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La mia notte sotto le stelle con Laura Rangoni

Laura Rangoni, giornalista, scrittrice, ricercatrice e donna amante della natura. Direttore Responsabile del settimanale di enogastronomia Cavolo Verde con cui collaboro. Tante le similitudini che mi hanno portato a lei. Il 10 Agosto, nella sua casa di Savigno in provincia di Bologna, sotto un cielo stellato tra chiacchiere, ricordi e progetti per il futuro, abbiamo fatto scorrere le ore in attesa di una stella cadente.

Le notti in campagna sono cariche di atmosfera, i suoni della natura ci portano via dalle inquietudini che i rumori artificiali creati dall’uomo, col tempo, ci logorano appesantendo le nostre vite. Circondate dai colli bolognesi, in compagnia dei suoi compagni fedeli, abbiamo passato la notte di San Lorenzo sedute nel suo giardino, tra i profumi dell’orto e quelli delle piante di rose. Le stelle che aspettavamo non sono cadute. In verità io credo che le stelle siano anche sulla terra. Chi ha la fortuna di incontrarle, ma soprattutto chi ha la capacità di vederle, può vivere momenti di vera bellezza, traendo da esse luce, calore e vero benessere.

Domenica 10 Agosto scorso, a Casa Rangoni, si è svolta la prima cena inaugurale dell’Associazione culturale omonima che a breve darà inizio a percorsi degustativi, culturali e di ben-essere. Una cena all’insegna dell’amicizia e del buon gusto a base di prodotti dell’orto che Laura cura e segue personalmente. Ho voluto portarla qui nel mio blog, per custodire tra i miei ricordi una serata speciale vissuta tra natura e l’ascolto di una donna coraggiosa, che ora vi farò conoscere meglio.

Casa Rangoni

Cena inaugurale dell’Associazione Culturale Casa Rangoni

D) Laura, cito un passaggio in cui ti presenti: “Ho iniziato a tenere un diario quando, a quindici anni, ho lasciato Bologna, la mia scuola, gli amici, i sogni dell’adolescenza, per approdare a Monza. Il lavoro di mio padre mi ha rapita, e costretta a vivere in una regione che non ho mai amato, in case diverse, in luoghi inospitali, con gente nebbiosa come il clima… A cinquant’anni ho rivoluzionato la mia esistenza.” Sono convinta che ogni esperienza insegni. Dico questo perché ritengo che si possa imparare da ogni situazione e in ogni luogo in cui si viva. Premesso questo, mai rinunciare ai propri sogni. Concordi?

R) Sicuramente, Cinzia. I sogni sono la mia unica, vera ricchezza. E sono sogni semplici, da scrittrice di campagna. Il profumo del gelsomino, la tranquillità dei miei animali, i vasetti di conserva in dispensa. Insomma, quella che gli antichi chiamavano aurea mediocritas. I cinquant’anni per me hanno segnato un importante giro di boa: basta vivere “fuori”, ho preferito concentrarmi sul “dentro”. Su quelle cose che mi fanno felice, che riempiono la mia giornata, e che non hanno un valore economico. La serenità e il ben-essere sono i miei obiettivi quotidiani.

Casa Rangoni

Casa Rangoni

D) Cambiare la propria vita oggi, in tempi critici come questi, da qualcuno è ritenuto coraggio, da altri incoscienza. So per certo che ‘solo osando’ si può assaporare la vita nel vero modo in cui va vissuta. Non dico che è facile, tutt’altro. Per quanto mi riguarda, le emozioni vissute attraverso la conoscenza negli ultimi anni, mi ripagano delle delusioni inevitabili che questi percorsi ci presentano. Tu sei a buon punto. Puoi dare qualche consiglio a chi vorrebbe, ma non osa?

R) Non amo dare consigli non richiesti, perché la vita di ognuno di noi è diversa. Ma arriva un momento nella vita nel quale – se è destino – capisci che non puoi più restare fermo nella tua “zona di comfort”, capisci che devi osare, devi fare quello che ami veramente e cercare di essere il più felice possibile, perché la vita fugge in un attimo. Ho compreso queste cose in modo molto traumatico, quando mio padre è uscito la mattina per comperare il pane e non è più tornato. Un infarto l’ha stroncato in mezzo alla strada. Così ho deciso di osare, di assaporare ogni istante della vita come dovessi morire domani. E vivo l’oggi con semplicità, godendo delle piccole cose.

…godendo delle piccole cose

D) Ora veniamo a Casa Rangoni, più che una casa un Centro Culturale per la promozione del territorio e del ben-essere psico-fisico. Come ti è nata l’idea, e quali i prossimi progetti in programma?

