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Giovanni Trapattoni, presidente per un giorno al Festival della Cazoeula di Cantù

Qual è la cucina che piace agli italiani? Certamente non mi aspetto di dare una risposta che incontri il consenso di tutti. Mi limiterò solo ad esprimere il mio pensiero, quello di una donna che celebra il mondo dei sapori e delle tradizioni, e che vive quotidianamente, come con un compagno, la passione e il calore che gli trasmette il cibo. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese ricco di produzioni e di menti creative, che ci permettono di godere dei molti piaceri che rendono la cucina italiana famosa nel mondo. Ebbene, credo che gli italiani come me amino una cucina conviviale fatta di prodotti della terra. Una cucina accessibile a tutti, che esprima il territorio e le persone da cui ha origine.

Venerdì 6 Febbraio si è svolta a Il Garibaldi di Cantù la degustazione finale del 3° Festival della Cazoeula. Otto ristoranti in gara si sono contesi il premio “Cazouela d’Ora” per il miglior piatto di pomodoro verza e costina: la triade Canturina. Un piatto della tradizione popolare lombarda dalla lunga storia. Una preparazione tipica della cucina invernale il cui nome si può trovare scritto in diversi modi: cassouela, cassuola o casouela. Comunque sia, la ricetta ha come ingredienti carne di maiale (costine e cotenna) accompagnate da verza cotta, spezie, vino rosso e concentrato di pomodoro. A proposito, per digerire meglio la cazoeula è consigliabile bere prima dell’assaggio un bicchierino di grappa. Un’usanza nata dall’ingegno dei contadini… scarpe grosse e cervello fino!

La cazouela

La cazouela

  • Ristoranti in gara.

Hanno partecipato all’evento: La Scaletta, Il Giardinet, Le Querce, Il Garibaldi, l’Osteria del Km 0, Agriturismo L’Urtulan, La Cascina di Mattia, e la Trattoria Riposo.

  • La giuria.

Esperti enogastronomi, comunicatori del settore, cuochi ed appassionati, hanno avuto come presidente onorario un protagonista della storia del calcio italiano: Giovanni Trapattoni.

In giuria Claudio Bizzozero Sindaco di Cantù, Elda Borghi la madrina ufficiale della cazouela Canturina, Bruno Profazio vicedirettore del quotidiano La Provincia, Giovanni Bettio imprenditore, Nicola Gini giornalista e appassionato di enogastronomia, Alberto P. Schieppati direttore editoriale della rivista Artù, Rocco Lettieri esperto di lunga data nell’ambito enogastronomico, Antonio Silva professore di storia e filosofia, Sergio Mauri vice-presidente dell’Associazione Cuochi di Como, Carlo Pozzoni fotoreporter ed editore, Andrea Marconetti e Maurizio Rosazza Prin entrambi finalisti della 2’ edizione di Masterchef, Franco Cattaneo appassionato di cucina, Emanuele Mambretti appassionato di tradizioni locali, Maurizio Casarola giornalista del quotidiano La Provincia, e Aldo Nenzi enogastronomo di lunga data. Dimenticavo, in giuria c’era anche una donna appassionata di storia, di tradizioni  e di enogastronomia, che comunica il territorio e i suoi prodotti mettendo al centro le persone, si chiama Cinzia Tosini. 😉

Ebbene, durante gli otto assaggi ho avuto modo di conoscere meglio, oltre agli altri giurati, un uomo di sport di origini bergamasche che ha dimostrato una grande simpatia e disponibilità. Tante le similitudini e le cose da raccontarci, visto che per molti anni ho abitato nel suo stesso comune. Insieme, oltre a giudicare i piatti, si è parlato di tradizioni, di ricette tipiche locali, e… si è molto sorriso!

Giovanni Trapattoni

Giovanni Trapattoni

Rullo di tamburi

Nella 3° edizione del Festival della Cazoeula di Cantù, con 334 punti vince il premio “Cazouela d’Ora” il ristorante La Cascina di Mattia. Segue al secondo posto, il ristorante Il Garibaldi con 332 punti. Infine, si aggiudica il terzo posto l’Osteria del Km 0.

Complimenti a tutti e…  Ode alla Cazoeula!

Ode a te Cazoeula, pomodoro verza e costina, potente triade canturina!
Ne’ Novembre, ne’ Dicembre sono mesi a te prediletti,
coperti tutti i campi col gelo di Gennaio, ghiacci la verza furente in un lavoro silente.
Il contadino con fame e maestria sacrifica il maiale.
Per te la verza ha abbandonato madre terra, il maiale ha chinato il capo.
Il fuoco arde la casseruola arrossisce. Un’orgia si consuma in cucina: Verza, Cotenna e Costina!
D’improvviso arriva la tua amante: la polenta fumante!
Ti accompagna nel tuo viaggio. Ti esalta!
Al tavolo speranzoso ti aspetta il vecchio brianzolo.

Ristoranti in gara nel Festival della Cazouela

Fotografia  in testata di Carlo Pozzoni



Una storia di ristorazione macchiata dal passato

In testata pesce spada a bassa temperatura, 62 gradi, con castagna caramellata al Gran Marnier, passata di cannellini e zeste (buccia) di arancia caramellata. Chef Guglielmo Paolucci.

