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Trattorie lombarde che fanno la differenza: La Crepa, Isola Dovarese

Isola Dovarese, un piccolo comune in provincia di Cremona immerso nelle campagne della pianura padana. Percorrendo questo territorio lo sguardo si rivolge ai fiumi Oglio e Chiese, agli antichi pontili e alle grandi distese verdi. Un’atmosfera suggestiva tipica di questa stagione autunnale, che riporta alla mente dipinti di Monet e Gauguin. Un paese noto anche per il suo Palio, una manifestazione in costume d’epoca che rievoca il periodo di appartenenza allo stato Gonzaghesco. Giunto alla cinquantesima edizione, si svolge nell’ampia piazza cinquecentesca segnata dal tempo, ma anche dall’incuria. Un vero peccato vista la schiera di portici e palazzi antichi che la caratterizzano, e che potrebbero valorizzarla facendola rientrare tra le più belle piazze d’Italia.

Isola DovareseTra i segni del tempo, si possono ammirare alcune insegne dalle atmosfere vintage. Tra queste, ce n’è una bombata in ferro smaltato bianco su cui, in caratteri eleganti, c’è l’indicazione del Caffè La Crepa. Una trattoria ed enoteca della famiglia Malinverno dal 1832, inserita nell’Associazione locali storici d’Italia. Entrando, da subito, si respirano le classiche atmosfere legate all’Art Nouveau: ambienti in stile Liberty, sedie antiche e una stufa in maiolica. Un locale in passato conosciuto col nome di “Locanda del Ciclista”, per i tanti percorsi cicloturistici presenti nella zona circostante. Sedersi nelle sue salette tra cimeli, lettere e fotografie, ci porta a vivere un breve viaggio nella storia del Risorgimento Italiano, e ad assaporare i piatti della tradizione proposti dallo chef Franco Malinverno.

Negli assaggi si nota un tentativo di alleggerire il gusto originale, una tendenza dei nostri tempi che condiziona anche l’aspetto visivo. Predominante comunque il territorio. Oltre alla classica giardiniera e ai salumi cremonesi, si distinguono preparazioni tipiche quali i  Marubini;  i gnòc a la mulinèra fatti con sola acqua e farina, ma arricchiti con ragù di coda di manzo e funghi; i tortelli di zucca, piatto classico delle terre gonzaghesche, ripieni con un impasto a base di zucca, mostarda piccante ed amaretti. Tra i dolci non si può fare a meno di assaggiare la torta sabbiosa, tanto amata da Giuseppe Verdi. Il maestro ne era un tale estimatore da indicarne persino la giusta preparazione: “Con i chiari si fa la fiocca. Si sbattono bene i rossi con lo zucchero. Si aggiunge a poco a poco la fecola e il burro ben morbido. Alla fine i chiari montati. Poi si versa il tutto nella ticcia ben unta di burro e subito in forno”. Un’esperienza di gusto da arricchire con un’interessante visita nella drogheria e nella cantina storica del ristorante, tra etichette e produzioni ricercate.

www.caffelacrepa.it La Crepa -Piazza Matteotti, 13

Isola Dovarese (CR) Te. 0375 396161




Ristorante Materia, il sogno di Davide Caranchini, Chef di cucina a Cernobbio.

In primo piano: Sorbetto al Pelargonio (geraneo odoroso) con spuma al fieno.

Ristorante Materia, essenziale nel nome come negli arredi. Un sogno che Davide Caranchini,  giovane e talentuoso chef di cucina di Como, ha realizzato a soli ventisei anni. Un luogo di ristorazione nella bella Cernobbio, situato in una piccola via del centro. La vista qui non si rivolge al lago, ma ai piatti intriganti dalle interessanti combinazioni e dai sapori armoniosi. Una promessa della ristorazione italiana che ha maturato, nonostante la giovane età, esperienze diLa brigata del Ristorante Materia tutto rispetto. Dopo aver concluso gli studi presso l’Istituto Alberghiero “Giovanni Brera” di Como, il suo percorso è continuato in ristoranti dai nomi ben noti:  il Maze di Gordon Ramsay, Le Gavroche e l’Apsleys di Heinz Beck a Londra, il Nona a Copenaghen, l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, e infine, Casa Santo Stefano a Cernobbio. Nel 2014 è stato inserito nella cerchia dei migliori chef under 35 d’Italia.

Materia prima e lavoro di squadra.

Nel 2016 è nato il suo ristorante: “Materia”, intesa come filosofia di ristorazione e base da cui partire per promuovere il territorio. La creatività e l’interpretazione del cuoco, senza eccessivi stravolgimenti, e con rispetto per la varietà dei gusti e delle diverse tipologie dei clienti, fanno il resto. Piatti che Davide progetta su carta, e, una volta realizzati, testa insieme alla giovane brigata. Un armonico lavoro di squadra che nel rispetto dei ruoli determina il successo di un ristorante.

Lo chef di cucina, una professione deformata dai media.

Molte le ore di lavoro, non meno di quindici al giorno, spesso sottovalutate da chi si orienta verso gli studi alberghieri attratto dalla spinta mediatica dei molti, forse troppi, programmi sui cuochi. Una realtà alterata che Davide Caranchini non ama. Chi vuole intraprendere questa professione, deve essere consapevole che solo l’impegno e il sincero piacere della cucina può far superare la gavetta e il duro lavoro che ne consegue.

La ristorazione di Davide Caranchini.

Piatti che sorprendono, sia nell’aspetto gustativo che in quello visivo. Prodotti della natura ma anche dalla fantasia di un cuoco che elabora le sue esperienze quotidiane. Particolare la sua trota salmonata marinata, a cui viene bruciata la pelle per dare l’effetto croccante. Viene servita con una panna infusa al rafano, delle ciliegie sott’aceto, delle foglie di acetosella e un brodo dashi di mela.