R) L’idea è sorta giorno dopo giorno, crescendo in silenzio. Da quando mi sono trasferita sui Colli Bolognesi, gli amici che mi venivano a trovare dicevano, tutti (e ribadisco: tutti) “Qui si sta proprio bene, ci si rigenera”. Così ho pensato che fosse proprio questo il “potere magico” di Casa Rangoni: far stare bene le persone. Ci siamo allontanati molto dalla natura, e stare qui, scegliersi il proprio pomodoro dall’orto, andare a prendere la legna per accendere il camino, camminare tra le rose, assaporare piatti semplici ma ricchi di storie da raccontare, riavvicina le persone a un modo di vivere più umano, più armonico con i lenti ritmi della terra. Ben-essere vuol dire questo: stare bene con se stessi, rigenerarsi, imparare ad ascoltare e ascoltarsi. Dopo tanti anni di studi, dopo tanti libri scritti, ora sono pronta a trasmettere quello che ho imparato a chi vuole ascoltare e provare a vivere in modo più olistico. Quindi in progetto ci sono dei per-corsi per imparare a stare bene con se stessi, a godere del miele e del vino con degustazioni che nulla hanno di tecnico, di cucina di cibi antichi, tradizionali, genuini e semplici, di coltivazione e uso delle erbe aromatiche e officinali, di fitoalimurgia…

Casa Rangoni - esterni

…un modo di vivere più umano, più armonico con i lenti ritmi della terra

D) Da ragazzina mio padre, per farmi vincere la timidezza che mi portava a isolarmi, mi regalò un cucciolo. Un cagnolino che, oltre a rendermi felice, per la prima volta mi fece sentire responsabile di una creatura. Siamo un paese non ancora adeguatamente educato all’accoglienza dei migliori amici dell’uomo, nonostante il loro aiuto terapeutico sia ormai accertato e riconosciuto in molte cure. Ritengo che la civiltà di una nazione si riconosca anche attraverso il rispetto e l’educazione verso gli animali. Per farlo si dovrebbe partire dalla scuola. Cosa ne pensi?

R) Penso sia verissimo. Tutti coloro che mi conoscono, attraverso i social o FaceBook, o i miei libri sanno che sono una gattara impenitente, e il mio cane Morgana è ormai diventata una star del web :-). Amo gli animali, ma senza esagerazioni, rispettando la loro natura. Questo si dovrebbe insegnare ai bambini, mostrare loro che cani e gatti non sono giocattoli, ma persone con i loro diritti e i loro pensieri. E spiegare loro che tutte le creature “servono” in natura, persino le zanzare… Forse si eviterebbero tante brutture e assurdità, come la recente proposta di abbattere l’orsa che, per difendere i cuccioli, ha attaccato quell’incauto cercatore di funghi…

Uno dei gatti di Laura

…tutte le creature “servono” in natura

D) Dico spesso che ‘amo più mangiare che cucinare’. Lo dico in senso ironico, visto che nel cibo e nel vino amo soprattutto ricercare le storie, le tradizioni e le emozioni che suscitano. Veniamo a te: Laura Rangoni, non una cuoca, ma una donna che studia, ricerca, cucina e scrive. Sbaglio?

R) Esatto. Non sono una cuoca, non ho le basi tecniche di uno chef, e non lo farei mai come lavoro. Ma amo il cibo perché portatore di significati culturali e antropologici. Il cibo rappresenta il primo fattore dell’identità di un popolo, viene prima ancora della lingua e della religione, secondo me. Amo ricercare gli antichi sapori, soprattutto della mia terra, e dei luoghi del mondo che ho amato profondamente, amo cucinare come si faceva un tempo, sulla stufa economica, usando attrezzi antichi. Impasto a mano, trito a mano, taglio a mano. Non posseggo nemmeno un robot da cucina e la mia “dotazione” di pentole è da museo. Amo il cibo semplice, quello che chiamo il “cibo della fame”, tradizionale, povero, con ingredienti reperibili sul territorio. Troppo spesso abbiamo dimenticato piatti poveri, la zuppa di pane, tanto per farti un esempio. Nei miei corsi insegno proprio questo: a recuperare sapori antichi, che hanno una storia da raccontare, una storia che sa di sere passate davanti al fuoco, di fiabe narrate nella penombra, o di dura fatica per convincere la terra a donarci verdure e frutti…

Poi, per lavoro, ho studiato anche cibi più sofisticati, etnici e simili, ma questo è un altro discorso.

