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Greatest Chef China Italy edition: Liu Peng Vs Eugenio Boer. Una sfida tra chef.

Domenica 8 Giugno, insieme all’amica Doriana Tucci, ho partecipato ad una serata particolare: una sfida tra i migliori chef cinesi a confronto con chef di fama internazionale.

Lo show si è svolto al Boscolo Hotel di Milano con la registrazione di una puntata del Greatest Chef China Italy edition.  Protagonisti della serata: Liu Peng e Eugenio Boer.

 

Più che una sfida, una vera comparazione tra tecniche, tradizioni e prodotti. Questo programma televisivo di Alta Cucina viene messo in onda su CCTV, la televisione di stato cinese, e nel contempo viene promosso online.

Pensate che nell’edizione del 2013 la media di spettatori a serata è stata di venti milioni con punte di ascolto che ha toccato i trentacinque. Caspita! Senza ombra di dubbio è il momento della cucina e dei suoi protagonisti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo!

Anche se ultimamente forse si eccede con la condivisione di immagini di cibo, resta il fatto che la gente ama la creatività con la quale i cuochi, ormai quasi vere superstar, lo trasformano.

Durante la serata, seduta a fianco alla deliziosa Patricia Contreras, giovane artista e fotografa messicana, tra una chiacchiera e l’altra ho assaggiato e votato i piatti di questa competizione di gusto.

Volete sapere chi ha vinto la sfida? Naturalmente l’Italia! A rappresentarla lo chef Eugenio Jacques Christiaan Boer.  Vediamo di conoscerlo meglio…

Eugenio Boer

Chef Eugenio Jacques Christiaan Boer

Di padre Olandese e di madre ligure, Eugenio è cresciuto in un mix di culture culinarie molto diverse fra loro.  Già a tre anni cucinava in Olanda con la nonna Rosa, la mamma di sua madre. L’amore per la cucina è nato così, con la pasta fresca che insieme preparavano tutti i giovedì per la gioia di suo padre. A dodici anni la decisione di lavorare in un ristorante nonostante il parere contrario della famiglia. Alla fine, vista la testardaggine del figlio accettarono, ma solo a patto che in contemporanea finisse gli studi da Ragioniere.

Lavoravo e andavo a scuola, ma ero felice. Quello che facevo mi piaceva, e mi piace tutt’ora. Sono stato veramente fortunato negli anni della gavetta. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi Maestri di vita, oltre che inequivocabili professionisti. Mi hanno aiutato a crescere insegnandomi a cogliere il ‘vero’… evitando il ‘superfluo’.  Ora questi insegnamenti, anche quelli più duri e umilianti, so che mi sono serviti.

– Eugenio, ti riporto un commento che ha fatto una persona di mia conoscenza riferendosi alla tua folta barba: “Uno chef è come un medico e un soldato, deve sapersi presentare. Rasato o al limite con la barba corta.”

Leggendo questo commento non posso che sorridere. Ho scelto nella mia vita una formazione di severa disciplina. Solo chi è ‘costretto’ nelle idee e nelle esecuzioni, può dare veramente un nuovo risvolto al suo operato.  E’ per questo che io non giudico l’attività di un professionista dal suo aspetto estetico, sia pur comunque curato.

– Cosa pensi della cucina cinese?

Amo l’Oriente e l’Asia in generale, un mondo che mi ha sempre affascinato e che mia moglie Emma mi ha fatto conoscere aiutandomi a superare una mia fobia per il volo.  Ma questa è un’altra storia…

 

 




E’ possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie? Risponde lo chef Giorgio Perin

Ho conosciuto Giorgio Perin durante una serata dedicata al Nebbiolo che si è svolta pochi giorni fa al MO.OM Hotel di Olgiate Olona, in provincia di Varese. E’ ormai mia abitudine, se valuto interessanti le argomentazioni del mio interlocutore, approfondire la sua conoscenza con due chiacchiere che mi permettono di capire e soprattutto continuare ad imparare.

Chef Giorgio Perin -

Chef Giorgio Perin

La scelta di Giorgio di fare il cuoco è stata quasi una tappa obbligata. In quegli anni gli indirizzi scolastici privilegiati erano infatti rivolti alle scuole professionali che permettevano un ingresso immediato nel mondo del lavoro. Nato a Verbania, optò per la scuola Alberghiera di Stresa inizialmente senza alcuna ambizione di carriera.

Stagione dopo stagione, lontano dagli affetti e dalle amicizie, il percorso ha incominciato ad entusiasmarlo. La fortuna di poter lavorare accanto a grandi Chef del Novarese, gli ha permesso di formarsi imparando i fondamenti della cucina classica che poi ha mantenuto negli anni come pilastri del suo metodo lavorativo. Come si suol dire, da cosa nasce cosa.

Detto ciò vi presento l’Executive Chef dell’Hotel MO.OM Giorgio Perin.  A lui la parola.

  • Giorgio, Secondo te è possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie?

Non solo è possibile, ma è necessario se si vuole produrre un buon risultato che accontenti sia la clientela che la casa per cui si opera. Non è forse quello che normalmente si fa in ogni famiglia? Si cerca di contenere i costi e di soddisfare tutte le esigenze. Un risultato che si può ottenere attraverso un’accurata selezione dei prodotti, un’adeguata calibratura delle merci, e un metodo di cottura che eviti gli sprechi riducendoli al minimo o addirittura annullandoli.

  • Meglio la ristorazione di ‘ieri o quella di oggi’?

Credo che non ci sia il meglio dell’una senza il meglio dell’altra. Mi spiego. Oggi si tende a ricercare sempre nuovi gusti, nuovi abbinamenti, e nuovi metodi di cottura per accontentare sia i palati che le necessità di restringere il tempo di attesa e di consumazione dei piatti. Non dobbiamo però dimenticare che nella cucina ‘di ieri’ ci sono gusti, profumi e genuinità che nessuna novità di oggi potrebbe mai far scordare. Molte ricette di oggi sono rivisitazioni dei piatti di ieri, i più genuini e naturali.

  • Consiglieresti a tuo figlio/a di percorrere la tua strada?

Ogni lavoro, se fatto bene, è passione impegno e fatica, così come ogni persona è artefice del suo destino. NO, non ho consigliato ai miei figli il mio lavoro, ne loro hanno mai espresso la volontà di farlo. Personalmente sono felice che si sentano realizzati nelle loro scelte.