Trota salmonata marinata, rafano, ciliegie in conserva e brodo freddo di mela

Delicati i ravioli ripieni di formaggio caprino e mostarda. Serviti con l’estratto e la polvere di cavolo nero, sopra ognuno, una volta nel piatto, viene messa una goccia di estratto di pepe nero di Sarawak.

Ravioli di formaggio caprino e mostarda, estratto di cavolo nero e succo di pepe di Sarawak

I miei assaggi si sono conclusi con un dessert autunnale chiamato “Zucca”: cubetti di zucca fermentata uniti ad un gelato ai semi di zucca tostati, il tutto ricoperto da una spuma di zucca, decorata con delle fette di zucca disidratata e una foglia di nasturzio.

Zucca

Cosa resta da dire… forse semplicemente che ho conosciuto un ragazzo con le idee chiare, una promessa della ristorazione italiana di cui sentiremo molto parlare.

 

Ristorante Materia – Via 5 Giornate, 32 Cernobbio (CO)

Tel. 031 2075548  www.ristorantemateria.it




Massimo Dellavedova, uno chef di cucina che vuole tornare indietro nel tempo.

Massimo Dellavedova, un amico, un cuoco, ma soprattutto una persona semplice e sincera. Uno degli ultimi romantici,OLYMPUS DIGITAL CAMERA come me: uno chef in love. Lo scorso Aprile, con mia felicità, finalmente ha realizzato il suo sogno: Cascina Malingamba. Un luogo storico nato originariamente come posteria per soddisfare le soste dei viandanti, che poi, nel 1960, è diventato un vero e proprio luogo di ristorazione. Una cascina lombarda chiamata Malingamba per il ‘passo claudicante’ del suo primo proprietario. Curiosa la sua ubicazione: è situata per metà nel comune di Lainate in provincia di Milano, e per la restante parte nel comune di Origgio,  in provincia di Varese.

Massimo DellavedovaQualche giorno fa, in una fredda serata autunnale, sono andata a trovarlo per una chiacchierata tra amici. Discorsi seri e meno seri che scaldano il cuore, tra racconti, confidenze e consigli. Ascoltandolo nel resoconto dei suoi tanti impegni lavorativi, di tanto in tanto gli consigliavo di respirare, ben consapevole del ritmo che i cuochi oggigiorno devono sostenere per stare al passo con i tempi. Classica la risposta alle mie preoccupazioni: “Fanciulla, tranquilla, è tutto sotto controllo”.  Massimo è così, un cuoco in corsa, ma sempre dolce e col sorriso: uno chef smile.

Oltre agli scambi reciproci di esperienze, si è parlato di progetti e del tipo di ristorazione che ha intenzione di proporre a Cascina Malingamba. Nell’ascoltarlo, mi hanno particolarmente interessato alcune sue affermazioni che condivido, e che qui di seguito ho riportato per approfondimenti e riflessioni.

  • Penso che nella ristorazione di oggi sia giusto che la tecnica vada avanti. A differenza, nell’ideologia, si deve fare lunghi passi indietro, fino ad arrivare alla ristorazione di trent’anni fa. E’ importante riscoprire le vecchie usanze e le lavorazioni delle materie prime, aggiungendo le tecniche moderne di cucina per conservare sapore e qualità.
  • Purtroppo nella ristorazione di oggi manca la professionalità nella brigata di sala, intensa come gruppo di Servizio al guéridonfigure professionali per l’accoglienza. Con la scusa del servizio all’italiana, si è pensato che tutti siano capaci di fare i camerieri e i chef de rang. “Tanto devono portare solo i piatti”, non corrisponde al vero. Si è persa l’eleganza e la capacità del servizio di sala. Tra le nuove generazioni di camerieri, pochi sanno sporzionare davanti a un cliente.
  • Ritengo che ci siano troppi programmi di cuochi. Un format sugli di addetti di sala, sottoposti quotidianamente agli umori dei clienti, potrebbe essere utile per capire alcuni reali bisogni degli stessi. Non posso essere che d’accordo con lui. Proprio per questo motivo, circa un anno fa, ho cercato di sottolineare la stessa cosa facendo un’intervista a Lukasz Komperda, un giovane e brillante cameriere.
  • I piatti di oggi sono legati troppo all’estetica e meno alle proporzioni. A volte sono persino paragonabili a menù degustativi. La proporzionalità del piatto, in generale, deve essere adeguata alle basi insegnate nelle scuole secondo le tabelle ufficiali.
  • Quando dico che nella ristorazione bisogna tornare indietro negli anni, mi riferisco anche al servizio al guéridon. Per i non addetti significa impiattare in sala direttamente dal cameriere, come si usava fare un tempo. L’effetto scenico è sempre molto gradito.

Cascina MalingambaRiprendo la parola per un apprezzamento, precisando che, come Massimo ben sa, non ho alcuna remora a fare critiche costruttive anche agli amici ristoratori più cari. Fatta questa premessa, ho molto gradito che, oltre alla carta dell’acqua, della birra e del vino, alla Cascina Malingamba sia possibile scegliere, e volendo anche acquistare, ciò che si desidera bere direttamente nella cantina del ristorante. Una ‘carta visiva’ che fa brillare gli occhi a chi come me, ama osservare e leggere le etichette dei vini.

Alla fine della serata, Massimo, salutandomi, mi ha rivelato un sogno che fra non molto realizzerà: un’Accademia di cucina. Studio e pratica con vitto e alloggio. Un approfondimento pratico per gli studenti della scuola alberghiera. Ne vedremo delle belle, anzi, ne assaggeremo delle buone!