Davide Lacerenza, patron del Ristorante La Malmaison di Milano. L’ho conosciuto durante una recente manifestazione sullo street food. Cosa mi ha colpito di lui? Il modo in cui raccontava le sue materie prime, in particolare dando consigli e approfondimenti su crostacei e molluschi che, attirando particolarmente l’attenzione del pubblico, hanno dato vita ad uno degli interventi più riusciti della giornata.

E’ per questo che ho voluto conoscerlo meglio accettando l’invito a cena nel suo ristorante. Ma non sapevo tutto, si, non sapevo di precedenti legati alla sua vita privata che ahimè condizionano la sua storia di ristoratore.

Ieri sera, persone che mi conoscono e che tengono a me, sapendo come la penso sui protagonisti dell’enogastronomia, si sono preoccupati scrivendomi in privato. Io ero li solo per conoscere meglio una persona e i piatti del suo bravo e giovane cuoco, Guglielmo Paolucci. Punto.

 Cruditè di pesce

Cruditè di pesce

Un uomo di origini pugliesi che ha vissuto in una Milano difficile, che ha lasciato a quindici anni la scuola per lavorare nei mercati di frutta e verdura, alzandosi alle tre di notte, nel gelo d’inverno e sotto il sole d’estate. Poi, di notte, un lavoro in discoteca per coprire le spese.

“Cinzia, non dimenticherò mai da dove sono arrivato, i ricordi mi danno sempre la gioia di sorridere. Sono nato in un quartiere storico alla periferia di Milano, il Giambellino, nel 1965. Li ho vissuto gli anni peggiori.  Più della metà dei miei amici e compagni di scuola sono morti per droga, mentre altri sono finiti in galera. Ora che ho qualcosa di mio che veramente mi da soddisfazione, svolgo il mio lavoro con amore e passione, questo è quanto.”

Di certo gli ho dato dei consigli. Ci sono molti cambiamenti da fare nel suo locale. Come ho detto a Davide ieri sera, a volte per cambiare bisogna dare una vera svolta alla propria vita, facendo scelte difficili e voltando pagina sul serio. Capitolo chiuso.

 Vi lascerò solo le immagini che mi hanno colpito il giorno in cui l’ho conosciuto.




Carlo Ravasio, un muratore che a Bergamo fa Olio e Vino

Quando ho chiesto a Carlo Ravasio il suo mestiere, lui senza esitare mi ha risposto: – Cinzia, faccio il muratore! – Sbigottita l’ho guardato un po’ perplessa. La realtà, quella vera, è che molte persone che incontro hanno due vite (io compresa).

Si cresce e si cambia, gli stessi eventi che a volte ci travolgono fanno scoprire in noi potenzialità nascoste che risvegliano le nostre passioni e trasformano la nostra vita. Il quesito è – qual è la vita vera? – Credo, anzi sono convinta, che sia quella che ci fa battere il cuore, che ci tiene vivi, e che ci fa svegliare la mattina con la voglia di fare.

Carlo Ravasio è un imprenditore dell’edilizia cresciuto nelle terre di un antico borgo rurale, un tempo adibito all’allevamento di capre: Cavril (caprile in bergamasco). La sua attività lo ha portato ad investire nel villaggio abbandonato della sua infanzia a Sotto il Monte Giovanni XXIII, ben determinato a riportarlo in vita.

Questo recupero ha fatto nascere una farmhouse, un agriturismo con una terrazza da cui ho goduto, seduta su una panchina, la bellissima vista su Bergamo. Ma non solo, ha fatto rinascere anche la vecchia cantina in cui riposano le bottiglie dei vini prodotti dall’azienda agricola annessa Sant’Egidio.  Una storia familiare di origine contadina iniziata nel dopoguerra con l’acquisto della prima vigna: ‘Ronco di Sera’.

Farmhouse trovata! E con che vista! #Cavril #Agriturismo #SottoilMonte #Bergamo

Ronco di Sera

Tre ettari di vigneti e uno di oliveto da cui produce olio extra vergine di oliva da cultivar Frantoio, Casaliva, Leccino e Pendolino, e il vino che porta sulle tavole del suo agriristoro biologico. Ronco di Sera, prodotto con un taglio di vino Merlot variabile tra il 60-70% e Cabernet Sauvignon per la rimanente parte, Tessére ottenuto da uve Merlot, Turano da uve Cabernet Sauvignon, e infine Marinele, da uve Moscato giallo.

Durante la cena in cui l’ho incontrato, Carlo mi ha espresso la volontà di far conoscere come merita il suo territorio e le sue produzioni avvalendosi di materie prime di piccole medie aziende agricole della zona di accertata qualità.

Da un’idea spesso nascono progetti, che se condivisi, uniscono e permettono di fare bene. Questa determinazione ha fatto nascere l’associazione delle  ‘Sette Terre’, un gruppo di viticoltori uniti dalla volontà di valorizzare e promuovere la produzione vitivinicola bergamasca da molti non ancora considerata tale.

Impegno, passione, qualità, valore, crescita, studio e programmi: questi i sette punti cardine che uniscono i produttori che si vogliono associare. Sette, simbolo della perfezione legato al compiersi del ciclo lunare, per gli Egizi simbolo di vita.

