napoletano ama la pizza. Non contento dei traguardi raggiunti, si è voluto fissare un nuovo obiettivo: diventare ristoratore. Un progetto che gli ha fatto scattare una molla, o meglio, che lo ha portato all’apertura di una pizzeria a Monza: ‘Mbriana Pizza & Food’. Un locale inaugurato nel gennaio del 2022 insieme al cugino Giuseppe Corrado: formazione alberghiera a Napoli, tirocinio a Londra, realizzazione personale in Brianza. “Sai Cinzia, a Napoli posso affermare di aver imparato a fare la pizza, ma a Londra certamente ad accettare le tante ore di lavoro che la ristorazione impone.”

Pizze e Sfizi con materie prime selezionate campane e brianzole, che ho assaggiato e molto apprezzato la sera in cui sono andata a trovare Francesco nel suo locale. In realtà per noi due trovarsi a tu per tu è molto facile. Come ho già scritto, il destino ha voluto che Francesco sia in un certo senso ‘a me vicino’, o meglio, per dirla tutta, che sia un mio buon vicino di casa. Ecco svelato l’arcano. Vicini di casa che nonostante i molti impegni hanno deciso di tanto in tanto di trovarsi e raccontarsi, magari, aggiungo io, accompagnati da un buon calice di vino e qualche specialità acquistata durante i nostri viaggi. Piccoli momenti di vita che rendono speciali i rapporti tra le persone che casualmente si trovano a vivere accanto.

Si è soliti dire che tutto quel che ci accade ha un senso. Personalmente ci credo fermamente. Sono convinta che ci creda anche Francesco.

Mbriana Pizza & Food – Via Marsala 14, Monza – www.mbrianamonza.it




Un agronomo contadino con la ‘zappa in mano’ prestato alla birra!

Siamo a Carate Brianza, nel Birrificio Menaresta fondato da Enrico Dosoli, birré e paisan (birraio e contadino). Insieme ad un gruppo di appassionati birrofili, accomunati da un’anima popolare e una agricola, produce birra, anzi, birre e sidri (meglio usare il plurale)!

Prima di raccontarvi com’è andata la mia visita in birrificio, e soprattutto quali sono stati i miei assaggi preferiti, voglio fare un breve ripasso. Si, perché scegliere una birra adatta ai nostri gusti implica curiosità, conoscenza e qualche riflessione. In effetti, se un tempo ci si limitava alla scelta tra una bionda e una rossa, oggi, vista la crescente offerta di tipologie di birre proposte, la selezione è certamente un po’ più impegnativa. Ovviamente la scelta a cui mi riferisco è diretta in particolare alla birra artigianale, una bevanda alcolica prodotta con cereali che il mastro birraio personalizza con il suo estro e la sua esperienza. Un prodotto vivo non pastorizzato (processo di conservazione) e non microfiltrato (ricco di sostanze proteiche) che, se bevuto consapevolmente, è naturale e salutare.

Come da definizione del Ministero delle politiche agricole “Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200mila ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi.” 

Una scelta che ci permette di orientarci anche verso lo ‘stile della birra’, termine con il quale si diversifica questa bevanda alcolica in base alle peculiarità, agli ingredienti, al metodo di produzione, al colore, alla gradazione alcolica e alla storia. Fortunatamente agli appassionati birrofili viene anche in aiuto la ‘Carta delle birre’, un utile strumento sempre più presente nei locali che facilita la selezione in base all’esigenza di gusto del momento. Di fatto, degustare una birra comporta un’analisi visiva, olfattiva e gustativa, esattamente come quella per il vino. In aggiunta, nella birra, si osserva anche la quantità e la tenuta della schiuma, necessaria per evitare l’ossidazione della stessa, e la conseguente alterazione dei profumi. A questo proposito è fondamentale l’utilizzo di bicchieri puliti senza l’ausilio di saponi grassi e brillantanti, che ‘uccidono’ la schiuma, e modificano l’aromaticità. Bicchieri diversi in base alla tipologia della birra da sciacquare sempre prima dell’utilizzo.

Ebbene, ho fatto questa premessa perché scegliere e degustare una birra artigianale richiede le giuste considerazioni. Esattamente come per l’ultima birra che ho scelto e ho assaggiato nella tap-room del Birrificio Menaresta di Carate Brianza. Ops… ho detto birra?! Meglio usare il plurale! In effetti, per dirla tutta, l’infinita varietà della loro produzione non mi ha facilitato, o meglio, prima di trovare la mia birra giusta, mi ha portato a fare molti assaggi tra birre ‘creative’ nate da un’ispirazione o una storia, birre ‘speciali’ nate da stili birrari e innovazione, birre ‘barricate’… sour, wild, barrel aged. A queste, poi, si aggiungono le birre single batch e le collaboration beers, per una produzione in continuo divenire. Mica è finita qui… ci sono anche i sidri (fermentati alcolici di succo di mele, nel loro caso di mele biologiche di Valtellina), prodotti in partnership con Marco Colzani, enologo e produttore artigianale di succhi (ma questa è un’altra storia…).