Cascina Malingamba www.cascinamalingamba.com

Via per Lainate, 33 Origgio (VA) Tel. 02 94383789




Colazione in Villa Flori a Cernobbio. Come se fossi ospite in hotel, ma in realtà senza esserlo.

Siamo quasi a fine estate. In questo periodo dell’anno, dopo che le vacanze estive si sono conclLago di Comouse, la voglia di prolungare i ritmi lenti a cui piacevolmente mi sono abituata, mi porta ad evadere dalla  routine quotidiana,  e a ritagliarmi momenti di relax sul lago di Como, ma non solo. A dire la verità tendo a vivere sempre più lentamente, ma soprattutto, a non perdere queste belle abitudini in nessun periodo dell’anno. In particolare nelle giornate di sole, quando, passeggiando in riva al lago e godendo della quiete e dei panorami riflessi nell’acqua, la sensazione di benessere aumenta, allontanando le tensioni.

Pochi giorni fa, ho goduto di queste atmosfere immersa tra gli alberi secolari dell’Hotel Villa Flori di Cernobbio. Una dimora storica trasformata in un albergo nel 1958, successivamente ristrutturata e riaperta nel 2012. Una tra le tante bellissime ville ottocentesche sul lago di Como, ricche di fascino, d’arte e di storia. Si narra che nelle sue sale nacque l’amore tra Giuseppe Garibaldi e la Marchesina Giuseppina Raimondi. I due innamorati si unirono in matrimonio il 24 Gennaio 1860. Un’unione tra le più brevi della storia. Durò infatti solo un’ora, a causa di alcune rivelazioni inoppugnabili sull’infedeltà di lei, rivelate da un amante subito dopo la cerimonia. A tutt’oggi, la stanza che ospitò il generale è ancora intatta.

Ristorante RaimondiDalla terrazza dell’annesso Ristorante Raimondi, chiacchierando con Dusan Pejakovic, gentilissimo Restaurant Manager, ho scoperto tra l’altro un posticino delizioso per fare una ‘Colazione sul lago’ come se fossi ospite in hotel, ma in realtà senza esserlo. Chi come me ama questo importante primo pasto della giornata, sa bene quanto sia difficile trovare la stessa proposta variegata e di qualità, senza soggiornare in albergo.

Fortunatamente, per le persone con i miei stessi gusti, non è sempre così. L’Hotel  Villa Flori infatti, dalle 7.30 alle 10.30, apre le porte anche a chi non è ospite dell’albergo. In questo modo si avrà la possibilità di fare una ricca prima colazione in una prestigiosa location con vista lago, sentendosi ancora un po’ in vacanza. Se ne avrete l’occasione, vi consiglio anche di assaggiare i deliziosi infusi di erbe, di bacche e di frutta, ben descritte nella carta dedicata.

Durante la mia giornata ho avuto il piacere di assaggiare alcune preparazioni dello chef del Ristorante Raimondi: Paolo Arnaboldi. Un giovane talento che, dopo aver frequentato la scuola alberghiera di Chiavenna e di Domodossola e aver fatto alcune esperienze professionali all’estero, è ritornato ai sapori del suo Lario. Purtroppo non ho avuto il piacere di conoscerlo. Quando ho chiesto di lui era già andato via. Un consiglio ai cuochi: appena potete, uscite dalle cucine e chiacchierate con i vostri ospiti. Così facendo, la nostra esperienza sensoriale sarà molto più intensa.

Hotel Villa Flori – Ristorante Raimondi www.hotelvillaflori.it

Via Cernobbio, 12 – Como  Tel. +39 031-33 820

Zuppa di Lattuga, finferli, patata affumicata, zenzero.

Zuppa di lattuga, finferli, patata affumicata, zenzero.

Triglia, mozzarella, limone, barbabietola, sedano rapa, estratto acciuga.

Triglia, mozzarella, limone, barbabietola, sedano rapa, estratto acciuga.

Meringata con gelato al Braulio e granita al Rabarbaro.

Meringata con gelato al Braulio e granita al Rabarbaro.




Basta poco per sentirsi in vacanza… San Pellegrino Terme

San Pellegrino Terme, nota località turistica situata in Val Brembana, la più estesa tra le valli bergamasche. Una cittadina conosciuta per le sue acque terapeutiche, e per le eleganti costruzioni in stile Liberty risalCasinò di San Pellegrino Termeenti all’inizio del Novecento. Attraversata dal fiume Brembo, è circondata da montagne verdeggianti mete ideale per facili escursioni. Un luogo per chi è in cerca di fresco alle porte di Milano. Qualche sera fa, in men che non si dica, sono giunta li per una passeggiata lungo il fiume, e per godere di qualche ora di evasione lontana dallo stress della città.

Chiacchierando, come mi è consueto fare per soddisfare la mia curiosità sui luoghi che visito, ho scoperto che questa località è anche nota per un frollino che porta il suo nome: “Il Biscotto di San Pellegrino”. Nato nel 1934 nella Pasticceria di Luigi Milesi, detto Bigio, è conosciuto in tutto il territorio circostante. Mi è stato raccontato che un tempo veniva offerto durante la messa in scena di commedie che vedevano come protagonisti dei burattini, altra  grande passione di Luigi.

Nell’attuale pasticceria, locale storico e punto d’incontro della città, si possono ammirare i “gioppini”, bellissime marionette intagliate nel legno che nel 1965 hanno fatto vincere a Luigi Milesi la “Maschera d’Oro” a Treviso. Bigio, un uomo che ha saputIl Biscotto di San Pellegrinoo valorizzare questa terra bergamasca, e che nel 1971 si è visto riconoscere dal Presidente della Repubblica il titolo di “Cavaliere per Ordine e Merito”.