La sera che l’ho incontrato, ho avuto il piacere di assaggiare un piatto contadino tipico della tradizione: il Pancotto alle verdure con uovo poché (uovo in camicia). Un piatto da alcuni considerato povero, per me un piatto ricco, perché tramandandolo di generazione in generazione ci permette di tenere viva la memoria storica della nostra bell’Italia.

Un albero senza radici non ha linfa vitale, esattamente come un paese che non mantiene viva la sua memoria…

 

 




L’Osteria della Villetta, un salto indietro nella storia

 

Amo le Osterie Storiche, quelle in cui, quando entri, respiri storia tradizione e nei piatti senti il territorio. Ebbene, quando nei miei giri ne incontro una, statene certi che non me la faccio scappare, o meglio, entro e mi immergo nelle sue atmosfere.

Osteria della Villetta - Palazzolo sull'OglioLe scelgo con cura chiedendo consiglio alle persone che incontro, dopo averle conosciute e fatto capire loro che cosa cerco. Niente scintille, io cerco oasi per chi ama, oltre che mangiare, vivere i posti, i prodotti e le persone. Ebbene, a conclusione della mia visita all’azienda agricola Corte Fusia a Coccaglio, mi è stata consigliata l’Osteria Storica della Villetta a Palazzolo sull’Oglio, Brescia. Un ottimo consiglio… che ora vi racconto.

Durante i miei percorsi il mio compagno di viaggio è spesso il navigatore. Lo imposto, lui mi guida, e io mi perdo nei proxymiei silenzi e nei tanti scenari che la nostra bell’Italia ci offre (sono una donna silenziosa, anche se qualcuno stenterà a crederlo).

Da Coccaglio ho raggiunto in breve Palazzolo sull’Oglio, un paesino del Bresciano dai ritmi lenti… quelli che amo seguire appena il tempo me lo permette. Dopo aver parcheggiato in prossimità della stazione, prima di entrare, mi sono soffermata a guardare la facciata esterna: una palazzina dall’aspetto tipico delle locande di un tempo.

Dovete sapere che quando entro in un luogo che mi piace e mi incuriosisce, i miei occhi continuano ad orbitare, ma non solo… non mi si riesce proprio a tener ferma! Di solito, scusandomi per il vagare nelle sale, spiego che è semplicemente il mio modo di ambientarmi, per capire e conoscere meglio le persone che vivono nei posti che visito. Una volta soddisfatta, poi, c’è la fase successiva dedicata alle domande, per approfondire ciò che mi ha colpito. Badate bene, se sto zitta, è un cattivo segno. 😉

Devo ammettere che in questa Osteria di domande ne ho fatte tante. Accolta da Maurizio Rossi, l’oste, ho visitato angoli di storia ascoltando i suoi racconti. Dal 1989 insieme alla moglie Maria Grazia Omodei, conduce questa realtà nata da una tradizione familiare centenaria, ma non solo, perché qui, esattamente in una delle camere dell’albergo annesso all’Osteria, è nato anche lui.

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Maurizio Rossi, l’oste

Inizialmente in gioventù, entrambi hanno seguito percorsi diversi dalla ristorazione. Lui perito meccanico, lei insegnante con un’esperienza nella politica locale dal 1995 al 1999, come Presidente del Consiglio Provinciale di Brescia. Poi, come spesso accade, le origini hanno chiamato. Questo locale dallo stile Liberty da anni presente nella guida delle ‘Osterie d’Italia della Slow Food’, ha trovato con loro la giusta continuità seguendo un percorso di ristorazione che porta avanti, con i buoni prodotti della terra, le tradizioni enogastronomiche bresciane.

Sono convinta che mai come ora, sia questa la strada giusta. Tradizione, semplicità e buoni prodotti agricoli del territorio. Un mix vincente mai fuori moda per chi sedendosi a tavola cerca buon cibo, e intorno a se, convivialità e gente genuina. Quando sono andata a trovarli ho accettato di buon grado la proposta di Maria Grazia di pranzare con un minestrone fatto con i prodotti del suo orto. Lo adoro, tiepido d’estate e caldo d’inverno, ricco di verdure, espressione della ricchezza della nostra agricoltura. Accompagnato da un buon olio extra vergine di oliva e da alcuni assaggi di Franciacorta DOCG, ha reso la sosta di una viandante… speciale e indimenticabile!

Concludo con una citazione che ho letto solo in seguito: “La prestigiosa rivista inglese Monocle e Repubblica citano l’Osteria della Villetta come uno dei dieci migliori luoghi di Charme del mondo.” Che dire? Forse che la semplicità è la chiave del successo, inteso come ricerca della genuinità nelle persone e nell’enogastronomia tutta.

Osteria della Villetta – Osti dal 1878 Via Marconi, 104 – Palazzolo Sull’Oglio (BS)




Secondo voi cosa vogliono gli italiani quando vanno al ristorante?

Qualche giorno fa ho fatto un piccolo sondaggio su ciò che le persone si aspettano andando fuori al ristorante. Un piacere a cui gli italiani difficilmente rinunciano, anche in un periodo di crisi come questo. Sento spesso dire – ma come, tutti sono in crisi ma i ristoranti sono pieni! – Certo, non tutti, ma molti si.