A questo punto vi chiederete quale birra ho scelto? Ebbene, anche se il mio cuore non tradirà mai la mia passione per il vino, ci sono momenti in cui la birra la fa da padrona. Detto ciò, tra i miei assaggi, la favorita è stata la Verguenza, una birra ‘speciale’ in stile double I.P.A. ambrata, profumata e straluppolata!

Ho trovato molto interessante anche la Lamberwine, Barley wine, “vino” d’orzo. Birra importante di tradizione anglosassone che i bravi mastri birrai di Menaresta invecchiano in botti di Dailuaine, whisky scozzese distillato sulle sponde del fiume Spey. Una birra liquorosa da sorseggiare lentamente, dal color brunito e dai sentori di miele e caramello. Una birra da meditazione (alc. 13,5%), da abbinare ad un buon cioccolato fondente in serate in cui ci si vuole coccolare.

Un birrificio con evidenti richiami al territorio: la scelta del nome si rifà alla sorgente del Lambro, il logo riproduce la ‘Sperada Lombarda’, tradizionale acconciatura femminile utilizzata in Brianza fino all’inizio del ‘900. È situato in una vecchia area industriale (ex fabbriche Formenti), denominata “Distretto del Gusto”, per l’interessante e comprensibile destinazione d’uso dei suoi padiglioni.

Menaresta, una realtà produttiva nata nel 2007 dalla passione di Enrico Dosoli per i prodotti agricoli e la loro trasformazione. Agronomo birraio durante la settimana, e contadino ‘con la zappa in mano’ durante il suo tempo libero al seguito di un’Anatra Stonata, l’azienda agricola della moglie. Una passione per la birra maturata durante gli anni di studio alla Facoltà di agraria di Milano, ma soprattutto, dopo la frequentazione di corsi formativi e collaborazioni presso aziende per la progettazione e il collaudo di impianti di birrificazione.

“Tutto è iniziato, in fondo, con un pugno di malto in un catino…”

Con lui Marco Rubelli, bottegaio cantastorie. In collaborazione: Oscar Mancin, tecnico birraio, Andrea Pagani, cantiniere, Lorenzo Scardoni, the tradesman e Arianna Dalmiglio e Michela Marelli, in tap room.

Convivono in noi due anime: quella “popolare” e agricola, un po’ goliardica e irriverente, che si è tradotta in spontaneità e originalità, e quella tecnica e professionale, derivante da studio e continua ricerca. Ciò ha portato alla creazione di birre sempre “di carattere”, in cui si fondono insieme l’ispirazione tratta dalle storie personali e dalla natura, l’abilità e la conoscenza brassicola e la volontà un po’ scanzonata di proporre sempre il massimo livello qualitativo senza però prendersi mai troppo sul serio, con autoironia e divertimento, e il desiderio vivo, per ogni birra, di raccontarci sopra anche una storia, arricchire il prodotto, oltre che di bontà, anche di aneddoti e contenuti.

Oltre al birrificio ho avuto il piacere di visitare anche la loro bottaia, la Caution Barrication Area. Un luogo speciale per chi come me ama queste atmosfere. Un ambiente in cui è protagonista il legno – utilizzato più come contenitore che conferitore – dedicato dal 2009 alla maturazione e produzione di birre sour e barrel aged.

Un pomeriggio di assaggi e conoscenza passato in allegria con anime romantiche che producono birra di qualità con materie prime selezionate e con costanti collaborazioni sul territorio, per la promozione e la valorizzazione del settore brassicolo artigianale brianzolo.

Abbiamo inventato la birra fermentata col lievito madre, utilizziamo ingredienti anche particolarissimi, ma produciamo anche birre in stile che hanno fatto la storia brassicola in Italia. Siamo forse poco attenti al marketing, poco presenzialisti, ma spacchiamo il capello in quattro per la qualità e non abbiamo paura di lasciare libere le briglie dell’ispirazione! Per questo gli appassionati (ma anche un pubblico più ampio) ci conoscono e ci stimano.” Enrico Dosoli.

Birrificio Menaresta   www.birrificiomenaresta.com 

Piazza Risorgimento, 1 (entrata al civico n. 4) – Carate Brianza (MB)

 




Gradite un assaggio di Kümmel?

La prima volta che ho sentito menzionare il ‘Kümmel’ è stato a Cortina d’Ampezzo. Un termine che non conoscevo usato da un’anziana ma arzilla signora, la cara Franca, che nel calore della sua tipica casa ampezzana ha saputo intrattenermi con racconti di viaggi, e con l’assaggio di deliziose preparazioni erboristiche da lei preparate. Passioni comuni – i viaggi e le erbe spontanee – che hanno portato due donne, sia pur di generazioni diverse, a scambi di esperienze e condivisioni di pensieri. Inutile raccontarvi come i disegni del destino a volte mi stupiscono, al punto da condurmi verso la conoscenza di persone che sento molto vicine per le similitudini e gli interessi comuni. Persone mai incontrate prima, con le quali entro in una tale sintonia che con altre, nonostante l’assidua frequenza, difficilmente raggiungo.
 