Dal 1970 l’attività si è estesa con l’acquisizione di un hotel e di un annessoChef Pier Milesi, Ristorante Bigio luogo di ristoro, entrambi immersi in uno splendido giardino. Ciò premesso, vi pongo una domanda: – Secondo voi potevo esimermi dall’assaggiare le preparazioni di Pier Milesi, chef dell’attuale Ristorante “Ca’ Bigio”? – Risposta scontata. 😉

Durante la serata, insieme ad alcuni amici, si è parlato della San Pellegrino di un tempo, quella illuminata dalle luci del Grand Hotel, ormai chiuso da anni. Un luogo che, insieme al Casinò, era di grande attrattiva per i turisti. Parlo al passato, perché in parte quei richiami si sono fatti più deboli. In un’epoca in cui l’eleganza e lo stile di un tempo sono sempre più rari, sono ben altre le attrattive che richiamano per lo più le persone. In parte, per chi come me ama vivere queste cittadine nelle quiete, una fortuna. Certamente meno per chi, grazie alle attività locali, trova sostentamento e continuità del suo lavoro.

Di fatto, se volete passare una serata tranquilla passeggiando lungo il fiume e godendo del fresco delle montagne, vi consiglio una tappa a San Pellegrino Terme e un assaggio di Casoncelli con tartufo di Bracca, preparazione tipica della bergamasca.

Basta poco per sentirsi in vacanza… Buona estate!

I piatti dello chef Pier Milesi

Casoncelli con tartufo di Bracca, Risottino al verde d’asparago con scampetti e rampinelli, Rombo arrosto con le spugnole, Biscotto di San Pellegrino con gelato al biscotto e lamponi. Chef Pier Milesi

Hotel Ristorante Pasticceria Bigio
Via G. Matteotti, 2 – San Pellegrino Terme (BG)
Telefono +39 0345 21058   www.bigio.info




Il Primitivo di Oreste Tombolini, Contrammiraglio della Marina Militare e “Vitivinicultore” a Carosino (Taranto)

Il mondo del vino, per chi non si occupa prevalentemente di marketing, è fatto di storie, di amici e di sorrisi. Ci si conosce, ci si racconta, e ci si trova ogni qual volta l’occasione, o meglio la manifestazione, lo favorisca. Il passare del tempo agevola così la nascita di amicizie e di quel passaparola che fa conoscere il vino degli amici, rendendo l’assaggio più ricco e meno informale. Parlo di gente allegra, che ama la convivialità e quei rituali antichi che legano il vino all’amicizia.

E’ così che ogni qual volta che posso approfitto dell’occasione per salutare, ed eventualmente consigliare, gli amici di turno che mi accompagnano e che nel vino credono, quale fonte di benessere e di espressione del territorio e dell’esperienza della persona che lo produce. Sono questi gli amici del vino, quelli che rendono speciali gli incontri. Recentemente ne ho potuto salutare alcuni alla terza edizione di “Io bevo così”, la manifestazione enogastronomica svoltasi presso la Villa Sommi Picenardi di Olgiate Molgora a Lecco, dimora storica inserita tra i cento migliori giardini d’Italia.

Villa Sommi Picenardi

Villa Sommi Picenardi

Tra i vari assaggi, molto interessante la degustazione di Primitivo di Oreste Tombolini. L’ho ascoltato durante la sua presentazione e sono intervenuta più volte con delle parentesi, per approfondire temi che mi interessano particolarmente. Si è parlato di solfiti, di quanto siano presenti ovunque, e non solo nel vino come pensano i più. Si è parlato però soprattutto di Primitivo, un vino ‘sensibile’ non valorizzato ancora quanto merita, ovviamente quando fatto bene. Quando poi ho ascoltato la sua scelta nell’adottare la musicoterapia per la produzione del vino, mi è scappato un sorriso, ovviamente con tutto il rispetto. Per certo, la musica non fa male a nessuno.

Stramaturo 2015, vino dolce 100% Primitivo

Stramaturo 2015, vino dolce 100% Primitivo

Ho voluto continuare la nostra chiacchierata ponendogli alcune domande.

  • Durante alcuni viaggi a Taranto ho avuto la netta impressione che il Primitivo non abbia su questo territorio la considerazione che merita. Ovviamente mi riferisco a vini fatti bene. Che cosa ne pensi?

In passato il Primitivo veniva utilizzato, si diceva, come vino da taglio per il suo alto tenore alcolico. La mia opinione è che fosse utilizzato, quando ben fatto, per “migliorare” molti vini provenienti da uve poco mature. Penso che attualmente in Puglia ci sia molta voglia di valorizzare il vino Primitivo che, non solo secondo il mio modesto parere, ha delle potenzialità da “primo della classe”. La condizione però è di non lasciarsi prendere dalla voglia di percorrere delle scorciatoie che consentano di omologarne il gusto per renderlo maggiormente fruibile.

Inoltre, il Primitivo, è un vitigno eclettico e si esprime in vari modi in funzione del metodo di coltivazione, della zona di produzione, e, soprattutto, dell’annata. Ho avuto modo di spiegare e di far degustare vari tipi di Primitivo prodotti da me con lo stesso protocollo in cantina, ma differenti in funzione della quantità di produzione per pianta e annata.

  • Riporto un passaggio del tuo intervento: “Il problema principale del Primitivo deriva dall’alta concentrazione di zucchero.” Lascio a te continuare…

Spiegare bene il problema non è semplice. Proverò a essere breve e chiaro. Per ottenere un buon vino l’uva deve essere matura, sana e provenire da vigne vecchie. L’uva della mia zona di produzione, quella del Primitivo di Manduria, quando è matura ha un’alta concentrazione di zuccheri che producono potenzialmente un’alta concentrazione di alcol. Questo a sua volta rischia di inibire i lieviti durante la fermentazione lasciando così dei residui zuccherini elevati.