Per quanto mi riguarda adoro farlo (sono più brava a mangiare che a cucinare). 😉 Assaggiare cibo e vino è una mia grande passione, un momento di vera beatitudine che mi regalo scegliendo con cura il luogo di ristoro. A volte seguo i consigli di amici e conoscenti, mentre a volte, soprattutto quando sono in viaggio, uso il  ‘metodo Tosini’.  Funziona così: con la scusa di una foto ‘attacco bottone’ con le persone del posto che diciamo così, mi ispirano, e poi, chiedo indicazioni sui punti di ristoro caratteristici in cui fermarmi a mangiare. I risultati sono spesso sorprendenti!

Ma ora torniamo al mio piccolo sondaggio. Premetto che mi ha sorpreso molto che pochi hanno fatto riferimento al ‘conto’. Sono convinta che in un momento critico come questo il giusto rapporto tra qualità e prezzo sia uno dei motivi principali che determina la scelta. Alcuni sostengono che è impossibile mangiare bene senza spendere cifre, che ahimè, molti non si possono più permettere.  Io credo che partendo da buone materie prime che l’agricoltura italiana ci mette a disposizione, si possa fare una cucina di qualità senza spendere follie. Ad esempio, una pasta al pomodoro se fatta bene, è un gran piatto!

Detto questo, qui di seguito, ecco ciò che è emerso (ho aggiunto anche le mie riflessioni). Certo, nulla di nuovo, ma ricordarlo forse non fa male.

Gli italiani quando vanno al ristorante vorrebbero…

  • Qualità e accuratezza nell’uso di buone materie prime. L’agricoltura italiana ce ne fornisce a iosa senza spese esorbitanti. A questo proposito mi raccomando in particolare sulla frutta. Un cestino a fine pasto, senza doverlo chiedere, è più che ben accetto! Dimenticavo… mi raccomando anche alle insalate miste, sono pochissimi i ristoratori che sanno farle come vanno fatte.
  • Cordialità, educazione e cortesia. Un sorriso è la migliore accoglienza (e non costa nulla). Avere a che fare con degli addetti al servizio gentili è un punto acquisito e a favore.
  • Accessibilità. Una caratteristica essenziale considerando gli 80 milioni di persone diversamente abili in Europa… 650 milioni nel mondo.
  • Una carta dei vini ben fatta suddivisa per regione, e non solo con i soliti nomi noti. Ci sono produzioni di piccole e medie realtà agricole di ottima qualità.
  • Siamo una terra di grandi oli, ma li vogliamo mettere sui tavoli in modo che la gente li possa conoscere! Personalmente o li mettete o ve li chiedo! A proposito, vale anche per l’aceto (e non mi riferisco certo a prodotti balsamici che nulla hanno a che fare). Tra l’altro ci sono molti che amano l’aceto di vino, ma che sia buono (io compresa). Una volta lo si trovava in ogni cantina, oggi è quasi una rarità. Torniamo a farlo!
  • Un ambiente rilassante. Mi è capitato tempo fa, in un locale rinomato per l’ottima pizza, di vedere correre su e giù gli addetti in sala. Era pieno certo, ma essere urtati per il continuo passaggio frenetico, urtava me. Amo la tranquillità… mi è fondamentale quando esco a pranzo o a cena.
  • Pulizia e servizi in ordine curati alla stessa stregua dei locali che ci ospitano per mangiare. Purtroppo capita che accada il contrario.
  • La possibilità di avere uno spazio per i propri animali domestici è cosa da molti assai gradita.
  • Il parcheggio che, in caso non previsto in prossimità, ci venga facilitato nel momento in cui prenotiamo senza farci impazzire all’arrivo per l’inattesa difficoltà.
  • Wifi libero limitando però l’uso dei cellulari di cui a volte si abusa disturbando la tranquillità altrui. Rispetto prima di tutto.

A proposito di quest’ultimo punto, visto l’uso e a volte l’abuso dei mezzi di comunicazione, mi piacerebbe trovare dei ‘Face to face Restaurant’, credo che il nome renda l’idea di ciò che vorrei: #socializzazione.

Tre regole per gli ospiti: ci si deve sedere rigorosamente a tavola con persone che non si conoscono, ci si presenta e si chiacchiera, e… cellulari spenti. Esito della serata: è facile uscire con nuovi amici, oppure… ritenta e sarai più fortunato! Che ne dite… ne parliamo? 😉

Ecco in originale le risposte al mio sondaggio:

1' parte

2' parte

4' parte3' parte

La tavola nella foto è stata allestita da Amelia Affronti, freelance fashion designer




Piero Bertinotti, un uomo che non ha le ‘stelle’, perché lui le stelle, quelle vere, ce le ha già.

La prima volta che ho visto Piero Bertinotti è stato come vedere un vecchio tronco d’ulivo. Avete presente gli ulivi secolari, quelli segnati da tanti solchi che attirano lo sguardo per la fierezza e per la pace che trasmettono? Ebbene, non so spiegarvi meglio a parole, so per certo che la sensazione che ho provato è stata questa, ma non solo… guardando Piero, quella sera, ho rivisto in lui il volto di mio padre.