Franca, donna saggia e di grande cultura, si è trasferita da Treviso a Cortina d’Ampezzo ormai da molti anni. Dalle sue parole ho capito quanto sia grande l’amore per questa cittadina situata nel cuore delle Dolomiti, che in un certo senso l’ha adottata. Quel giorno, dalla finestra della sua cucina, ho potuto ammirare le bellezze paesaggistiche e le alte vette della Valle d’Ampezzo, che rendono questa rinomata località unica e speciale. È in questa atmosfera che ho conosciuto Franca e che ho assaggiato il Kümmel, un liquore aromatizzato con i semi di cumino dei prati, che ha suscitato la mia attenzione per il gusto e per le sue origini antiche.
 

Amando particolarmente i liquori di erbe officinali, che io stessa di tanto in tanto preparo, dopo l’assaggio non ho esitato un attimo a chiedere a Franca la ricetta. Lei, dopo aver recuperato un taccuino con preparazioni rigorosamente scritte a mano, come un tempo si faceva, mi ha raccontato che le dosi le erano state date da una signora molti anni addietro. Ricette della tradizione tramandate di generazione in generazione, che non vanno perse. È questo il motivo che mi porta a condividere preparazioni tipiche, insieme ai ricordi di chi me le ha trasmesse.
 
Ingrediente principale del Kümmel (dal latino cuminum) è il cumino dei prati, una spezia molto popolare proveniente da una pianta erbacea biennale originaria dell’Asia. In passato era molto usata perché si credeva che il suo uso costante rafforzasse il rapporto con la persona amata. Sarà il caso di riutilizzarla? 😉  Battute a parte, il suo utilizzo è consigliato per le sue proprietà digestive, carminative e antinfiammatorie.

Ma ora passiamo alla preparazione.

In un contenitore di vetro a chiusura ermetica in cui si è posto un litro di alcool puro a 95 gradi unire:

• 50 grammi di cumino
• 25 grammi di anice verde
• 12 grammi di anice stellato
• 12 grammi di semi di coriandolo
• 10 grammi di chiodi di garofano

Chiudere il contenitore e far riposare al buio per dieci giorni avendo cura di agitare il composto quotidianamente. Una volta passato il tempo, preparare uno sciroppo facendo sciogliere in un litro di acqua 700 grammi di zucchero. Unire i composti, e, prima di assaggiare il liquore ottenuto, lasciare riposare al fresco per un mese. Profumato, delicato e digestivo. Ve lo consiglio!




“Fare vino insieme”, il progetto di Ca’Liptra

L’ultima tappa della mia recente escursione a Cupramontana è stata all’azienda agricola Ca’Liptra. Solo a pensarci mi vengono ancora i brividi! Non fraintendetemi, mi riferivo alle fredde folate di vento che quel giorno ancora un po’ mi portavano via! Battute a parte, ritornando seria, ho riflettuto sull’importante influenza che questa condizione climatica ha sulla viticoltura.

In effetti, questa massa d’aria in movimento, agendo sul microclima, contribuisce a ridurre l’umidità e conseguentemente sfavorisce la formazione di malattie fungine. Inoltre, limita lo sviluppo di insetti fitofagi dannosi alle colture e di vettori di virus infettivi per le piante, limitando l’utilizzo di trattamenti fitosanitari. Parlo del vento, questo fenomeno atmosferico alleato della biodiversità degli agroecosistemi, e in questo caso, della vite. Uno degli elementi essenziali del clima, che, insieme al vitigno, al territorio e alla maestria di chi fa il vino, esprimono la tipicità di un prodotto.

Quel giorno, arrivata a destinazione, mi trovai immersa in un vero e proprio anfiteatro naturale. A dire la verità appurare l’esattezza del luogo non fu davvero facile. In effetti, la sede della società agricola è poco segnalata. Comunque sia, dopo qualche telefonata chiarificatrice, riuscii finalmente ad iniziare la mia visita a Ca’Liptra. La scelta del nome prende spunto dall’apparato del fiore della vite, una sorta di cappuccio protettivo dell’infiorescenza, che si stacca all’avvenuta fioritura.

Una piccola realtà agricola a conduzione biologica nata nel 2012 dall’unione di tre soci, che, conclusi gli studi di enologia, dopo il tirocinio a Cupramontana – capitale storica del Verdicchio – si sono innamorati a tal punto della zona da trasferire qui le loro vite. “Fare vino insieme”, questo è il progetto. Uno di loro, Roberto Alfieri – mia gentile guida – è giunto qui da Monza, sua terra di origine: “Il Verdicchio l’ho conosciuto e apprezzato durante il mio praticantato a Cupramontana. È molto interessante la sua evoluzione, soprattutto se invecchiato almeno cinque anni.”

Partiti con due ettari di vigneti, parzialmente recuperati, oggi ne allevano nove. Sette nella Contrada di San Michele, zona storica esposta a sud – la zona più calda di Cupramontana – con terreni molto scoscesi e vigne con una pendenza media del 40 %, e due in Contrada San Marco. Vigneti inerbiti trattati solo con rame e zolfo. In una modesta struttura, ancora in via di sistemazione, dal 2012 vinificano in una piccola cantina affinando in acciaio e vasche di cemento, per un totale di circa 20.000 bottiglie annue.

Sapidità, acidità e mineralità, il denominatore comune dei loro vini:

KYPRA : Verdicchio in purezza, lieviti indigeni. Espressione del territorio di Cupramontana, unione di parcelle diverse. Fermenta e affina sulle fecce fini, in vasche di cemento, per almeno 8 mesi.