Chef Giorgio Perin

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  • Secondo te perché le donne fanno più fatica ad affermarsi nell’alta ristorazione?

A mio parere è difficile ma non impossibile. Questo lavoro se fatto con passione richiede grande dedizione, sacrificio e tempo. Non ne farei dunque una questione di capacità o di possibilità, ma di abnegazione di se stessi. Arrivare all’alta ristorazione può voler dire rinunciare alla famiglia, al divertimento e al tempo per se stessi. Le cose però anche in questa direzione stanno cambiando.

  • La cucina è una questione di sensi. È scientificamente provato che le donne hanno una sensibilità maggiore. Proprio per questo motivo accetteresti di lavorare a fianco a una donna?

Qualche anno fa avrei avuto delle grosse riserve se mi avessero proposto una collaborazione uomo-donna in cucina, forse per il mio carattere dominante, forse per partito preso, o forse semplicemente perché ho sempre visto il mio lavoro “Uomo”. Oggi sarei più aperto a questa possibilità, ma non lo farei per una questione di sensibilità, perché per cucinare bene, per abbinare gusti, per creare effetti cromatici, questa dote è indispensabile a prescindere dal sesso.

Cinzia, concludo queste nostre due chiacchiere rivelandoti che ho trascorso quasi un’intera vita appassionandomi ad un lavoro che mi ha richiesto grandi rinunce ma che mi ha dato enormi soddisfazioni. Grazie a questa lunga esperienza ho potuto conoscere grandi menti, altri paesi e culture. Sono tutt’ora operativo e soddisfatto dei miei risultati. Ringrazio la mia famiglia per il paziente, entusiasta, oggettivo supporto senza il quale sarebbe stato tutto molto più difficile. In Fede, Giorgio Perin.

Come non condividere le parole di Giorgio. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, è il supporto più importante nella vita. E’ il nido che ci scalda nei momenti freddi e ci sostiene nelle difficoltà. Mai darla per scontata…

La cucina dello Chef Giorgio Perin.




Piero Bertinotti, un uomo che non ha le ‘stelle’, perché lui le stelle, quelle vere, ce le ha già.

La prima volta che ho visto Piero Bertinotti è stato come vedere un vecchio tronco d’ulivo. Avete presente gli ulivi secolari, quelli segnati da tanti solchi che attirano lo sguardo per la fierezza e per la pace che trasmettono? Ebbene, non so spiegarvi meglio a parole, so per certo che la sensazione che ho provato è stata questa, ma non solo… guardando Piero, quella sera, ho rivisto in lui il volto di mio padre.

Credo che sia passato più di un anno da quella volta, comunque sia era rimasto in me come un filo sospeso, chiamatele pure sensazioni, ma io dovevo tornare a trovare quell’uomo con cui sentivo la necessità di parlare. Vivo d’istinto, convinta che nel bene e nel male tutto abbia un senso.

Piero Bertinotti, insieme alla figlia Paola e alla nuora Laura, conduce a Borgomanero in provincia di Novara, il ‘Ristorante Pinocchio‘. Un locale che nel 2012 ha festeggiato cinquant’anni di attività creato con la moglie Luisa. Una realtà, come spesso accade, nata da una passione.

Piero non è nato cuoco, la sua vita lavorativa è iniziata come autista di camion nell’azienda di suo padre. Fu nel Novembre del ‘62, con l’acquisto dei genitori del ‘Bar Pinocchio’ a Borgomanero, ad avvicinarlo alla cucina. Il tempo, l’esperienza e l’entusiasmo poi hanno fatto il resto.

Ci sono cose di cui non si riesce più fare a meno. Non sempre si può scegliere quello che vorremo, ma che soprattutto amiamo fare. Dicono che volere è potere, io dico solo che chi non prova ha già perso. Piero ce l’ha fatta. Nel suo locale dall’atmosfera fiabesca si può evadere per un momento dalla realtà. Anche se non ha le ‘stelle’, personalmente sono convinta che le stelle vere, lui ce le ha già.

Quando sono tornata a trovarlo, aspettandolo mentre era ancora in cucina, mi sono seduta esattamente nello stesso posto che avevo occupato la prima volta in cui ero stata li. Davanti alla grande finestra, guardando il giardino bagnato dalla pioggia, tra un discorso e l’altro con Laura e Paola correvano i pensieri interrotti di tanto in tanto dai piatti che assaggiavo.

Quell’atmosfera nostalgica e il piacevole sottofondo musicale ad un tratto hanno attirato il mio sguardo verso un uomo che in sala guardava come me ammirato una pianta di mimose. Non ho più timore di dire ciò che sento. E’ per questo che in modo spontaneo non mi sono trattenuta dal dire… “Ma quanto è bella la vita…”  Lui mi ha guardato, e condividendo lo stesso pensiero mi ha sorriso.

Una volta concluso il pranzo mi sono spostata nel salotto davanti al camino. Guardando ardere la legna riflettevo sul ‘calore’ che trasmette il fuoco, nel senso più lato del termine. Una volta c’era un camino in ogni casa, era quello il nido, il punto di ritrovo della famiglia. Ho molta nostalgia di quei tempi…

Mentre aspettavo che Piero mi raggiungesse, su un tavolino ho notato il calendario di auto storiche dell’Associazione i Miserabili di Borgomanero. Una passione che ci accomuna e che coltiviamo entrambi appena il tempo ce lo permette.

Al suo arrivo, dopo i saluti di rito, credo che si aspettasse le solite domande. Io non faccio interviste vere e proprie, o meglio, diciamo che ciò che mi interessa è capire le persone quando sento che il loro essere può trasmettermi qualcosa. E’ un mio modo di imparare ascoltando l’esperienza di chi, come Piero, conosce bene un settore che amo molto ma dalle tante sfaccettature.

Abbiamo passato così il pomeriggio, tra aneddoti, consigli e racconti di vita. Ve ne racconterò uno che mi ha colpito in particolare. Una sera di qualche anno fa Piero ricevette una telefonata per una prenotazione dell’ultima ora. La signora al telefono chiese di poter cenare insieme ad un’altra persona alle 21.30 giustificando il ritardo per un rientro dall’estero. Piero nonostante l’orario acconsentì, raccomandandosi però di non tardare.