Credo che sia passato più di un anno da quella volta, comunque sia era rimasto in me come un filo sospeso, chiamatele pure sensazioni, ma io dovevo tornare a trovare quell’uomo con cui sentivo la necessità di parlare. Vivo d’istinto, convinta che nel bene e nel male tutto abbia un senso.

Piero Bertinotti, insieme alla figlia Paola e alla nuora Laura, conduce a Borgomanero in provincia di Novara, il ‘Ristorante Pinocchio‘. Un locale che nel 2012 ha festeggiato cinquant’anni di attività creato con la moglie Luisa. Una realtà, come spesso accade, nata da una passione.

Piero non è nato cuoco, la sua vita lavorativa è iniziata come autista di camion nell’azienda di suo padre. Fu nel Novembre del ‘62, con l’acquisto dei genitori del ‘Bar Pinocchio’ a Borgomanero, ad avvicinarlo alla cucina. Il tempo, l’esperienza e l’entusiasmo poi hanno fatto il resto.

Ci sono cose di cui non si riesce più fare a meno. Non sempre si può scegliere quello che vorremo, ma che soprattutto amiamo fare. Dicono che volere è potere, io dico solo che chi non prova ha già perso. Piero ce l’ha fatta. Nel suo locale dall’atmosfera fiabesca si può evadere per un momento dalla realtà. Anche se non ha le ‘stelle’, personalmente sono convinta che le stelle vere, lui ce le ha già.

Quando sono tornata a trovarlo, aspettandolo mentre era ancora in cucina, mi sono seduta esattamente nello stesso posto che avevo occupato la prima volta in cui ero stata li. Davanti alla grande finestra, guardando il giardino bagnato dalla pioggia, tra un discorso e l’altro con Laura e Paola correvano i pensieri interrotti di tanto in tanto dai piatti che assaggiavo.

Quell’atmosfera nostalgica e il piacevole sottofondo musicale ad un tratto hanno attirato il mio sguardo verso un uomo che in sala guardava come me ammirato una pianta di mimose. Non ho più timore di dire ciò che sento. E’ per questo che in modo spontaneo non mi sono trattenuta dal dire… “Ma quanto è bella la vita…”  Lui mi ha guardato, e condividendo lo stesso pensiero mi ha sorriso.

Una volta concluso il pranzo mi sono spostata nel salotto davanti al camino. Guardando ardere la legna riflettevo sul ‘calore’ che trasmette il fuoco, nel senso più lato del termine. Una volta c’era un camino in ogni casa, era quello il nido, il punto di ritrovo della famiglia. Ho molta nostalgia di quei tempi…

Mentre aspettavo che Piero mi raggiungesse, su un tavolino ho notato il calendario di auto storiche dell’Associazione i Miserabili di Borgomanero. Una passione che ci accomuna e che coltiviamo entrambi appena il tempo ce lo permette.

Al suo arrivo, dopo i saluti di rito, credo che si aspettasse le solite domande. Io non faccio interviste vere e proprie, o meglio, diciamo che ciò che mi interessa è capire le persone quando sento che il loro essere può trasmettermi qualcosa. E’ un mio modo di imparare ascoltando l’esperienza di chi, come Piero, conosce bene un settore che amo molto ma dalle tante sfaccettature.

Abbiamo passato così il pomeriggio, tra aneddoti, consigli e racconti di vita. Ve ne racconterò uno che mi ha colpito in particolare. Una sera di qualche anno fa Piero ricevette una telefonata per una prenotazione dell’ultima ora. La signora al telefono chiese di poter cenare insieme ad un’altra persona alle 21.30 giustificando il ritardo per un rientro dall’estero. Piero nonostante l’orario acconsentì, raccomandandosi però di non tardare.

Da li a breve la signora richiamò avvisando che purtroppo avrebbero tardato di un’ora per cause non dipendenti da loro. Piero sentito il tono mortificato accettò, a patto che le due persone si fossero accontentate di piatti semplici. La coppia arrivò: si trattava di Oscar Farinetti e della sua assistente, di cui Piero non era al corrente, ma che ben conosceva. In un’epoca dove i più vanno avanti con nomi altosonanti, ascoltare questa storia mi ha fatto molto piacere. Il resto lo lascio a voi.

A conclusione della nostra chiacchierata, quando gli ho chiesto se avesse avuto qualcuno negli anni a cui ispirarsi, non ha esitato un attimo a rispondermi.  Mi ha parlato di un ‘Cuoco con la C maiuscola’ che lui considera il migliore. Un uomo che non ama stare sotto i riflettori, uno spirito libero da alcuni considerano folle.

La follia, quella vera, la vediamo tutti i giorni nelle persone che all’apparenza ci sembrano normali. Quella che intendo io è ben altra cosa, è sinonimo di genialità che attraverso le idee cambia il mondo. Amo le sfide e le persone di carattere, a volte ruvide, ma che lasciano il segno. Ovviamente mi sono fatta dare il nome di quel Cuoco che per ora terrò per me. Prima devo conoscerlo.