Se si vuol produrre un vino secco e non si vogliono utilizzare lieviti selezionati e non autoctoni, bisogna agire correttamente in due momenti diversi. In vigna vendemmiando con il giusto tempismo. Sbagliare di qualche giorno può provocare ricadute negative sul prodotto finale. In cantina si devono utilizzare fermentini dotati di tasche di refrigerazione per il controllo della temperatura. Infine è importante, secondo me, il passaggio in barriques non nuove utilizzate solo per favorirne l’evoluzione attraverso la micro-ossigenazione.

  • Per quarant’anni sei stato ufficiale di marina. Ti sei congedato con il grado di contrammiraglio per poi continuare la tua vita come viticoltore. Chi ti ha dato i primi rudimenti del mestiere e quali sono state le difficoltà principali che hai incontrato?   

Sono vissuto in una famiglia dove mio nonno materno Brandisio (ho dedicato a lui il mio vino di punta), insieme a mia madre, produceva vino da uve provenienti dalle nostre terre. Inoltre, oltre ad essere viticoltore, era anche un commerciante di vini. Devo a loro il mio retaggio culturale e la mia passione per la vitivinicultura. Preferisco quest’ultima dizione che pur avendo lo stesso significato di vitivinicoltura spiega meglio il valore culturale che ha per me questo nuovo mestiere.

Ereditata la cantina di mio nonno è stato naturale per me, una volta lasciato il servizio attivo, riprendere da dove avevo lasciato nel  1969 con l’ingresso nell’Accademia Navale di Livorno. Ho appreso le moderne pratiche di cantina da un caro amico produttore di un eccellente Primitivo. Ho anche studiato per mettere a punto un protocollo basato sull’impiego dei Microrganismi Efficaci di Teruo Higa, che mi consente, tra l’altro, di esaltare le caratteristiche nutraceutiche naturalmente presenti nei vini rossi. Devo qui puntualizzare che il vino contiene alcol e va comunque degustato nelle giuste dosi.

Le difficoltà incontrate soprattutto all’inizio, hanno riguardato l’atteggiamento a volte ostico sia dei contadini sia degli addetti alla trasformazione dell’uva, poco inclini alla sperimentazione di nuove metodologie sia in vigna che in cantina. Nel primo anno di raccolta di uve non trattate nemmeno con zolfo e rame, un contadino confinante mi disse: “Ma come, hai anche vendemmiato?” Con questo voleva dire che era meravigliato del fatto che le piante nonostante non avessi usato prodotti chimici, erano uscite indenni da qualunque tipo di malattie.

  • Parliamo di musicoterapia, o meglio, di risonanza acustica con brani selezionati di Mozart e di Canto Gregoriano. Onde elettromagnetiche conferite nella produzione del tuo vino in particolari momenti. Di chi è stata l’idea e quali i risultati scientificamente provati?      

Ho la fortuna di avere un caro amico scienziato laureato in fisica negli USA, Ph.D in ingegneria elettronica, che nel corso di una sua visita in cantina mi suggerì di applicare in bottaia, durante l’affinamento del vino, quella che forse impropriamente definisco “musicoterapia”. Non è semplice da ottenere perché la bottaia deve entrare in risonanza acustica in modo che ci siano le condizioni perché la musica, quella giusta, possa avere effetti positivi sul vino. Ora sto utilizzando esclusivamente Canto Gregoriano.

I risultati fin qui ottenuti non sono ascrivibili a un protocollo scientifico certificato perché per questo è necessario procedere con metodo, e …avere molti soldi a disposizione.  Appena potrò affrontare economicamente la spesa sarà la prima cosa che farò. Ci sono indicatori positivi ottenuti analizzando chimicamente e organoletticamente i miei vini sottoposti a “musicoterapia” e non. In questo mi supporta un’altra mia amica laureata in chimica, che studia il potere anti-ossidante dei vini, ricercatrice presso un noto centro di ricerca.

Questo mio secondo mestiere si sta rivelando molto gratificante per me. Scopro continuamente delle novità che, tra l’altro, mi forniscono gli incentivi per proseguire con il mio protocollo. L’ultima scoperta riguarda la bassissima concentrazione di alcune tossine, le istamine, responsabili secondo uno studio americano, delle emicranie e dei mal di testa provocati dal vino. Non esiste in Italia una legge che ponga un limite alla loro concentrazione. La Svizzera raccomanda un livello massimo di 10 mg/l, la Germania 2 mg/l, Belgio e Francia 5 mg/l e 8 mg/l rispettivamente. Le ultime analisi che riguardano i miei vini ne hanno rivelato una concentrazione da 0,40 a 0,45 mg/l. Ma non sono queste le uniche novità!

Oreste Tombolini Vitivinicultore www.brandisioilprimitivo.it




Un progetto per tutelare la ricchezza enologica italiana: The Winefathers

“Che cosa si beve stasera? Per iniziare le propongo un Prosecco.” Questa è la tendenza del momento. Con tutto il rispetto mi sono un po’ stancata. Nonostante le mie origini trevigiane mi rendano orgogliosa per il successo che sta riscuotendo questo vino bianco a Denominazione di Origine Controllata, prodotto tra Friuli e una parte del Veneto, la smorfia in queste circostanze mi viene spontanea.

Vivo in Italia, un paese che vanta oltre 300 vitigni autoctoni da promuovere e valorizzare. Eppure…

Eppure i più ne conoscono solo alcuni, spesso di origine internazionale (alloctoni). Nella ristorazione, e non solo, proporre i soliti vini è molto più facile. Per lo meno questa è la risposta che abitualmente mi sento dare. Un vero peccato per chi si sforza di continuare, con molte difficoltà, la coltivazione di vitigni antichi e rari.