Da li a breve la signora richiamò avvisando che purtroppo avrebbero tardato di un’ora per cause non dipendenti da loro. Piero sentito il tono mortificato accettò, a patto che le due persone si fossero accontentate di piatti semplici. La coppia arrivò: si trattava di Oscar Farinetti e della sua assistente, di cui Piero non era al corrente, ma che ben conosceva. In un’epoca dove i più vanno avanti con nomi altosonanti, ascoltare questa storia mi ha fatto molto piacere. Il resto lo lascio a voi.

A conclusione della nostra chiacchierata, quando gli ho chiesto se avesse avuto qualcuno negli anni a cui ispirarsi, non ha esitato un attimo a rispondermi.  Mi ha parlato di un ‘Cuoco con la C maiuscola’ che lui considera il migliore. Un uomo che non ama stare sotto i riflettori, uno spirito libero da alcuni considerano folle.

La follia, quella vera, la vediamo tutti i giorni nelle persone che all’apparenza ci sembrano normali. Quella che intendo io è ben altra cosa, è sinonimo di genialità che attraverso le idee cambia il mondo. Amo le sfide e le persone di carattere, a volte ruvide, ma che lasciano il segno. Ovviamente mi sono fatta dare il nome di quel Cuoco che per ora terrò per me. Prima devo conoscerlo.

A proposito, non vi ho detto che la prima volta che sono stata da Piero ho mangiato le lumache più buone della mia vita! Ve le consiglio… 😉

Piero e Paola

Piero e Paola Bertinotti con il libro ‘Segreti di Famiglia’: ricette di casa tramandate di generazione in generazione raccolte tra gli amici.  (fotografia di Paola Bertinotti)




Roberto Franzin, un cuoco a Roma con il cuore a Treviso

Ci sono cuochi che sentono la necessità di vivere in intimità la loro cucina. La loro missione è, oltre che cucinare, dare la giusta espressione del territorio ai piatti che elaborano.

A tal proposito mi vengono in mente le parole del mio caro amico romano Giorgio Ferrari: “Il territorio italiano pulsa di Storia ad ogni passo. Perché certi piatti si fanno così in un determinato posto e non in un altro? Perché la creatività, la fantasia e le esigenze della gente di quel posto hanno creato quella cucina”.

E’ cosi che Roberto Franzin, un cuoco di Treviso trasferitosi a Roma da qualche anno, mi ha descritto il suo lavoro. Ho avuto modo di conoscerlo recentemente ad un workshop organizzato dal Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana a cui ho partecipato.

Lui di Treviso, io di Treviso… bè, il risultato è stato di tante chiacchiere e sorrisi. Roberto ha un sogno nel cassetto, tornare a casa, tornare alla sua Treviso. Un sogno che condividiamo… Ma ora è il suo momento, e quindi vi racconterò di lui.

Ha iniziato lavorando in una trattoria di campagna dove la cucina povera era protagonista.

“Cinzia, ricordo quel periodo con profonda emozione, perché oggi più di prima sono convinto che quello che mi hanno insegnato allora, è più importante di quello che pensavo di aver scoperto dopo”.

Suo padre lavorava la terra per conto di terzi, a volte Roberto lo seguiva nel vigneto. La terra insegna…

“Con lui ho imparato a sentire il profumo della terra, ma non solo, ho imparato che le piante vanno amate, non dominate… niente deve essere forzato”.

Sua madre per breve tempo conobbe la Sicilia e il calore e i profumi di una terra unica.

“Lei mi ha trasmesso l’amore per la cucina e il rispetto di quei prodotti che sapientemente coltivava nel suo orto. Ho carpito così il gusto delle cose semplici… nei ricordi interpreto il presente”.

Il suo percorso di cuoco è iniziato nel 1985 al Ristorante L’Estroso, a Oderzo, in provincia di Treviso.

“Gli anni passano, e dopo un decennio mi accorgo che per seguire bene la mia passione devo liberarmi della burocrazia e della contabilità. Da qui la scelta di lavorare come chef alle dipendenze, occupandomi esclusivamente del menu e della gestione della cucina… raggiunta la mia maturità potevo finalmente dedicarmi alla mia passione: mi offrono di prendere la guida del Ristorante La Corte della famiglia Zanon presso il Relais & Chateau Villa Abbazia di Follina, nobile palazzo del XVII secolo.”

Il 14 Agosto 2009 Enzo Vizzari, direttore dell’Espresso, organizza a Treviso un convegno sulla cucina facendo intervenire due grandi docenti del panorama europeo: Santi  Santimaria, cuoco spagnolo del Ristorante Can Fabes, e lo chef  Jean-François Piège, cuoco francese di Les Ambassadeurs Hôtel de Crillon di Parigi. In quell’occasione Roberto osserva cercando di capire i due poli di congiunzione di due grandi della cucina a cui ha l’onore di assistere.

“Pièges grande tecnica, Santimaria territorio puro. Sono curioso, ho imparato a osservare, non mi limito a guardare: sono due cose diverse. Ritengo sia importante la ricerca, ma non mi piacciono le cose estreme. Alle volte mi concedo qualche volo, pur restando sempre legato al mio territorio. Cerco di rivalutare la materia prima, perché la considero il punto di partenza per una buona cucina”.

Ed è proprio con Santi Santimaria, che, dopo una lunga chiacchierata e un pezzo di pane intinto con un pomodoro e condito con olio extravergine d’oliva, si apre la via. I piatti di Roberto iniziano ad alleggerirsi.

“Decisi allora di concentrarmi sulla ricerca delle mie radici, trovare l’espressione per far sentire chi ero e da dove venivo. Oggi la mia cucina è cosi…. Territorio”.

Il percorso di Roberto è continuato a Roma, all’Osteria Le Coq. Il destino alle volte ci porta via dalla nostra terra, dai ricordi, dai suoi profumi. Il richiamo delle radici però è troppo forte…

“Quando torno a Treviso l’emozione è sempre la stessa.  Credo che in ognuno di noi risieda questo legame del vissuto, del richiamo delle radici, quasi un cordone ombelicale… Il ricordo del pranzo della domenica, dell’profumo del bollito, del rafano che mio padre grattava e conservava sotto l’aceto, del pane della festa, dell’odore della legna che brucia nel camino… Nella mia cucina e nei piatti che abitualmente preparo, vengono evocati quei momenti”.  