S.MICHELE 21 : Verdicchio in purezza. Vino di vigna. 0,55 ettari, 350 m s.l.m. con filari esposti a sud-est. Fermentazione spontanea senza controllo di temperatura in barriques di più passaggi. Affinamento per 12 mesi sulle fecce di fine fermentazione e 6 mesi in bottiglia.

LE LUTE : Verdicchio in purezza, metodo classico. Uva raccolta da un singolo appezzamento a 380 m s.l.m. con filari esposti a sud. Prodotto solo in annate particolarmente favorevoli. Affina in bottiglia per oltre 36 mesi.

CALIPTRA : Trebbiano in purezza, lieviti indigeni. Vengono effettuate due diverse raccolte: la prima, anticipata, per mantenere l’acidità e la seconda a maturazione, con breve macerazione sulle bucce. Le due masse, tenute separate fino a fine fermentazione, vengono poi unite per l’affinamento, che si svolge in vasche di acciaio per sei mesi sulle fecce fini.

ARANCIO : Trebbiano in purezza, lieviti indigeni. Proveniente da una singola vigna a 220 m s.l.m. esposta a est. Una lunga macerazione sulle bucce lo sfuma d’arancio. Affinamento di otto mesi in acciaio sulle fecce fini.

AMISTA’ : Montepulciano in purezza. Proveniente da una piccola vigna di 0,27 ettari a 200 m s.l.m. esposta ad ovest. Dotato di freschezza e bevibilità, poiché svolge una breve macerazione di 2-3 giorni. Termina la fermentazione in barriques esauste e vasche d’acciaio, affinando sulle fecce fini per 9 mesi.

            Società Agricola Ca’Liptra – Via San Michele, 21 Cupramontana (AN) www.caliptra.it

 




Verso Cupramontana, sull’antica strada del Verdicchio

Le Marche, tanto belle tanto ancora poco conosciute. Mi riferisco soprattutto all’entroterra, e, per gli appassionati come me, alle sue antiche strade del vino. Percorsi costellati da colline e borghi storici che fanno brillare gli occhi per la bellezza dei paesaggi. Tra i tanti, nella mia ultima escursione, ho voluto sceglierne uno legato da sempre alla coltivazione della vite. Un comune parzialmente montano il cui nome fa riferimento al culto della dea Cupra, una divinità italica protettrice della fecondità della terra. Mi riferisco a Cupramontana, borgo storico situato a 505 metri s.l.m. nel cuore delle Marche, che dal 1939 si è guadagnato l’appellativo di capitale del Verdicchio, per la valorizzazione che ha saputo dare a questo vitigno.

Ricordo che anni fa, ad uno dei miei corsi di avvicinamento al vino, trovai singolare la somiglianza genetica che lega il Verdicchio ad un vitigno veneto. Mi riferisco al Trebbiano di Soave, coltivato nella provincia di Verona e Vicenza, ma non solo. Tra le ipotesi più accreditate sembra che quest’antica ‘parentela’ sia dovuta ad una migrazione di agricoltori veronesi che nel Quattrocento, per fuggire alla peste, si trasferirono nell’anconetano. Un esodo forzato e documentato, che indusse la popolazione veneta a portare con sé anche le barbatelle delle loro viti. Ovviamente con il passare dei secoli questo vitigno ha saputo ben adattarsi alle condizioni microclimatiche e alle caratteristiche geomorfologiche del terreno, esprimendosi al meglio e assumendo una vera e propria identità organolettica, grazie alla quale può considerarsi un vitigno autoctono. Il Verdicchio – il cui nome ha origine dalle persistenti sfumature verdi dell’acino – è un vitigno versatile che, se lasciato invecchiare, sorprende per la complessità e l’eleganza. Due le denominazioni: Verdicchio dei Castelli di Jesi, di carattere e struttura con tratti alcolici importanti, e Verdicchio di Matelica, più delicato e con un modesto grado alcolico.

Mario Soldati nell’autunno del 1970, durante il suo secondo viaggio alla scoperta di vini veri, raccontò in “Vino al Vino” il suo incontro con il Verdicchio, o meglio, con il Verdicchio della cantina Castellucci di Montecarotto. Un’esperienza ricca di profumi intensi, freschi, pungenti. Colori giallo paglierino verdolino. Sapori dapprima abboccati, poi aciduli, con un’aromaticità che a Soldati riportò alla mente alcuni Riesling, Chablis, Gewürztraminer e Pinot grigi: “La classe è la stessa, ma la composizione degli aromi è diversa, particolare al verdicchio, o almeno a questo Verdicchio, e, insomma, unica.”  Divagazioni a parte, il territorio di Cupramontana è indissolubilmente legato alla viticoltura e alla produzione di Verdicchio. Passeggiando nel suo centro storico, dal tipico aspetto medioevale, ho trovato assai interessanti le botteghe specializzate nella vendita di materiale per l’enologia. La vista delle loro vetrine la dicono lunga sugli interessi della gente di queste terre.    