In Toscana c’è un vitigno a bacca rossa quasi scomparso – il Bonamico – chiamato anche “Giacomino” nel pisano, “Tinto” nel pistoiese, “Uva rosa” o “Durace” nel fiorentino. Ebbene, c’è un ingegnere-vignaiolo, Samuele Bianchi, che ha dato vita all’Azienda Il Calamaio acquistando una terra con vigne abbandonate. E’ così che ha scoperto questo antico vitigno che sta tentando di preservare tramite la riproduzione dei singoli cloni.

Samuele Bianchi Azienda Il Calamaio - Toscana

Samuele Bianchi – Azienda Agricola Il Calamaio

Con la collaborazione di “The Winefathers”, un progetto realizzato da un gruppo di amici di Udine, sta cercando supporto per far si che questa ricchezza enologica non scompaia. Ma ora veniamo al punto, cercando di capire concretamente come si sviluppa questa idea a sostegno dei vignaioli artigiani italiani.

  • The Winefathers, o meglio, diventare parente di un vignaiolo italiano. Quando e come è nato questo progetto?

E’  nato un anno e mezzo fa, lavorando ad un progetto imprenditoriale in tutt’altro settore. Sviluppando quel lavoro abbiamo conosciuto un sito americano che metteva in contatto diretto chi produceva piccolissime serie di prodotti artigianali in tutto il mondo, con appassionati alla ricerca di prodotti unici. Ci è nata così un’illuminazione. Perché non farlo nel mondo del vino? Da lì siamo partiti, ci abbiamo lavorato e abbiamo creato The Winefathers.

  • Come è possibile instaurare la parentela con un vignaiolo, e concretamente, in che cosa consiste?

E’ sufficiente andare sul sito www.thewinefathers.com  Si potranno trovare alcuni progetti dei migliori vignaioli artigianali italiani. Si tratta di progetti diversi ma sempre nel campo della sostenibilità, come ad esempio quello del salvataggio del Bonamico dell’Azienda Il Calamaio, di cui parlavi prima. Scelto il progetto che si preferisce, lo si può sostenere, diventando simbolicamente parente del vignaiolo: da cugino a zio, da fratello o sorella a padre o madre. In questo modo si contribuisce alla realizzazione del progetto, si resta aggiornati con foto e video sull’avanzamento dello stesso, e al termine si ricevono le ricompense previste, proporzionali all’offerta effettuata: da bottiglie di vino fino a vere e proprie esperienze di più giorni nelle vigne insieme al vignaiolo. E’ proprio come entrare a far parte di una nuova famiglia.

  • In quanto fondatori del progetto come scegliete gli artigiani del vino da sostenere?

Siamo partiti coinvolgendo un vignaiolo nostro amico, Marco Cecchini di Faedis, e inizialmente ci siamo mossi per segnalazione. A ogni nuovo vignaiolo che entrava chiedevamo di indicarci altri vignaioli che avessero le qualità che cerchiamo:  prodotti artigianali di eccellenza, una storia da raccontare, un progetto interessante da sostenere. Pian piano così abbiamo cominciato a espandere la nostra rete. Con il passare del tempo e grazie alla visibilità ottenuta, abbiamo cominciato ad essere contattati da nuovi vignaioli. Abbiamo messo in piedi una squadra di sommelier e degustatori che assaggia i vini che ci vengono inviati ed esprime i suoi giudizi. Poi, valutiamo il progetto e le persone che ne fanno parte,  importanti quanto l’eccellenza dei vini.

  • Mi raccontate il buon esito di qualche esperienza fatta in questi anni con The Winefathers?

Ti possiamo dire che in Basilicata, nel territorio di Melfi, non c’erano più alberi. A tanto possono arrivare gli interessi economici. Luca e Sara Carbone, vignaioli artigianali che producono un ottimo Aglianico del Vulture, hanno voluto tramite il nostro sito ripopolare le aree intorno ai loro vigneti con alberi da frutta in via di abbandono. Il successo del progetto è stato notevole, tanto che diversi nuovi “parenti” sono arrivati dagli Stati Uniti per incontrare i vignaioli e vedere con i loro occhi quello che stava nascendo. Ora Luca e Sara vedono crescere meli, mele cotogne, mele zitelle e limoncelle, melograni, nespoli, amarene, fichi, albicocchi e peschi. Sono risultati semplici raggiunti con la convinzione che  ciascuno di noi, nel nostro piccolo, possa fare la differenza.

Una giornata con un vignaiolo e i suoi 'parenti'

Una giornata con un vignaiolo e i suoi “parenti”

THE WINEFATHERS
Via Santa Giustina 8
33100 Udine (UD)
+39 3275618717
info@thewinefathers.com




A lezione da Attilio Scienza

Attilio Scienza, nato nel 1945 a Serra Riccò, in provincia di Genova. Si è laureato nel 1969 presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Professore associato di fitormoni e fitoregolatori in arboricoltura e Professore ordinario di Viticoltura presso l’Università di Milano. Dal 1985 al 1991 Direttore generale dell’Istituto Agrario San Michele dell’Adige. Ricercatore e autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche inerenti alla genetica della vite e alla viticoltura. Una presentazione di tutto rispetto per un uomo dall’estrema semplicità e saggezza che ho avuto il piacere di conoscere durante una degustazione di vini della Valcalepio al Castello di Grumello, in provincia di Bergamo. Dopo averlo ascoltato ho scambiato con lui qualche parola.