Cena sotto le stelle 10 Agosto Tagliatelle

…il cibo rappresenta il primo fattore dell’identità di un popolo

D) E’ mia abitudine fotografare tutto ciò che mi piace e condividerlo, perché il bello e il buono deve essere diffuso. A Casa Rangoni, tra le tue colline, ho fotografato molte varietà di fiori. In particolare, amando la medicina naturale, mi affascinano le piante officinali. Vorrei che si organizzassero più corsi per far conoscere le molte proprietà delle piante terapeutiche. Questo per  allontanare le persone dai facili rimedi farmaceutici chimici, non sempre necessari. A quando il primo corso?

R) Non appena spunteranno le erbe, a primavera! Ma, non essendo medico, non voglio parlare di terapie, e non farò corsi di fitoterapia. Preferisco considerare le piante, sia spontanee che officinali, come facilitatori del ben-essere. Lo sono anche i fiori: coltivare un giardino o un orto è come coltivare la propria anima…

...coltivare un giardino o un orto è come coltivare la propria anima…

…coltivare un giardino o un orto è come coltivare la propria anima

Associazione Culturale Casa Rangoni

Savigno (BO)   www.casarangoni.it

 




Dante Cattaneo, il sindaco-spazzino di Ceriano Laghetto

Oggi vi presento Dante Cattaneo, il giovane sindaco di Ceriano Laghetto, in provincia di Monza e Brianza, che ho conosciuto qualche mese fa durante la ‘Giornata della Fioritura’ al Frutteto del Parco.  Perché ve ne parlo? Perché insieme a un gruppo di volontari, durante il mese di Agosto, ha contribuito a migliorare l’ambiente pulendo le aiuole del paese che amministra.

Un modo per avvicinarsi ai cittadini, conoscerli e confrontarsi, per discutere sulle tematiche le cui soluzioni migliorano iDante Cattaneo servizi della città. Ascoltando le persone ci si arricchisce di esperienze che, se messe a frutto, permettono di migliorarci dando un senso al nostro lavoro. Io stessa, per i miei scritti, ritengo queste fonti indispensabili. Per il primo cittadino, un esempio su come riportare il ruolo del sindaco al ruolo che era e che dovrebbe essere.

Molti penseranno alla trovata pubblicitaria. Per quanto mi riguarda ne ho voluto scrivere solo perché vorrei che i rappresentanti delle istituzioni fossero più vicini alla gente. Sull’operato di Dante poi, il tempo ci dirà chi ha torto o ha ragione. Nel frattempo, anziché stare a guardare, impariamo tutti a tirarci su le maniche per salvaguardare i nostri territori!

Ma ora a lui la parola…

  • Ciao Dante, racconti brevemente a chi non ti conosce il percorso che ti ha portato a diventare sindaco?

Sono appassionato di politica e del mio paese da sempre. Nel 2004 fui eletto Consigliere comunale a soli 21 anni nelle file della Lega Nord, movimento a cui sono iscritto sin da giovanissimo. Nel 2009, a 26 anni appena compiuti, sono stato eletto Sindaco di Ceriano Laghetto, dove vivo da sempre, e riconfermato nel 2014 per il secondo mandato.

  • Hai passato una parte del mese di Agosto a estirpare piante infestanti dalle aiuole della città che amministri. A dire la verità per me infestante è ben altro… Comunque sia, sono convinta che questa esperienza ti abbia permesso di avvicinarti alla realtà della gente comune. Come ti è nata questa idea?

E’ nata in modo molto naturale. Dal 2009 a Ceriano esiste un gruppo comunale di volontari che si chiama G.S.T. (Gruppo di supporto territoriale), che aiuta gratuitamente il Comune con un’infinita di opere e azioni: controllo del territorio, piccole manutenzioni, pulizia, supporto durante le manifestazioni, aiuto alla viabilità. Io sono uno di loro e ho voluto dedicare parte del mio tempo libero, in un mese particolare come quello di agosto, alla comunità. Amo vedere il mio paese pulito e ordinato, e non avendo risorse per affidare lavori a giardinieri o ditte esterne, ci rimbocchiamo le mani in prima persona.

La squadra

La squadra

  • Mi racconti qualche aneddoto significativo che ti è capitato in questo periodo di ‘pulizia stradale’?

Gli aneddoti sono tutti relativi al rapporto con le persone che si son fermate vedendomi lavorare sulle strade. Tanti mi hanno ringraziato, si sono complimentati ed alcuni sono usciti dalle case e si sono uniti a noi per ripulire il paese. Tanta generosità e riconoscenza, tanti inviti per bere una bibita o un caffè, poiché la gente ha riconosciuto la positività del nostro esempio.