Continuando con la mia passeggiata ad un tratto il mio sguardo si è rivolto ad una struttura a dire poco imponente. Un gioiello di architettura risalente a inizio ‘700 che avevo tutta l’intenzione di visitare. Peccato che fosse chiusa! Nonostante ciò, come spesso accade nei piccoli paesi, se gentilmente chiedi… ottieni! Così è stato anche questa volta grazie all’assessore alla cultura del comune di Cupramontana, la gentile Maddalena Mennechella, che per caso si trovava sul posto per sbrigare alcune faccende. La sua cortese e simpatica ospitalità mi ha permesso di visitare il MIG – Museo in grotta, un percorso museale situato nelle magnifiche grotte del Convento di Santa Caterina. Un labirinto di cunicoli scavati nell’arenaria tutelati dal Ministero per i Beni e le attività Culturali, in cui attraverso pannelli espositivi e materiali didattici viene raccontato il prodotto simbolo di questa terra: il Verdicchio. All’interno presente anche il Museo dell’etichetta, in cui sono esposte numerose etichette selezionate dal premio ‘etichetta d’oro’.

L’ultima tappa della mia escursione a Cupramontana è stata all’azienda agricola Ca’Liptra. Ma di questa visita vi racconterò meglio nel mio prossimo scritto. Si, perché quel giorno le forti folate di vento mi hanno fatto pensare alla sua importante influenza in viticoltura. Prima di scriverne però voglio documentarmi meglio. 😉

MIG Musei in Grotta Cupramontana (AN) – www.museiingrotta.it

Photo credit Verdicchio: Turismo Cupramontana www.turismo-cupramontana.com




In ricordo di Lino Maga, uno degli ultimi poeti del vino

Caro Lino, quando ho saputo che hai lasciato questa terra, per un attimo ho avuto un sussulto e una sensazione improvvisa di vuoto. E’ passato un po’ di tempo ormai dall’ultimo nostro incontro. Ricordo che ero giunta a te grazie al nostro indimenticabile Presidente Sandro Pertini. La sua scelta di bere il tuo Barbacarlo – vino prodotto sulla Val Porrei, la collina di proprietà della famiglia che il nonno Carlo donò ai nipoti – e la determinazione con la quale hai difeso il suo nome, fino a garantirti l’esclusività, hanno evidenziato la tua tenacia nel combattere i soprusi. Ricordo ancora la grinta con cui mi hai raccontato le battaglie legali… “Cinzia, mai fermarsi, mai arrendersi!”

Ebbene, caro Lino, nei rapporti conta più la qualità che la quantità, noi lo sappiamo. Proprio per questo tu continuerai a vivere nei ricordi di chi ti ha conosciuto. Chi non ne ha avuto l’occasione, può conoscerti attraverso le tue parole. Qui di seguito riporto la poesia che mi hai donato e che custodisco tra le mie cose più care. Una delle tante poesie che hai scritto e che hai sparso nella tua bottega dedicate a chi con passione custodisce e rispetta la terra.

Il mio vino non segue le regole del mercato ma quelle del tempo e dell’esperienza, è succo d’uva della terra, del luogo che lo ha partorito, per la gente che ama ancora il sapore della terra. Lino Maga




Le vigne basse di Balter

Azienda agricola Balter, Rovereto (TN)

Siamo a Rovereto, in provincia di Trento. Fa freddo, ma neanche tanto visto il periodo. Ho lo sguardo rivolto ad una distesa di quelle che piacciono a me, di quelle che mi fanno sospirare, di quelle che amo. Alle mie spalle un castelliere, una struttura fortificata risalente al ‘500 posto su una collina a circa 350 m. s.l.m., in cui ha sede l’azienda agricola Balter.

Ho un appuntamento per una visita, ma prima di entrare, come è mia consuetudine, faccio un giro esplorativo per guardare meglio le vigne poste davanti alla struttura merlata. Mi colpisce la loro altezza, insolita da queste parti. Una scelta certamente dettata dai benefici conseguenti al calore conferito alla pianta dal terreno. Ma è ora che vada per conoscere meglio questa realtà agricola del Trentino Alto Adige.

Nell’accogliermi Nicola Balter mi racconta una storia di viticoltura nata agli inizi del 1870 in un edificio con ben due torri inizialmente costruito a scopo militare, e solo in seguito, adibito a mezzadria. Una storia interrotta dalle due guerre mondiali per la posizione strategica del castelliere, che portò, durante la seconda guerra, le truppe tedesche ad utilizzarlo come base contraerea.

Solo nel 1965, dopo vicende alterne e soprattutto un’attenta bonifica del terreno necessaria dopo la fine del conflitto, nuove vigne vennero piantate, inizialmente conferendo le uve ad altre cantine. Dal 1990, con la creazione della cantina interrata, vinificare è stato il nuovo obiettivo della famiglia Balter.

Dieci ettari circa di vigneto in un corpo unico con una superfice pianeggiante. Vigneti tradizionali a pergola trentina e fitti allevamenti a guyot di stampo francese. Per la produzione del metodo classico Chardonnay e Pinot Nero, per i vini rossi Lagrein, Merlot e Cabernet Sauvignon, per il bianco Sauvignon e Gewurztraminer.

Con il dovuto rispetto per il loro metodo classico, tra gli assaggi proposti ho apprezzato la buona combinazione di Lagrein e Merlot. Un vino schietto e avvolgente, con una maturazione in barriques per 8-10 mesi e un affinamento in bottiglia.