A proposito, non vi ho detto che la prima volta che sono stata da Piero ho mangiato le lumache più buone della mia vita! Ve le consiglio… 😉

Piero e Paola

Piero e Paola Bertinotti con il libro ‘Segreti di Famiglia’: ricette di casa tramandate di generazione in generazione raccolte tra gli amici.  (fotografia di Paola Bertinotti)




La mia prima volta con un riccio… al Ristorante ‘Da Giulia’

La mia prima volta con un riccio è stata qualche anno fa a Milano al ristorante ‘Da Giulia’. Ma cosa avete capito?! Il riccio in questione a cui mi riferisco è, anzi era…  un ottimo riccio di mare! 😉

Non avendo mai avuto l’occasione di assaggiare questa prelibatezza, qualche anno fa un caro amico ha pensato bene di provvedere portandomi per l’appunto in questo ristorante di Milano. Una realtà a conduzione familiare i cui titolari, Gianni e Giulia entrambi di Bisceglie in provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani), sono uniti nella vita e nel lavoro da ben venticinque anni.

Dopo quella volta ce ne sono state altre, anche perché ormai sono amici con i quali, a volte di persona e a volte sui social interagisco, ma soprattutto mi delizio il palato.

Detto questo ora approfitterò dell’occasione per far loro qualche domanda, ma soprattutto per approfondire alcuni argomenti a cui tengo molto. Quando vado in un ristorante, chi mi conosce lo sa, vado con occhio critico, e non solo. La ristorazione di qualità può molto sia per la promozione del territorio che delle sue produzioni.

Giulia è troppo occupata in cucina, Gianni oggi tocca a te rispondermi! Sei pronto? Oggi parleremo di territorio, di cultura del cibo, di olio extra vergine di oliva, della doggy bag, di vino, dell’alcol test… naturalmente al ristorante.

  • Quanto c’è della vostra terra, intendo come tradizioni e tipicità nella cucina del vostro ristorante?

Mi vuoi mettere alla prova? Cinzia sono pronto! Dunque, tutta la nostra cucina si basa su piatti tipici della nostra terra natia anche se rivisitata in chiave moderna. Utilizziamo materie prime tipiche della zona come ad esempio le farine Senatore Cappelli prodotte nella Murgia barese, le semola Tumminia di Castelvetrano, il grano arso della Daunia di San Severo, l’olio extravergine d’oliva di Bisceglie, le verdure, la frutta, i crostacei e i frutti di mare provenienti da Manfredonia.

  • Insisto spesso sul fatto che pillole di cultura del cibo, possono essere fatte anche dai ristoratori spiegando l’origine delle materie prime dei piatti che portano a tavola. Condividi?

Assolutamente d’accordo con te. E’ nostra abitudine raccontare il piatto che portiamo a tavola ai nostri ospiti per far capire loro cosa mangiano.

Busiati Trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno

Busiati Trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno

  • Parliamo di olio extra vergine di oliva. Come dico spesso vorrei vedere sui tavoli dei ristoranti, come già avviene per i vini, delle ‘carte degli oli d’oliva’ con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle cultivar (varietà delle olive). Poi, mi piacerebbe che mi venisse proposta una piccola bottiglia d’olio d’oliva rappresentativa di un territorio che userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa. Utopia o speranza? 

Parlando di olio non posso dimenticare quando da piccolo mi dedicavo alla raccolta delle olive in campagna. Ricordo la sveglia di buon ora alle 4.30 e mio padre che accendeva il fuoco per riscaldarci mentre i grandi predisponevano i teli di iuta attorno agli alberi. Tempi duri ma belli.

Mi chiedi se è possibile una lista degli oli extravergine d’oliva? Alcuni ce l’hanno, la cosa importante per me è avere olio extra vergine di qualità certificato e prodotto in Italia da olive del territorio. Io come ben sai uso l’olio extra vergine di oliva Lamantea, un prodotto delle terre di Puglia. Le varietà di olive utilizzate sono l’oliva CORATINA e l’oliva OGLIAROLA, tipiche delle nostre terre.

  • Ora passiamo alla doggy bag, o meglio il pacchetto con il quale l’ospite del ristorante porta a casa il cibo che ha avanzato. Una consuetudine all’estero, in Italia una pratica molto meno in uso. Siamo forse troppo ‘signori’? Io lo chiedo, ma quanti lo fanno?

Cinzia siamo noi stessi che consigliamo di portare a casa il cibo avanzato in un contenitore già pronto per essere riscaldato. Io in primis sono contrario allo spreco del cibo, in special modo in questi momenti di crisi.

  • Stessa cosa vale per il vino, per lo meno per me. Viste le giuste limitazioni in vigore, nel caso in cui ci si debba mettere alla guida è auspicabile, quando si ordina una bottiglia e non la si finisce, di potersela portare a casa. Sei d’accordo?

Certo,  capita che alcuni si portano via la bottiglia. I clienti ormai sono consapevoli di quanto possono bere. E’ per questo motivo che ho scelto un buon numero di bottiglie da cl 375 mentre ho deciso di non servire il vino a bicchiere perché, oltre a perdere la magia dello stappare,  può far pensare anche a vino recuperato.

La cassata siciliana di Giulia

La cassata siciliana di Giulia

Concludo questa mia chiacchierata con Gianni ricordando, a proposito delle limitazioni in vigore riguardanti il consumo di alcolici, che le normative prevedono l’obbligatorietà per tutti i locali pubblici aperti oltre la mezzanotte, del  possesso di un apparecchio che dia la possibilità ai clienti che debbano mettersi alla guida di rilevare il proprio tasso alcolemico, il ben noto limite di 0,5 grammi (per i neopatentati è previsto il tasso 0).