Oggi Roberto, presso il ristorante Le Coq, elabora un menu dal nome Briciole legate al suo essere. Una sequenza di portate che racconta, affacciandosi dalla cucina ai tavoli, per far partecipare gli avventori come se fossero seduti nella cucina di casa sua.

“Non mancano le contaminazioni, come la Carbonara D’Oca coi Bigoli, le Oche che i Romani portarono a Mondragon, piccola collina del trevigiano. Li le allevavano per alimentare il popolo ebraico della Giudecca, sono cosi che nascono i miei piatti. Non dobbiamo dimenticare la storia… se facciamo un passo indietro, torniamo a quello che io ritengo sia il futuro. Come per lo storione in porchetta, per ricordare ai romani che un tempo anche il Tevere era popolato da questo pesce preistorico. Questo genere non si è mai evoluto alle esigenza del territorio, ma ha preferito allontanarsi. Oggi nel Sile e nel Piave esistono ancora degli esemplari che sono protetti. Il gioco e li, risiede in quel sasso rovente raccolto nel Piave che regge un trancio di quel pesce che un tempo popolava quasi tutto l’adriatico e i suoi fiumi, la brace sotto a formarne una affumicatura lieve, accompagnato da un gelato in carpione di acqua di radicchio e cipolla di Bassano con sentori di fumo. Il carpione era usanza della cucina di un tempo come il savor, per conservare più a lungo i cibi cotti… ma qui messo per conservarne la storia”.

Non dimenticare da dove vieni, altrimenti non potrai raccontare chi sei, queste le parole che mi ha confidato Santi Santimaria… Roberto Franzin

 




Le fettuccine allo zafferano raccontate da Enrico Fiorentini, lo chef, ma soprattutto l’uomo

Qualche sera fa Enrico Fiorentini, chef del Ristorante Il Canneto presso lo Sheraton Milan Malpensa Airport Hotel, mi ha proprio stupito! Ora vi spiego il perché…

Quando vedo pubblicate sui social network fotografie di piatti senza le minime spiegazioni mi stizzisco alquanto. Mi piace capire quello che vedo, ed è per questo che la curiosità di conoscere non mi trattiene dal chiedere informazioni in merito alle creazioni dello scorribande cuciniere di turno.

Sono convinta che la curiosità, se ben posta, vada a buon fine. E’ giusto chiedere senza alcun timore di non sapere. Molti non sanno, ma ahimè non chiedono. Si può fare buona cultura del cibo, dei vini, degli oli e degli aceti anche così, con pillole informative che fanno scoprire un mondo sommerso di cose buone.

Bene, questa volta il fotografo-cuoco-creatore ad essere pizzicato è Enrico Fiorentini.

Devo confessarvi, visto che io stessa quasi non ci credevo, che, dopo un paio di volte in cui ironicamente gli ho sottolineato la mancanza, per rimediare ha voluto dedicarmi un piatto, ma non solo, me lo ha anche raccontato senza che io glielo chiedessi! 😉

Leggete qui di seguito come lo ha descritto…

“Fettuccine allo zafferano trafilate al bronzo con crema al finocchietto, prugne rosse e cacao”

Cinzia, la fettuccina allo zafferano trafilata al bronzo, è una produzione limitata dell’Az. Agr. Vigna di More, un’azienda marchigiana molto piccola, anzi piccolissima, di cui la titolare è una delle persone più semplici e genuine che io abbia mai incontrato.

La prugna rossa in questo periodo è al suo massimo, con l’equilibrio tra aspro e dolce è estremamenteFettuccine trafilate al bronzo sugosa. La fava di cacao impreziosisce e dona quel carattere di croccantezza e autorevolezza nei confronti dello zafferano, nobile spezia ricavata dal cuore dei fiori. Il finocchietto selvatico infine, è l’erba spontanea per eccellenza in questa stagione, dona freschezza, leggerezza e piacevole sensazione di pulizia al palato.

Ti ho dedicato questo piatto perché secondo me hai molte similitudini con tutte queste qualità che ho appena elencato. Una sobria eleganza e una sofisticata semplicità… un connubio di qualità che potrebbero sembrare contrastanti, mentre invece sono l’una la compensazione dell’altra. 

Devo dire che Enrico mi ha piacevolmente sorpreso. Pensate che appena l’ho conosciuto mi stava un pochino antipatico. Gli ho chiesto di raccontarmi un po’ di lui, ma con una raccomandazione, di usare il cuore…

Ma chi è Enrico Fiorentini? Intendo l’uomo, oltre che lo chef…

Cinzia, posso iniziare col dirti che mi piaceva stare in cucina visto che i miei, per motivi di lavoro, erano spesso assenti.  Il sabato era giorno di mercato, si faceva la spesa, e poi, tornati a casa, si pulivano le verdure. Mi piaceva la manualità e la trasformazione dei prodotti in pietanze, era affascinante, e lo è ancora. Ricordo un vecchio libro di cucina trovato in un cassetto, “Il Carnacina”. Inizialmente mi risultava quasi incomprensibile, poi, in occasione delle festicciole a fine scuola ai tempi delle medie, l’ho utilizzato cimentandomi in qualche ciambella marmorea non propriamente lievitata, al pensiero sorrido ancora…

Quando giunse il momento di scegliere l’indirizzo della scuola superiore mi è venuto spontaneo orientarmi verso l’alberghiero. Non ero conscio della vita di sacrifici alla quale andavo incontro. Già dal primo anno fui coinvolto dal mio chef dell’epoca, Marco Olivieri, in piccoli eventi extra scolastici. A distanza posso dirti senza alcun dubbio che ho avuto fortuna, perché si trattava di un serio professionista che svolgeva il suo lavoro con passione. Ecco la parola chiave per chi si avvia verso questa carriera, la passione e il feeling, requisiti fondamentali per chi vuole cucinare.

Non nascondo che mettevo più impegno nel lavoro che nella scuola, ovviamente quando ce n’era l’opportunità; per questo colgo l’occasione per ringraziare la mia famiglia che costantemente mi ha sempre appoggiato. Finiti gli studi ho iniziato con le prime esperienze, da Peck, da gli Orti di Leonardo, da Il Duca di Milano, fino alla Costa Smeralda e alla Toscana, per poi continuare all’estero, con l’incontro di nuove culture e di cucine etniche. Una continua metamorfosi dell’essere uomo e chef che era in me.