  • Nicola, una sola domanda. Davanti al castelliere ho osservato le sue vigne basse. Quando ne abbiamo parlato la sua risposta è stata: “È una mia scelta, basata anche su un pizzico di follia!” Mi può spiegare meglio?

Negli anni ’90 ho intrapreso un percorso di modifica degli impianti già presenti in campagna, andando ad aumentare molto il numero di piante per ettaro con un sesto di impianto molto fitto e l’altezza stessa delle vigne. Il calore del terreno aiuta la maturazione delle uve, soprattutto nel nostro caso porta giovamento ai vigneti a bacca rossa come il Cabernet Sauvignon o il Merlot. Sono impianti molto particolari che hanno suscitato nel tempo attenzione e studio degli addetti ai lavori.

Una passione per la campagna tramandata di generazione in generazione Balter, che vede oggi protagonista Nicola con la collaborazione attiva di sua figlia Clementina (recentemente eletta Presidente del Consorzio Vignaioli del Trentino).  Una realtà vitivinicola conosciuta per il suo metodo classico Trentodoc e per i vini fermi.

Azienda Agricola Balter  www.balter.it – Via Vallelunga II, 24  Rovereto (TN)




“Dal fare nasce l’esigenza di imparare.” Due belle storie di didattica e di ristoro in Brianza.

Il Buono di In-Presa’, caffetteria e pasticceria didattica della scuola di formazione professionale della Cooperativa Sociale di In-Presa; ‘Saporinmente’, ristorante didattico dell’Istituto alberghiero Don Carlo Gnocchi. Due belle realtà di Carate Brianza.

Qualche settimana fa, sempre nell’intento di ambientarmi e di conoscere interessanti realtà del territorio in cui da poco vivo, mi sono imbattuta, e devo ammettere sorprendentemente immersa, in un’area industriale dismessa di ben 50 mila metri quadri situata a poca distanza dal centro di Carate Brianza: l’ex Formenti, ora Distretto del Gusto. Ho scritto ‘immersa’ perché le atmosfere di quell’architettura industriale di un tempo, per me di grande fascino, negli ultimi anni oltre ad essere oggetto di recupero, hanno accolto e dato nuovi inizi a svariate attività artigianali, e non solo… (avremo tempo per approfondire). Ebbene, un polo che non poteva non attirare la mia attenzione per la molteplice tipologia delle offerte produttive: due birrifici, due scuole con annessa bar-pasticceria e ristorante, entrambi didattici, un’osteria, una produzione di cioccolato e di succhi di frutta, e molto altro ancora.

In effetti, dopo essermi soffermata sulla mappa orientativa posta in uno degli ingressi, ho deciso di iniziare la mia esplorazione partendo con la visita delle due scuole che formano operatori per il settore ristorativo-turistico.

Il Buono di In-Presa’, caffetteria e pasticceria didattica della scuola di formazione professionale della Cooperativa Sociale di In-Presa. 

Guidata dalla preside della scuola Chiara Frigeni, ho ascoltato la bella storia che ha dato origine a questo progetto. Un sogno di una donna, ora divenuto realtà, che ha lasciato un segno tangibile per il suo operato e per il suo metodo educativo e formativo. Un modello maturato negli anni dopo esperienze di affido con ragazzi difficili, che, superato un tirocinio presso artigiani locali, sono stati inseriti nel mondo lavorativo.

Un percorso formativo basato sull’attenzione al singolo, sull’accoglienza di una famiglia, sul lavoro e poi sulla scuola, pensato da Emilia per adolescenti con grave dispersione scolastica che non riescono a concludere il triennio di scuola media, o con difficoltà ad inserirsi nel circuito di istruzione di secondo grado per situazioni di abbandono scolastico o per disagi personali. Una formazione che si concretizza con svariati laboratori tecnici – tra cui quello gastronomico – con un orto didattico e con gruppi di studio che, oltre agli insegnanti prevedono il supporto di un tutor. Tirocinio e stage esterni vengono svolti coinvolgendo gli stessi imprenditori, che in un certo senso riscoprono il valore della propria arte in un’attività che educhi attraverso il lavoro.

Una proposta educativa in crescita che attualmente conta duecentottanta allievi applicata a più percorsi formativi. Per il settore enogastronomico, a me caro, ha portato alla realizzazione di una caffetteria e pasticceria didattica – Il Buono di In-Presa – condotta sistematicamente dagli studenti con il costante supporto dei docenti di sala e di maestri pasticceri. Dal fare nasce l’esigenza di imparare, questa è la formula. Un’idea nata nel 1995, trasformata in un progetto strutturato nel 2000, fino alla concretizzazione nel 2005, con la realizzazione di un vero e proprio centro di formazione professionale.

In-Presa, una cooperativa sociale costituita da alcuni soci fondatori, soci lavoratori e ad altri amici di Emilia Vergani, ideatrice e fondatrice nativa di Carate Brianza. Il 30 ottobre si è celebrato il ventesimo anniversario della sua tragica morte, avvenuta in un incidente stradale durante un viaggio in Paraguay.

Saporinmente’, il ristorante didattico dell’Istituto alberghiero Don Carlo Gnocchi.