Sarebbe opportuno che l’avessero tutti, anche quelli che chiudono prima di mezzanotte. Comunque sia sappiate che è nostro diritto chiedere di poter fare un ‘alcol test’, nel caso avessimo dubbi su quanto abbiamo bevuto.

Locandina alcolemia

Le fotografie dei piatti sono del ‘Ristorante Da Giulia’




Al Ristorante… “Io, mammeta e tu e… il cellulare!”

Una volta quando si usciva si diceva: “Io mammeta e tu…” Oggi le cose sono un po’ cambiate, diciamo che volendo adattare ai nostri tempi questo modo di dire la frase si completerebbe così: “Io mammeta e tu e… il cellulare!”

Con i telefonini condividiamo le nostre passioni, le emozioni, le cose che ci piacciono ovunque ci troviamo. La tecnologia ci consente di rendere tutto più veloce, accorciando le distanze.

Siamo ormai tutti social, e questo va bene, ma a volte fin troppo, tanto da pregiudicare i rapporti sociali, quelli veri e diretti, e questo va meno bene. Aspettate un attimo… sento fischiarmi le orecchie… mamma mia che fastidio! Ecco cos’è… è mio figlio Andrea che mi sta dicendo: “Ma va da che pulpito viene la predica!” Andrea, ma quale predica, diciamo che sto facendo solo delle riflessioni, ognuno alla fine è libero di comportarsi come meglio crede. Per quanto mi riguarda lo ammetto, a volte esagero, e quindi faccio il mea culpa. 😉

La verità è che chi fa comunicazione come me ormai è social a tutti gli effetti, ma attenzione, la rete è un grande strumento di promozione che però va integrato necessariamente con la conoscenza diretta delle persone, dei territori e delle produzioni: un’esperienza insostituibile e indispensabile per capire al meglio. Un  concetto su cui non ho alcun dubbio.

Direte: “Cinzia, ma tutta questa premessa… perché mai?!” Ora vi spiego…

Qualche sera fa ero a cena al ristorante ‘Da Giulia’ a Milano. Una realtà a conduzione familiare nata nel 2006 per volere di Gianni e Giulia, una coppia unita da trentacinque anni nella vita e nel lavoro. Lui diplomato alla scuola alberghiera, lei ragioniera con la passione per la cucina perfezionata nel tempo dopo aver acquisito le tecniche e le buone ricette della cucina mediterranea.

Ebbene, quella sera al nostro ingresso ho notato un quadretto particolare che invitava al dialogo unito al buon cibo.

Cinzia e Gianni Ristorante da GiuliaCome dice Gianni: “Si è perso il piacere il dialogare a tavola come era d’abitudine una volta. Questa indifferenza, questa apatia che noto in molti ristoranti, mi intristisce. Sono stanco di vedere, non solo nei giovani, l’abuso dei telefonini e dei tablet sui tavoli che distoglie dall’armonia e dall’amore per il cibo. La stessa cosa che succede a tavola in famiglia. Non si dialoga più… si guarda la tv senza parlarsi.

Forse è il caso di riflettere, o meglio, di moderarsi. Vi racconto un episodio che mi è capitato circa tre anni fa. Era la prima volta che partecipavo ad un evento in un grande albergo a Milano. Ero ancora acerba e poco avvezza al mondo della comunicazione digitale.

Ebbene, ricordo che ero completamente allucinata dal comportamento delle persone al mio tavolo. Praticamente assenti. Io parlavo e parlavo, e loro digitavano e digitavano, un po’ infastiditi dalla bionda chiacchierona, ma in realtà, soprattutto spaesata.

Ripensando a questo episodio e molti atri a seguire, rifletto sul fatto che non bisogna farsi prendere la mano. C’è l’uso e l’abuso… Ovviamente liberi tutti.

A proposito, quella sera non mi sono dedicata solo a notare i quadretti… 😉 La mia attenzione l’hanno avuta anche dei ricci di mare con cui ho fatto la scarpetta, dei Busiati trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno, un’insalata di gamberi rossi e scampi di Mazara alla Catalana con tartare di tonno rosso, e infine, la mia immancabile fetta di meravigliosa cassata che prepara la Giulia!

Ahh il cibo che cosa meravigliosa… un grade piacere dei sensi! 




Vorrei un’Agricolazione… chiedo forse troppo ?!

Esattamente così, vorrei un’Agricolazione con tanti prodotti agricoli. Chiedo forse troppo?!

A quanto pare si, dato che oltre ad una spremuta tra l’altro troppo cara, visto i 3 euro richiesti ben distanti dal prezzo di vendita alla fonte delle arance, a qualche dolce, ad un caffè o a un cappuccino, la proposta della ristorazione dedicata non va proprio oltre!

Insomma, non capisco, e di conseguenza provoco! Qualcuno mi spiega il motivo per cui solo negli alberghi, per lo meno in quasi tutti, ci debba essere in questo senso un’offerta migliore! Mah! Si potrebbe aiutare tante realtà agricole utilizzando semplicemente i loro prodotti per una buona e sana colazione, il mio pasto preferito e anche quello più importante della giornata.