Con i viaggi all’estero sono cambiate molte cose nella mia vita, è subentrata la solitudine, la malinconia, la lontananza. E’ stato allora che mi sono concentravo più sul lavoro, chiudendomi in me stesso, nel mio mondo, sicuramente con un impatto diverso sull’essere, diventando meno social, meno comunicativo, più chiuso, orso e lunatico. Quando tornavo, dopo un lungo soggiorno all’estero, mi ritrovavo quasi catapultato in un ambiente che non riconoscevo più. Quando giungeva il momento di ripartire mi invadeva l’ansia e l’angoscia… Un susseguirsi di forti emozioni che sfogavo in cucina, forse, perché col tempo, cresce l’emotività…

Era questo che volevo da Enrico, volevo che uscisse l’uomo e così è stato. Leggendo le sue parole, oltreché ad emozionarmi, ho capito un pochino di più che cosa significa oggi essere uno chef affermato. Un mestiere duro che, visto dall’esterno, non rende realmente l’idea delle difficoltà. Come dico spesso, per capire le persone e il loro lavoro, l’unica è viverle, direttamente sul “campo”.

Enrico ama molto anche la musica. Questa è quella che ha voluto regalarmi, una musica che sa di mare, di estate, e di passeggiate sulla sabbia a piedi scalzi…




Come mai ci sono poche donne Chef Executive?

Una volta si diceva che la vanità è donna… una volta!!! Ormai le cose si sono decisamente  capovolte, mi riferisco a uomini spesso più che chef, superstar! Certo è il loro momento, ma forse è il caso che tornino un pochino in cucina! Mmm, ora mi sa che mi conviene abbassarmi, prima che mi arrivi una pentola in testa! 😉

Va bè, a parte gli scherzi, sta di fatto che per noi donne affermarsi è un pochino più difficile. Dobbiamo essere brave, competenti, possibilmente di bell’aspetto, in ordine, madri, mogli e… insomma fare il doppio della fatica. O stiamo al passo… o rimaniamo indietro!

Questo vale per tutti i campi della società italiana, nelle amministrazioni, nella sanità, nella politica e,  per stare in tema, nell’enogastronomia. Basta guardare il rapporto tra, uomini e donne, sia nel cucinare sia nel giudicare chi cucina.

E’ un mondo per lo più di uomini chef e di uomini valutatori. Ebbasta!!! Noi donne, per lo più, abbiamo molta più sensibilità di voi, è scientificamente provato, e la sensibilità nell’enogastronomia è dote assai importante!

Detto ciò passo la parola a donne chef, stellate e non, di varie regioni italiane, che vivono questo ambiente, e che quindi con cognizione di causa possono dare una risposta coerente e al femminile. Prego, a voi la parola…

Donne e Chef

  • Antonella Rossi, Chef e Patron presso il Ristorante “Napoli Mia” (NA)

Ciao Cinzia, da sempre il cuoco, anche dai tempi dei monzù o monsù come si dice in Sicilia, è sempre stato un uomo, anche se erano le donne a cucinare per la famiglia.  Il cuoco oggi è chef, e per antonomasia è un uomo.

Per noi donne è sempre più difficile trovare spazio in questa categoria, anche se a volte molte donne sono più brave degli uomini. Le donne hanno una visione estetica del piatto e lo guardano dal lato femminile, facendolo più elegante. Per i cuochi maschi noi restiamo delle donne, e quindi non abbiamo visibilità come loro.

  • Maria Probst, Chef del Ristorante “La Tenda Rossa” Cerbaia (FI)

Ciao Cinzia, mi chiedi come mai!? Dunque, bisogna essere soprattutto sportive. E’ una vita un po’ diversa dalle solite. Tanti sacrifici e tante soddisfazioni… tutti i giorni bisogna essere al top, motivati, contenti, e con tanta voglia di fare…

Non è un lavoro per tutti… Si è sempre sotto esame, e non si ha un giorno di relax. Ma se sei una persona con una forte motivazione, ti da un mondo totalmente differente dal solito. La Donna fatica di più ad emergere, perché  riflette sempre sui propri errori. L’uomo, a differenza, e più sicuro di sé.

Poi c’è un altro fattore importante, e cioè quello di dover organizzare anche la famiglia. Facendo un lavoro così impegnativo è veramente un’arte. Nel mio caso è possibile solo perché la conduzione è a carattere familiare.

  • Paola Bertinotti, Patron del Ristorante “Pinocchio” a Borgomanero (NO)

Ciao Cinzia, ti posso dire perché non lo faccio io. L’ impegno della sala paragonato a quello della cucina è più leggero. Uno chef non può assolutamente lasciare la cucina. Una donna generalmente ha anche impegni con la famiglia e con i figli che non può delegare in toto ad altri.

Più fortunate sono quelle che lavorano in casa propria, ma, ti dico, io non potrei rinunciare ai pomeriggi che passo con i miei figli fino alle otto di sera. Ubi maior…

  • Erica Petroni, Genietto del Food presso il suo Laboratorio “FOOD ART FACTORY” (MI)

Ciao Cinzia, bè ce ne sono,  io sono un esempio…

La realtà è dura. Sono tutti uomini; bisogna farsi rispettare come un uomo, avere tanta forza, e lavorare per venti ore al giorno senza pausa e senza tregua.

Per le donne che ce la fanno non esiste una vita privata! Inoltre agli uomini scoccia ancora che sia una donna a comandare…

  • Nadia Zampedri, Chef e Patron presso la “Trattoria Pegaso” a Gavardo (BS)

Ciao Cinzia, penso che sia solo una questione di  famiglia.

Avendo dei figli da accudire non è possibile organizzare un lavoro come il nostro. 

E’ troppo il tempo che esige.

  • Nadia Vincenzi, Chef e Patron del Ristorante “Da Nadia” a Castrezzato (BS)

Ciao Cinzia. Le donne chef  hanno più difficoltà ad affermarsi rispetto agli uomini, secondo me a causa di vecchi preconcetti.

E’ un mestiere duro a prescindere che sei maschio o femmina, per farlo si deve essere molto determinati.

Questo è il mio pensiero.

  • Carla Teodori, Chef del Ristorante “AD Cookies” (RO)

Ciao Cinzia, anche io me lo sono chiesta, ma… un po’, è perché siamo partite in svantaggio con i tempi. Fino a qualche anno fa noi donne non eravamo molto ben accettate in cucina. E’ un lavoro molto pesante, sia fisicamente che mentalmente. Personalmente ho avuto seri problemi a lavorare, sono andata avanti soprattutto per testardaggine, non facendomi intimidire quando i colleghi uomini mi prendevano in giro.