La sostanza del suo pensiero, che condivido pienamente, si basa sull’importanza della tutela della bValcalepioiodiversità, sulla valorizzazione dei vitigni antichi e autoctoni, e sul racconto emozionale della loro storia. Viviamo in un’epoca in cui alcuni vini sono considerati quasi di moda (definizione in uso che non mi piace affatto quando è riferita alle produzioni), di cui i più poco conoscono, se non i nomi, o meglio i nomignoli che fanno tendenza. Scelte di produzione certamente legate alla domanda del consumatore, che potrebbero però andare di pari passo con la promozione di vini quasi dimenticati, e di vitigni antichi e autoctoni da salvare legati alla storia del territorio. Scelte coraggiose che possono fare solo bene alla viticoltura, adottate da chi ama sul serio questo importante comparto dell’economia italiana.

A lui la parola…

Perché è importante raccontare la storia di un vitigno, di un vino e di un territorio? Tutto nasce da un meccanismo del nostro cervello denominato sinestesia: il collegamento con alcune sensazioni gustative, musicali e visive, e il ricordo.  Si cita spesso l’esempio di Marcel Proust che, sentendo il profumo delle madeleine, i biscotti che gli preparava sua madre, evoca i suoi ricordi di infanzia. E’ così che va raccontato il vino. Bisogna fare in modo che il consumatore ricordi e associ l’atmosfera, le emozioni  e le sensazioni vissute durante la degustazione. Il modo più efficace per dare continuità al rapporto con il vino.

Qui di seguito un momento del suo intervento.

Un vero piacere e un onore ascoltarlo.

La serata al castello è continuata con l’assaggio di vini  “en primeur” vendemmia 2015 di dodici cantine della Valcalepio, terra vitivinicola di Bergamo la cui zona di produzione è situata nella fascia collinare che va dal lago di Como al lago di Iseo.

Le varietà principali coltivate sono:

  • Vitigni a bacca bianca :  Pinot bianco, Pinot grigio, Chardonnay, Manzoni bianco e Moscato giallo.
  • Vitigni a bacca nera : Merlot, Cabernet Sauvignon, Barbera, Incrocio Terzi n.1, Franconia, Marzemino, Schiava lombarda, Schiava meranese e Moscato di Scanzo.
  • Varietà autoctone : Merera, Altulina e Gafforella.

Il Valcalepio, un ‘vino in rinascita’ che dal 1976 si è visto riconoscere la denominazione di origine controllata.




Regione che vai, amaretto che trovi.

Quando si parla di amaretti, il mio primo ricordo va alla Gisella, la mia nonna paterna mantovana. Un’ottima cuoca amante della tradizione e delle materie prime di qualità. Da ragazzina passavo molto tempo con lei, la seguivo durante le sue preparazioni e l’ascoltavo incantata nei suoi racconti. I nonni sono figure speciali, che, con parole semplici, sanno trasmettere ai bambini insegnamenti che difficilmente si dimenticano col passare degli anni. Tra i suoi piatti, in particolare, ricordo i tortelli di zucca mantovana. Un impasto delicato con un ripieno dal sapore dolce piccante dato dagli amaretti e dalla mostarda piccante.

Il dolce amarognolo degli amaretti.

Gli amaretti oltre ad essere apprezzati semplicemente così, come buoni biscotti, sono anche utilizzati in molte ricette. Il loro sapore dolce amarognolo è dato dalle mandorle e dalle armelline, il seme presente nel nocciolo delle albicocche, di cui però si deve limitare il consumo, affinché non diventi tossico. In provincia di Asti, nell’azienda “Le dolcezze del Pep“, durante una visita ho seguito con interesse le fasi della loro lavorazione artigianale. Un semplice impasto ottenuto con la giusta proporzione di mandorle, armelline, zucchero e albume d’uovo. In Italia la coltivazione del mandorlo, tranne che per alcune eccezioni nel settentrione, è diffusa soprattutto nelle regioni meridionali, territori in cui questa pianta trova il suo habitat ideale.

Regione che vai, amaretto che trovi.

Il Piemonte è la regione italiana che vanta, relativamente a questa tipicità, più preparazioni artigianali. Sono noti gli amaretti di Mombaruzzo, quelli di Valenza, di Acqui, di Gavi e di Ovada. In Liguria sono conosciuti quelli di Sassello e in Lombardia quelli di Saronno e di Gallarate. Nel Modenese vantano una lunga tradizione quelli di Spilamberto, mentre in Sardegna, grazie alla diffusa coltivazione del mandorlo, sono noti gli  “amarettos de mendula”. Solo per citarne alcuni.

Normativa a tutela della denominazione “Amaretto” e  “Amaretto Morbido”.

A tutela del consumatore il Ministero delle Attività Produttive e delle Politiche Agricole e Forestali ha elaborato una normativa, che qui di seguito riporto, a garanzia della denominazione dell’Amaretto e dell’Amaretto Morbido. Per entrambi in etichetta deve essere indicata la percentuale di mandorle e armelline presenti.

  • La denominazione “Amaretto” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta secca avente forma caratteristica tondeggiante, con struttura cristallina e alveolata e superiore screpolata, e gusto tipico di mandorla amara, con eventuale aggiunta di granella di zucchero. Il prodotto presenta una percentuale di umidità inferiore al tre per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%,mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 13% di mandorle complessive, albume d’uovo di gallina.
  •  La denominazione “Amaretto Morbido” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta morbida avente forma caratteristica tondeggiante, con superficie superiore screpolata. Il prodotto deve presentare una percentuale di umidità almeno dell’otto per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%, mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 35% di mandorle complessive; albume d’uovo di gallina. (Le percentuali dei due tipi di mandorle vanno indicate separatamente).

Non ci resta che leggere con molta attenzione le etichette, oppure, per chi volesse cimentarsi, preparare con buoni ingredienti degli amaretti casalinghi.