Purtroppo gli italiani a causa del ritmo di vita frenetico che conducono la trascurano molto. Forse è per questo che l’offerta della ristorazione alla mattina è molto limitata… ma non giustificata! Almeno al sabato e alla domenica mi piacerebbe vedere ben altre offerte!

La dottoressa Catherine Kousmine, nata in Russia nel 1904, consigliava ai suoi pazienti di fare una colazione da re, un pranzo da principe, e una cena da povero. Per quanto mi riguarda farei la regina tutte le mattine! 😉

Vi racconto questo piccolo episodio. Poco tempo fa mentre mi recavo in montagna in Svizzera, lungo l’autostrada e più precisamente a Bellinzona, mi sono fermata a fare colazione. Credo che sia stata la migliore colazione che mi sia stata mai proposta. Praticamente c’era di tutto. Frutta fresca e secca, prodotti da forno, yogurt, spremute, frullati, centrifughe, tisane… Insomma, un vero spettacolo di colori e di prodotti artigianali che mi hanno fatto pensare… “Chissà quanti agricoltori così vengono aiutati…”

 




Un ‘contessino’ alla Corte Santo Stefano di Cesano Maderno

Direte: “Un contessino alla Corte Santo Stefano… Cinzia, ma in che senso?!” Ora vi spiego…

Dunque, mi capita spesso di rincontrare persone con cui ho collaborato a lungo negli anni passati. La cosa mi diverte alquanto, soprattutto perché spesso si trovano davanti ad una persona totalmente diversa, diciamo molto più… si, direi proprio una persona molto più simpatica e sorridente. Questo perché fino a un po’ di anni fa, ero una steccata coordinatrice vichinga costretta a tenere testa a un bel po’ di medici (alcuni ribelli), e quindi mi toccava fare la dura.. (per finta, anzi, allora sul serio!) 😉

Detto questo, dopo l’ennesimo invito di un ‘contessino’ (capirete poi perché lo chiamo così), ho deciso di accettare accompagnandolo a cena. In realtà il soggetto in questione, con cui a suo tempo ho collaborato, è una persona intelligente ed impegnata che combatte le ingiustizie scrivendone e non solo. Ero solo un po’ restia per i suoi modi, che, come diceva  mio padre, sono i classici atteggiamenti da ‘baùscia’. Per chi non lo conosce, questo termine dialettale lombardo, viene usato in senso ironico per indicare una persona che si da delle arie.

Comunque sia, prendendo spunto da una delle protagoniste del risorgimento italiano, la bella Gigogin, e come a volte mi definisce il mio caro amico Giorgio Ferrari, daghela avanti un passo, dal ritornello della canzone che la ricorda per il suo coraggio nel fare un passo avanti verso l’oppressore straniero.

Ovviamente qui oppressori non ce ne sono, diciamo più stranieri, visto che il contessino snobbando la zona in cui abito voleva che andassi a prenderlo per portarlo a cena nella gran Milan! Seee… spetta che tiro fuori la spider, spetta né…!

Adoro Milano (a parte il traffico), e adoro anche le sfide! Quindi gli ho detto: “Caro, in primo luogo se vuoi mi passi a prendere, e in secondo, andiamo a mangiare dalle mie parti!” Il contessino, arresosi alla mia volontà, ha dovuto tirare fuori la sua ‘torpedo’ come la chiama lui, e si è deciso di venirmi a prendere! Tiè! 😉

Risolta la questione sapete dove l’ho portato? Ebbene, siamo andati a cena in un’antica corte nel centro storico di Cesano Maderno, la Corte Santo Stefano. Il malmostoso, dopo essersi lamentato per aver fatto due passi a piedi, e dopo aver premesso che non mangiava pesce perché da piccolo gli era rimasta una lisca in gola, si arreso e mi ha seguito.

Nel frattempo nella mia mente un unico pensiero… stasera non ce la posso fare!

E invece pensate un po’, il ‘contessino scrivano golfista medico’ ha apprezzato tutto! Dal luogo caratteristico dalle antiche mura, fino all’aperitivo nei sotterranei.

Per quanto mi riguarda, oltre che a introdurlo con chi ci ha seguito nella cena come uomo-cittadino con la puzza sotto il naso, mi sono tolta pure la soddisfazione di correggerlo quando, chiedendo all’addetto in sala un Barbera, ho replicato: “Senti nobiluomo, va che si dice la Barbera!” Ehhh… quando ce vo’ ce vo’!

Ma mica è finita! Mentre mi gustavo una zuppa di ceci e cozze non è riuscito a trattenersi dal dire: “Cinzia, ma ti mangi le cozze! Ma ti fidi!” Uhh signur gli ho risposto… ebbasta!

La mia cena si è conclusa con una ‘Miascia comasca’, un dolce tipico fatto con pane, amaretti, mele, pere, uvetta servito su una salsa di cachi, e, un immancabile bicchierino di liquore alla liquirizia che adoro!

Ragazzi che serata… per fortuna che, come per Cenerentola, l’incantesimo è svanito a mezzanotte! Ovviamente scherzo, tutto sommato mi sono proprio divertita! 🙂

 

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