Poi, come per tutti i lavori siamo un po’ penalizzate per la necessità di accudire i figli e la famiglia. E’ un lavoro che ti porta col tempo a non avere più vita sociale, e credimi, sono poche le persone che vi rinunciano. Per fare l’Executive Chef devi avere molta esperienza, se è all’estero, tanto meglio. Ad esempio quando sono partita per l’Egitto per fare pratica, sono stata l’unica donna ad avere il coraggio di farlo. E molto lunga la storia da spiegare, ci sarebbe da parlare per giorni e giorni…

  • Dalila Davoli, Chef presso Ristorante Pause-Centro Internazionale Loris Malaguzzi Reggio Emilia

Ciao Cinzia, credo che il motivo di fondo sia da ricercare nei ruoli storicamente affidati alle donne, madri di famiglia innanzitutto, e solo da pochi anni inserite nel mondo del lavoro, e da pochissimi in vesti dirigenziali. Mi auguro, e mi pare che qualcosa stia cambiando, che questi spazi, verranno “conquistati” anche dalle donne.

Noi sappiamo bene che spesso sono le donne ad avere una marcia in più… Se ci mettiamo sappiamo ben dimostrare di saper usare il cervello attraverso le nostre doti di organizzazione ed efficienza.

Questo non vuol dire che fare la chef non comporti problemi organizzativi, anzi, la vita sociale è messa a dura prova. “Coraggio, ce la possiamo fare!”.

  • Trish Bottura, Chef per eventi

Ciao Cinzia, forse il motivo sta nel fatto che è un lavoro molto impegnativo, essere occupata 12/16 ore al giorno per una donna che ha famiglia diventa difficile.

Solitamente uno Chef Executive rimane nello stesso posto a lungo termine, e la struttura che lo assume teme un’eventuale maternità…




“Tano, passami l’olio, ma… per il minestrone!”

Chi sa fare il minestrone alzi la mano!  

Direte: “Ehh Cinzia, che ci vuole a farlo!” E invece no! Un buon minestrone se fatto bene, va fatto a regola d’arte… anzi, a regola di Tano! E non è finita… Ora vi chiedo: “Minestrone d’inverno o minestrone tutto l’anno?” Io tutto l’anno… e voi?

Amo il minestrone, d’inverno bello caldo, e d’estate tiepido. Un mega concentrato di verdure di stagione, di vitamine e di sali minerali. Peccato che per molti d’estate sia, come dire… un piatto inadeguato. Io insisto, e comunque me lo faccio!

Ma siamo veramente capaci di fare il minestrone?

Qualche giorno fa si discuteva con lo chef Giancarlo Morelli degli errori che i più fanno nella preparazione del minestrone. Neanche a farlo apposta mi sono ritrovata pochi giorni dopo a riparlarne con lo chef Tano Simonato. Mi ha ribadito l’errore comune, mio compreso, nel procedere alla cottura mettendo insieme tutte le verdure.

Basta, ho deciso, voglio sapere come si fa sul serio il minestrone!

Cinzia,  basta dirlo… ecco la ricetta:

“Il Minestrone freddo di Tano Simonato”

Ingredienti:

  • Per il brodo:

Carote, zucchine, sedano, cipolla bianca, pomodori ramati, basilico, alloro, bacche di ginepro.

Preparazione:

Dopo aver mondato tutte le verdure tagliate a pezzi, lasciare sul fuoco per almeno tre ore a fiamma bassa.

Passare a chinoise (colino) e tenere solo la parte liquida.

  • Per le verdure:

Carote, zucchine, ceci, piselli, patata, fave.

Preparazione:

Mettere a bagno i ceci la sera prima (almeno 18 ore); mettere in cottura e tenerli al dente, circa 50 min.

Mondare le verdure e portare a cottura come segue:

       – Tagliare le carote a concassè e lessare tenendole al dente.

       – Tagliare le zucchine e lessare tenendole al dente.

       – Sbollentare i piselli in acqua già bollente per pochi minuti e tenerli al dente.

       – Sbollentare le fave in acqua già bollente per pochi minuti e tenerle al dente.

       – Sbucciare le patate e tagliarle a concassè e lessare in acqua già bollente e tenerle al dente.

       – Sbucciare una patata e lessarla a lungo, per poterla poi schiacciare con schiacciapatate.

Tutte le verdure vanno salate nell’acqua con poco sale.

Tenere tutto separato sino al momento di preparazione del minestrone.

  • Per il riso:

Portare a cottura in acqua già bollente del riso vialone nano tenendolo al dente; salarlo della metà di una normale cottura.

Preparazione del minestrone:

Mettere la patata schiacciata nel brodo e rimestare; aggiungere tutte le verdure ed infine il riso. Naturalmente tutto a freddo. Aggiustare di sale e un po’ di zucchero.        

Impiattare in fondina e servire con olio evo (extra vergine d’oliva).

 




“I tortelli di zucca della Gisella raccontati dallo chef Fabio Mazzolini”

La ricetta: “I tortelli di zucca mantovani”

E’ un po’ presto per la zucca lo so, ma il mio pensiero va alla mia cara nonna Gisella. Ho voluto ricordarla così.

Ve l’ho mai detto che sono di origini mantovane…?  Ebbene si!  Li la zucca è una vera tradizione. Ricordo quando mia nonna Gisella mi preparava  i tortelli con la mostarda piccante, gli amaretti e… naturalmente la zucca!  Fantastici profumi e sapori… che ricordi!

Questo ortaggio originario dell’America Centrale,  oltre ad essere famoso per la festa  di  Halloween è conosciuto per le sue proprietà benefiche.  E’ ricco di vitamina A,  di minerali, di fibre ed  è povero di calorie. La sua polpa tritata è utile come lenitivo per le infiammazioni cutanee, mentre il suo estratto è indicato nei disturbi gastrici. In cucina poi trova spazio a molteplici  usi…  dai primi piatti,  ai contorni, ai dolci…

Bene, oggi vorrei ritornare a quei sapori e a quei profumi grazie al caro amico e chef Fabio Mazzolini. Un uomo legato alla natura e alla tradizione… un poeta della cucina.