Cinzia, una scuola così bella non esiste!” E’ così che Tiziana Villa – preside dell’istituto alberghiero Don Carlo Gnocchi di Carate Brianza – ha esordito durante il nostro incontro. Un istituto paritario nato nel 2008 con l’idea di unire le materie teoriche con quelle pratiche. Vera didattica consolidata da solide basi culturali, che punta a far comprendere agli studenti quanto sia importante usare la testa per fare andare le mani.  Un progetto di studio che ha dato vita a “Saporinmente”, ristorante didattico annesso alla scuola.

Anche qui si impara facendo, ogni giorno, attraverso l’esperienza critica. Duecentoventi studenti che con la didattica e l’esperienza diretta rivalutano l’importanza della sala, perché la sala racconta ciò che avviene in cucina.

Esperienze maturate anche grazie alla collaborazione con un maestro di cucina quale Claudio Sadler. Un esempio autentico di genialità che ha permesso agli studenti di avvicinarsi al mondo reale della gastronomia, difficile ma appassionante. Un incontro che ha portato alla realizzazione di una serata e di un menù elaborato con gli studenti.

Qui di seguito le impressioni di uno di loro: “L’aver incontrato e riconosciuto in Claudio Sadler un maestro ha rappresentato per noi un dono e, al tempo stesso, una sfida. Nonostante i nostri dubbi, la gratitudine per aver potuto conoscere da vicino il suo genio e il suo esempio ha vinto l’iniziale timore di non essere all’altezza, grazie, soprattutto, alla sua disponibilità a realizzare con noi una serata che ci vedrà protagonisti anzitutto come uomini, prima ancora che come chef. In forza di questa reale collaborazione, abbiamo infatti capito che, per donare l’eccellenza ai propri ospiti o, come direbbe lui, “ committenti”, bisogna riconoscere un inestimabile valore alla preparazione in ambito scientifico e umanistico, alla padronanza della parola, alla cura del dettaglio e, infine, al servizio, che deve essere impeccabile.”

Durante la visita nelle sala della scuola mi ha colpito l’attenzione al bello delle arti, pittoriche e non solo. Opere ampiamente esposte donate da artisti, la cui collaborazione è sfociata in cene tematiche aperte al pubblico. Un modo per coniugare e valorizzare l’arte e la creatività personale degli studenti, espressa attraverso i loro piatti.

A conclusione della mia visita, dopo aver parlato a lungo con Tiziana, la preside, ho ascoltato alcuni suoi desideri per il futuro. Il primo, è che questo istituto alberghiero diventi un modello replicabile ovunque, per far si che chi ha talento trovi un luogo idoneo per imparare ed esprimersi. Il secondo, è che questa scuola paritaria, sia pur prevedendo delle borse di studio, sia più accessibile a chi ha difficoltà economiche nel sostenere la retta. Infine, il terzo, è rivolto alle istituzioni locali, affinché potenzino la rete dei mezzi pubblici, agevolando gli studenti che provengono da Milano.

Scrivere di scuola e di didattica nel settore della ristorazione di questi tempi non è facile. Ho scelto di farlo perché nonostante il periodo difficile, gli studenti di queste scuole continuano a prepararsi per il futuro, esprimendosi con l’unico mezzo in questo momento consentito: il food delivery. Sostenerli significa contribuire a sostenere le loro speranze, e soprattutto, questo settore messo così a dura prova.

 

Società Cooperativa Sociale In-Presa www.in-presa.it   Via Emilia Vergani, 14 – Carate Brianza (MB)        

Istituto Scolastico Don C. Gnocchi www.liceodongnocchi.eu  Piazza Risorgimento, 1 – Carate Brianza (MB) 

 

Photo credit Istituto Don Carlo Gnocchi
 



Degustazioni alla cieca… una questione di sensi dalle tante sorprese!

Bergamo, 4′ edizione di Vino en primeur

Nei corsi che più o meno ognuno di noi appassionati di vino ha frequentato nel tempo, è stato insegnato che la degustazione del vino avviene attraverso un’analisi visiva, olfattiva e gustativa. Niente di più vero, a cui però mi sento di aggiungere che l’esperienza maturata negli anni attraverso gli assaggi, allena e forma, permettendo di valutare un vino con una maggiore consapevolezza. Esattamente ciò che dico a chi si avvicina al vino, e non ritenendosi un esperto, si ritrae dal darne giudizio. La cosa importante è sentirne i profumi e assaggiare… assaggiare… assaggiare… poco, buono e spesso. In primo luogo per il piacere personale, e in secondo per arricchire la propria memoria sensoriale.

Resta il fatto che la degustazione di un vino è una questione personalissima legata ai propri sensi. Se ne ha la riprova ogni qual volta che, dopo una degustazione alla cieca, senza nessun condizionamento dall’etichetta o dal produttore o dall’annata, i risultati sono una vera fonte di sorprese! Verdetti senza condizionamenti sicuramente più sinceri. È esattamente così che nell’ambito della quarta edizione di “vino en primeur”, si è svolta una degustazione alla cieca tra Riserve locali in sfida con i grandi Bordeaux.