Amaretti fatti in casa

> Dosi :

  • 200 grammi di mandorle dolci
  • 50 grammi di mandorle amare (o armelline)
  • 180 grammi di zucchero
  • 4 albumi d’uovo

> Preparazione :

  • Sgusciare le mandorle e porle in acqua bollente per un paio di minuti.
  • Pelarle, farle tostare in forno caldo per dieci minuti, e, dopo avere unito lo zucchero, pestarle bene in un mortaio.
  • Aggiungere gli albumi e impastare fino ad ottenere un composto omogeneo da cui si ricaveranno piccoli biscotti rotondi.
  • Porli su una teglia da forno imburrata (o carta da forno), e cuocere a 160 gradi per circa 20 minuti.
  • Gli amaretti, una volta raffreddati, vanno conservati in ambiente asciutto.

Le Dolcezze del Pep – Regione Prata, 95 – Incisa Spatacino (AT)

info@ledolcezzedelpep.com




Bresaola… A Chiavenna la chiamano Brisaola.

Un tour per la Valchiavenna: La Brisaola di Stefano MasantiPalazzo Vertemate Franchi – Mamete Prevostini

L’importanza della Tracciabilità degli Alimenti.

Partiamo da qui, da questo prodotto tipico che, se fatto artigianalmente, utilizza carne di bovino e non di zebù, come solitamente avviene nell’industria. Carne stagionata con sale, aromi e spezie, la cui lavorazione è fondamentale quanto l’ambiente. In Valchiavenna la presenza dei crotti, grotte naturali utilizzate dalle comunità locali per conservare salumi e formaggi, è determinante per la giusta stagionatura di questi prodotti. La particolarità di queste cavità naturali formate da massi di rocce è il ‘sorel’ (dalla forma dialettale “sorà”, ventilare). Una corrente d’aria che fuoriesce dagli spiragli e che permette di mantenere una temperatura ideale senza grosse variazioni, fresca e umida in base alla stagione.

Prodotti tradizionali che gli artigiani seguono con cura e che per questo vanno difesi. Questo per sottolineare l’importanza di un controllo cheQR garantisca il percorso di un prodotto, dal produttore fino al consumatore: la Tracciabilità degli Alimenti. A questo proposito Stefano Masanti, cuoco, artigiano e patron del Ristorante “Il Cantinonea Madesimo, con la sua “Ma! Officina Gastronomica” (Ma come Masanti, Madesimo e Maglio, suo collaboratore), ha avviato un progetto in tal senso attraverso un’etichettatura che utilizza il codice QR. Un codice a barre che attraverso l’apposita applicazione, permette di risalire con la lettura dal cellulare ad informazioni utili per conoscere l’origine dei prodotti. La sua, una Brisaola senza nitriti aggiunti, prodotta artigianalmente a quota 1.550 metri,  dove l’aria di montagna è più asciutta.

Una giornata passata insieme ad un gruppo di persone legate al mondo della comunicazione enogastronomica, che mi ha permesso di assaggiare le sue creazioni e di degustare eccellenti vini valtellinesi raccontati dai vignaioli presenti con noi durante il pranzo. Stefano Masanti, cuoco e artigiano, una vita molto intensa ed impegnata, che spesso non da spazio ad altro. Si è parlato anche di questo. A breve, con sua moglie, partirà per la California per qualche mese, per lavoro, ma con ritmi diversi. Prendersi il proprio tempo è essenziale per continuare a fare bene.

Ristorante Il Cantinone – Via De Giacomi, 39 Madesimo (SO) www.ristorantecantinone.com

Palazzo Vertemate Franchi

Nel pomeriggio, con un piccolo gruppo, ci siamo spostati a Prosto di Piuro per visitare Palazzo Vertemate Franchi. Una bellissima dimora lombarda cinquecentesca, capolavoro rinascimentale, dalla facciata sobria ma dagli interni ricchi di affreschi e di arredi dell’epoca. Una tenuta in cui è ben visibile l’attività agricola che in passato sosteneva la famiglia Vertemate Franchi. Un vigneto, un frutteto, una cantina e una ghiacciata. Non manca nemmeno un fantasma, ben conosciuto dalle signore per i ‘noti’ scherzi notturni…

Palazzo Vertemate Franchi, aperto da Marzo a Novembre. www.palazzovertemate.it Piazza Caduti della Libertà –  Chiavenna (SO)

Mamete Prevostini

Non si può finire una giornata in Valchiavenna senza aver mangiato dei buoni pizzoccheri con verze e patate. A dirla tutta stavolta ho fatto il bis, o meglio, ho assaggiato anche dei gnocchetti bianchi di Mese preparati con farina bianca e mollica di pane, che da queste parti chiamano pizzoccheri bianchi. Buoni e delicati. Il Ristorante Crostasc a Mese, in provincia di Sondrio, è stato il primo crotto in Valchiavenna ad aprire al pubblico nel 1928. Da ormai tre generazioni la famiglia Prevostini conduce questo locale, ora ristorante, con una cucina tipica che richiama la tradizione enogastronomica di queste valli.

A tavola a fianco a me Mamete Prevostini, viticoltore di Valtellina. In quest’area vitivinicola nota per i suoi terrazzamenti coltiva il suo Nebbiolo. La nuova cantina con sede a Postalesio, sempre in provincia di Sondrio, ha ottenuto recentemente la certificazione CasaClima Wine. Un marchio di qualità dell’Agenzia CasaClima di Bolzano a tutela dell’ambiente, che garantisce l’ecocompatibilità, l’efficienza energetica dell’edificio, e l’ottimizzazione dei consumi delle risorse dell’intera filiera produttiva del vino.

Ristorante Crotasc Via Don Primo Lucchinetti, 63  Mese (SO) www.ristorantecrotasc.com www.mameteprevostini.com

Al prossimo tour…

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