Fabio, prima di darti il cucchiaio di legno per dirigere l’orchestra, mi racconti un po’ di te…

  • Sei uno chef di successo, ma soprattutto un uomo semplice, simpatico che mi prende in giro di tanto in tanto… Meglio che parli tu, se no lo sai che non mi fermo più… 😉 Come e quando è iniziata questa tua passione?

L’amore per la cucina mi è stato trasmesso dalla mia nonna materna. Gestiva una piccola trattoria di sua proprietà a Desenzano del Garda.  E’ li che ho iniziato a pasticciare con paste e farine…

  • La creatività di voi chef stellati a volte mi fa quasi paura. Ci facciamo due spaghetti aglio e olio mentre ne discutiamo…? Ci stai?

Certo che si Cinzia! Devi sapere che è il mio piatto preferito! Me lo preparo spesso abbondando con l’aglio che faccio fondere lentamente fino a trasformarlo in una morbida crema. L’unico inconveniente è per i poveri malcapitati che si trovano a parlare con me subito dopo! 😉

  • Ora dimmi la cosa che ti piace di più… e non fare lo spiritoso! 🙂 In cucina intendo!

Ora ti spiazzo! Anche se sembrerà strano adoro la cipolla in tutti suoi utilizzi!

  • Mi è venuta una fameee!! Mi prepari una frittatina di cipolle? L’adorooo! (Giuro che quando ho scritto questa domanda non sapevo la risposta precedente)

Ottima scelta… Opterei per una frittata con cipolla bionda a cui abitualmente aggiungo dell’erba di San Pietro!

Ora però bando agli scherzi! Ti passo il cucchiaio di legno, tocca a te dirigere l’orchestra!  Raccontami come fare i tortelli di zucca mantovani, con gli amaretti e la mostarda piccante… quelli della Gisella!

Fabio: Cinzia devi prendere della zucca mantovana della qualità delica.

Cinzia: Delica? Ma come faccio a riconoscerla?

Fabio: Che disastro che sei! Dai che ti metto la foto!:-) Ora tagliala a pezzi e cuocila nel forno per una mezz’oretta.

Cinzia: Fabio ma devo sbucciarla?

Fabio: Assolutamente no! Una volta cotta, schiaccia la polpa con la forchetta, unisci qualche amaretto sbricciolato, aggiungi della mostarda piccante di mele campanine, parmigiano vacche rosse (razza Reggiana), e sale e pepe quanto basta. E’ mia abitudine aggiungere all’impasto del ripieno dei tortelli, un pizzico di  polvere di caffè per togliere quella stucchevolezza data dalla dolcezza degli ingredienti. Per concludere non ti resta che procedere con la preparazione della pasta all’uovo e confezionare i tortelli. Un leggero condimento di burro insaporito alla salvia e voilà!

E ora,  mentre Fabio sta cucinando io molto seriamente vi dico che… lui è un vero artista! Un uomo che non ama celebrarsi, e che vive la propria passione semplicemente offrendola nelle proprie creazioni.




“Pesavo 192 kg… ora ne peso 74” La Storia dello chef Pietro Parisi.

Come sottolinea il Prof. Nicola Sorrentino, specialista in scienza dell’alimentazione, l’obesità è uno dei principali problemi della salute pubblica del millennio. Gli Italiani adulti obesi sono circa 4 milioni, quelli in sovrappeso 16 milioni.  Un bambino su tre è in sovrappeso, uno su dieci è obeso. Questo grasso superfluo non solo deturpa la nostra silhouette, ma spalanca le porte a malattie cardiovascolari, all’ipertensione, al diabete, a difficoltà respiratorie, all’osteoartrosi, e ad altre patologie ben note.

La Storia di Pietro Parisi, chef e patron di  “Era Ora”,  il suo Ristorante a Palma Campana

 

  • Ciao Pietro, raccontami di te.

Sono un ragazzo di Napoli ex obeso, pesavo 192 kg, attualmente il mio peso è di 74 kg.  Inutile dire che in passato ho provato diete, farmaci, sondino gastrico, ricoveri per dimagrire… tutto con scarsi risultati, e per poco tempo. La svolta decisiva è arrivata dopo l’ausilio della chirurgia mininvasiva.

  • Come hai vissuto il problema dell’obesità?

L’ho vissuto per molti anni, diciamo almeno per una quindicina. Da ragazzino non ci davo peso, ma crescendo ha incominciato a crearmi veri problemi, sia di convivenza con i miei coetanei, che mentali. Venivo deriso per il mio fisico, e questo mi portava ad estraniarmi dalle compagnie.  Mi ritrovavo in una solitudine esistenziale che sfogavo con grandi abbuffate di cibo.  Avere una ragazza era difficile, mi sorridevano certo, ma si allontanavano.  Tutto era complicato, dal vestirsi al rapportarsi con le persone. La mia adolescenza non è stata facile…

Una sera ho rischiato anche la vita per colpa di una sonnolenza improvvisa dovuta all’obesità, che mi ha portato ad urtare ed uscire fuori strada con la macchina. Qualcuno mi puntò il dito accusandomi di usare stupefacenti… tutt’altro!  Ma è più facile giudicare che capire…

Mi torna in mente il ricordo di un amico che mi accompagnava nei miei lunghi itinerari gastronomici notturni, tra cornetti, impepate di cozze, pizze fritte e cannoli…  Il conseguente aumento di peso mi portava molti problemi  tipo piaghe sotto la pancia, piedi sempre gonfi, grande sudorazione, difficoltà  nei movimenti.

Cinzia, era difficilissimo alzarsi la mattina. Tanta svogliatezza, mal di testa, mal di schiena… Mi viene quasi da sorridere quando penso che ora non riesco a stare a letto per più di 7 ore. Sono un grillo nel lavoro, girarmi e rigirarmi con disinvoltura è una meraviglia. Piaceri scontati per molti… ma non per me.

  • Come vivevi il rapporto quotidiano con le persone?

Vedo in televisione e sui giornali tante persone che avendo difficoltà nel dimagrire cadono nella disperazione. Nello stesso tempo vedo persone non obese che ci considerano degli incapaci, dei deboli, per la nostra difficoltà nel sostenere un regime dietetico. La conseguenza è l’emarginazione.

Mi capitava di andare in un ristorante e sentirmi dire dal cameriere se avevo bisogno del supporto di due sedie.  Non avete idea di come vivevo il disagio ogni volta. La realtà è che l’obesità crea grandi barriere,  e porta chi la vive, quasi a nascondersi.