Un confronto tra vini ottenuti dalla vendemmia 2018 provenienti dall’estremo limite ovest della provincia di Bergamo fino alla prossimità col lago d’Iseo, con noti Bordeaux, per un totale di quindici produzioni. Un evento a cui con piacere ho partecipato che ha permesso a degustatori ed estimatori di poter dialogare con i produttori dei vini in assaggio. Il tutto ha avuto luogo nelle sale di Tenuta Casa Virginia a Villa d’Almè, una cantina e agriristorante nel cuore del Parco dei colli di Bergamo.

Ebbene, dai punteggi finali della degustazione alla cieca, dopo due blasonati Bordeaux si è aggiudicato il terzo posto un vino bergamasco, e a seguire a non molta distanza di punti, altri vini prodotti dall’Adda all’Oglio. Un risultato che premia l’impegno comunicativo e la crescita qualitativa che negli ultimi anni hanno contraddistinto queste terre. 

Cosa resta da dire? Semplicemente che assaggiare ‘al buio’ è più che consigliato, ma soprattutto, è di grande insegnamento!

 

 




Vent’anni di Cantrina

Sono passati sette anni dal giorno in cui conobbi Cristina Inganni dell’azienda agricola ‘La Cantrina’ di Bedizzole, in provincia di Brescia. Giunsi fino a lei seguendo uno dei tanti consigli che in quel periodo guidavano la mia vita. Un susseguirsi di tappe che mi portarono a conoscere e a scrivere storie di persone legate alla terra. Un emozionante percorso che, con tempi più lenti e con una consapevolezza diversa, è tuttora in corso. Ricordo ancora la fatidica frase che chiudeva ogni mio incontro: “Cinzia, devi conoscere…” Fu grazie a uno di questi consigli che in una mattina d’estate arrivai da lei. Ricordo ancora che dopo uno sguardo alla vigna – che come di consuetudine contemplo per conto mio quasi fosse un biglietto da visita – andammo in cantina e lì iniziammo a raccontarci…

Cristina Inganni non è nata vignaiola. La sua vena creativa l’ha portata in origine a orientarsi verso l’Accademia delle Belle Arti di Milano. Fu il suo primo marito, Dario Dattoli, noto ristoratore bresciano appassionato di vini, a intraprendere nel 1990 l’attività vitivinicola. Un percorso che si interruppe tragicamente tra le sue vigne nel 1998, a causa di un incidente fatale con un mezzo meccanico. Un momento difficile della sua vita che l’ha messa a dura prova, ma a cui ha saputo reagire con forza grazie all’aiuto di Diego Lavo, esperto viticoltore e parte attiva dell’azienda. Ebbene, sono passati vent’anni dall’inizio di questa avventura nel mondo del vino, anni in cui ‘La Cantrina’ – dal nome del piccolo borgo rurale della Valtènesi – si è evoluta anche grazie alla formazione artistica di Cristina. Un’impronta creativa sia nell’attività in vigna che nell’attività in cantina che lei ama definire così:

“Un libero esercizio di stile. Libero perché mi piace essere creativa, esercizio perché io chiamo esercitazioni i miei vini, stile perché ognuno di noi possiede il proprio”.

Il 13 maggio per festeggiare il XX° anniversario di fondazione della cantina, ho avuto il piacere di partecipare alla degustazione di una selezione delle venti vendemmie dei vini più rappresentativi dell’azienda: Rinè (annate 1999, 2002, 2005, 2008, 2013, 2017), Nepomuceno (annate 1999, 2001, 2005, 2007, 2011, 2015), Sole di Dario (annate 1999, 2001, 2006, 2009, 2012).

Una coltivazione in regime biologico sviluppata su 8 ettari di vigneto con varietà alloctone e vitigni locali, di cui in particolare il Groppello, che occupa il 40% della superficie. Un vitigno autoctono della sponda bresciana del Lago di Garda a bacca rossa, il cui nome ha origine dall’espressione dialettale ‘groppo’ (nodo) per i caratteristici acini serrati tra loro. Protagonista enoico della Valtènesi (circa 400 ettari) ha due varietà: il Groppello Gentile e il Groppello di Mocasina.

Otto i vini prodotti: Chiaretto DOC Riviera del Garda Valtènesi (vitigno: Groppello), Rosanoire vino rosato (vitigno: Pinot Nero), Rine IGT Benaco bresciano bianco (vitigni: Riesling, Chardonnay, Incrocio Manzoni), Doc Valtènesi (vitigni: Groppello Gentile 90%, Groppello di Mocasina 10%), Nepomuceno IGT benaco bresciano rosso (vitigni: Merlot, Rebo e Marzemino), Zerdì IGT benaco bresciano rosso (vitigno: Rebo), Sole di Dario vino passito bianco (vitigni: Sauvignon, Semillon, Riesling), Eretico vino da tavola rosso dolce (100% Pinot Nero) per un totale di circa 40 mila bottiglie.

La Cantrina, una realtà produttiva in continua evoluzione che gli affezionati turisti stranieri dell’entroterra del Garda, attraverso gli assaggi nei ristoranti locali, visitano e ben conoscono.

Il vino nasce prima nella testa, ancor prima che nel vigneto, ancor prima che in cantina… devi avere un’idea del vino esattamente come nell’arte.  Cristina Inganni

 

Az. Agr. Cantrina di Cristina Inganni

Via Colombera, 7 – Bedizzole (BS)  www.cantrina.it

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