  • La tua forza di volontà, validi ed indispensabili supporti medici, la passione per il tuo lavoro… elementi che ti hanno portato a dare una svolta decisiva alla tua vita. 

Si, ora la mia vita è totalmente cambiata.  E’ stato un percorso difficile.  Ho avuto la forza di decidere e dire finalmente basta optando per un intervento sia pur con le difficoltà del prima e del dopo. Ho riacquisito quella sicurezza in me che avevo perso, e ora, con la mia esperienza, sono più che mai determinato a dare speranza a chi vuole come me percorrere questa strada.  Una cosa però è certa, la mia passione per il cibo, per le tradizioni, per il territorio che trasmetto nel mio lavoro di cuoco, è costante e inalterata.

  • Pietro, ora sei chef e patron del tuo Ristorante “Era Ora” a Palma Campana. Nonostante la tua giovane età, per tradizione familiare sei immerso in questo mondo fin da bambino. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho iniziato a 7 anni, nel laboratorio di pasticceria dello zio materno quasi giocando. Poi come succede spesso è scoccata la scintilla, ed è stato subito amore. Ma ci pensate, spettatore della preparazione della sfogliatella riccia ripiena di ricotta di bufala con salsa allo Strega… bè, stregato sul serio!

Gli studi e le esperienze poi hanno fatto il resto. I miei progetti ora sono orientati verso proposte per una buona tavola, con prodotti sani,  privilegiando il km 0, e acquistando da piccoli produttori. Con il servizio di Market Gourmet Shop di Era Ora, li proponiamo ai consumatori, un nuovo modo di fare la spesa.

Ho chiacchierato a lungo con Pietro. E’ giovane ma determinato, la passione  per le tradizioni, per i territori e per la riscoperta dei bei sapori di una volta ci accomuna.  Le nostre origini sono diverse, ma come dico sempre, io mi sento a casa ovunque, fortunata di vivere in un paese ricco di tipicità uniche al mondo.




Io e Massimo Dellavedova… lo “chef in love”!

In love direte… ma “in love” di chi? Ma di me ovvio! Tranquillo Massimo vedo già che sgrani gli occhi… o noo?! Bè, a parte gli scherzi vi voglio presentare Massimo Dellavedova, il mio caro amico chef… e uomo che adoro!

Lo conobbi ormai tempo indietro tramite Antonella Varese, altra chef protagonista di una mia storia. Lui mi dice spesso che Antonella è la sua versione al femminile, mentre io vi posso solo dire, che ho il vanto di annoverarli entrambi tra la mia cerchia di amici. E non ci accomuna certo l’arte del cucinare… Vedo già la faccia “alienata” di mio figlio Andrea, che mi dice che spesso amici notando il mio interesse in questo mondo pensano a quanto lui sia fortunato e gli dicono: “Chissà che manicaretti mangi a casa tua! E lui: “Ehh…!” Devo confessare che amo molto la buona cucina, ma quanto a cucinare passiamo oltre che è meglio. E… va bè! Mica posso essere brava in tutto!

Ops… mi son persa… Cosa dicevo?! Ah sì, che adoro Massimo, e come non potrei. Uomo sensibile e appassionato, ma un po’ pazzerello come me. Con lui la mia chiave ironica emerge al massimo e quando ci si trova, mi diverto troppo a prenderlo un po’ in giro, e il tempo scorre a suon di risate. Quando poi mi racconta certi aneddoti, “tipo una sua ospite che gli chiese del pesce, ma che non sapesse troppo di pesce…” dico che non ci resta che ridere! Massimo in un evento gastronomico ha avuto l’ardire di creare dei finger in palline di plastica che venivano erogate da un distributore. Per i non espertissimi come me, il finger food è cibo mangiato con le mani. Pensate che divertente e originale servirsi da se estraendolo da palline come quando da bambini le estraevamo bramosi di scoprire la sorpresa! Bè Massimo è così, ama giocare sulla fantasia della gente… Non per niente è uno “chef smile!”

Ma come dico sempre, io punto sulla semplicità… e infatti un giorno trovandomi ad ascoltare i discorsi di alta cucina tra lui e un altro suo grande collega stellato, non riuscii a trattenermi. Pensate che dibattevano sull’uso di foglie dal sapore di ostrica, la foglia Oyster Leaves nota anche come ostrica vegetariana. Be’ intervenni così: “Ma scusate dissi, ma utilizzare direttamente delle ostriche… noo?!” Mi guardarono quasi risentiti della mia mancanza d’apprezzamento per la loro ricerca, che definirei a volte morbosa! Ormai si vedono piatti talmente elaborati che spesso la genuina cucina casalinga è oggetto di desiderio! Ultimamente mi è capitato di trovarmi davanti a presentazioni quasi maniacali. Bellissime certo, ma a volte più adatte a set fotografici per libri di cucina! E’ vero però che la creatività fa parte della loro professione… E quindi dico che forse rivisitare i piatti classici della nostra tradizione, è quello che si aspettano persone come me, che amano approcciarsi ad una cucina semplice e di qualità.

Una volta chiesi a Massimo: “Cosa prepareresti per me se ti chiedessi un antipasto fresco per l’estate?”  Lui accettò la sfida e mi propose: “Grissini all’amaretto avvolti in prosciutto di San Daniele a bassa salinità con tempesta di melone bicolore alla menta, accompagnati da finger food di coulisse di melone cantalupo, e melone giallo con prosciutto disidratato. Il tutto accompagnato da un Donna Fugata e un Torbato”. Wow dissi!
Lui non si ritiene un grande esperto di vini… Quando una volta gli chiesi cosa prediligesse mi rispose : “Sai ce ne sono diversi, dipende dal luogo e dal mio stato d’animo… la scelta del vino per me segue l’umore”. Avete mai pensato a questa cosa? Lui, un inguaribile romantico dolce e passionale come me. Il suo sogno è realizzare il locale in cui investire i suoi progetti, la sua esperienza e la sua grande creatività. E come dico io, bisogna lasciare sempre le porte aperte alle speranze, perché le persone piene di risorse vanno sostenute e incoraggiate… sono il futuro e la forza motrice di questo nostro bel paese!

Come dice un mio collega: “La terra non è ancora pronta per gli extra terrestri” e io aggiungo… “come le donne per i romantici”. Massimo Dellavedova

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