  • Tra le piante che hai estirpato ricordo di aver visto l’immagine di una piantina di rucola selvatica che hai ripiantato nel tuo giardino di casa. Ho saputo che come me ti piace molto. Io la uso per preparare un sughetto con i pomodorini veramente sfizioso. E tu?

La mangio in insalata, mista ad altra insalata rigorosamente verde, o ancora meglio da sola con olio di oliva taggiasca, aceto di mele e sale. Mi piace il suo gusto piccantino.

Rucola selvatica

Rucola selvatica

  • Questa estate bizzarra è quasi finita. L’unica cosa che ci rimane è sperare in un autunno migliore. Visti i tuoi precedenti, hai in serbo qualche progetto per i prossimi mesi?

Per i prossimi mesi attualmente ho in mente solo preoccupazioni: amministrare un paese di questi tempi e con uno Stato che complica ancor di più le cose ai Comuni non è mai stato così difficile.

www.dantecattaneo.com

 




Ferruccio Lamborghini, una fantastica storia di motori e di vino iniziata costruendo un trattore.

Si racconta che Enzo Ferrari un giorno, rivolgendosi a Ferruccio Lamborghini disse: “Tu continua a costruire trattori e a me lascia costruire le macchine sportive.” Enzo Ferrari però era solito anche dire: “Se lo puoi sognare lo puoi fare”.

Museo Lamborghini 1 - CopiaFerruccio Lamborghini, classe 1916, fondatore storico della Lamborghini Automobili. Figlio di agricoltori ma con la meccanica nel DNA. Una passione per le auto che comprendo e condivido. Il piacere della guida nasce con noi, è indice di libertà, è viaggio e spensieratezza. Per me, per mio figlio e per molti altri, è così.

Qualche giorno fa, guidata da Fabio Lamborghini, nipote del grande Ferruccio, ho avuto il piacere di visitare il museo nato da un’idea del figlio Tonino, oggi impegnato in attività di lifestyle. Nei 5000 mq espositivi del nuovo forum inaugurato il 27 Maggio 2014, ho potuto ammirare oltre a dodici prototipi originali la mitica MiuraSV personale di  Ferruccio, il suo elicottero,  l’avveniristica Countach del ’74, la golf car usata da Papa Karol Wojtyla, un Off Shore con motori marini Lamborghini pluricampioni, e molto altro della produzione storica di un genio italiano che ci ha resi famosi nel mondo.

Oggi, per chi ancora non lo conosce, vi racconterò un po’ di lui…

Ferruccio Lamborghini fece la sua prima officina nella stalla di casa a Renazzo, in provincia di Ferrara. Dopo la guerra, partendo dalle esigenze della campagna, costruì il primo trattore a basso costo, il Carioca, un termine usato nella zona per indicare un prodotto assemblato con pezzi già esistenti e modificati. Era infatti costruito con residui bellici della guerra appena conclusa.

Un trattore accessibile a tutti, presentato per la prima volta alla Fiera di San Biagio di Cento. L’unico ‘neo’ era il motore a benzina, quindi non a basso costo. Fu per quello che decise di progettare un componente chiamato ‘vaporizzatore’ in modo da permettere al motore di funzionare a petrolio. La benzina serviva solo nella fase iniziale per l’accensione. Quattro cilindri nel primo modello del 1946, e sei nel successivo del 1947, più potente.

Amando le macchine sportive e l’alta velocità, nel 1946 decise di modificare la sua Topolino Museo Lamborghini 1sia nella carrozzeria che nel motore, fino a farle raggiungere i 140 km all’ora. Con quest’auto,  ancora funzionante e presente nel museo dell’azienda, gareggiò nel 1948 alle Mille Miglia. Sul frontale è visibile il primo logo usato dalla casa, un triangolo con tre lettere FLC (Ferruccio Lamborghini Cento), poi sostituito nel 1963 con il marchio del ‘toro’, segno zodiacale di Ferruccio.

Fabio Lamborghini, Direttore del museo omonimo, nel condurmi alla vista mi ha raccontato quando Ferruccio, sulla sua Ferrari 250 Gt, sostituì la frizione originale difettosa con quella più robusta di un trattore Lamborghini, risolvendo brillantemente il problema. Nel Maggio del 1963, dopo aver acquistato un terreno a Sant’Agata Bolognese a 25 km dal capoluogo emiliano, decise di costruirsi da solo le sue auto sportive. Nasce così ‘Lamborghini Automobili’, e inizia la produzione di una serie di auto tra le più belle al mondo.

Nel 1971, durante un viaggio in Umbria, Ferruccio incantato dalla bellezza delle terre del cuore verde d’Italia, decise di comprare una tenuta e investire nell’agricoltura e nella produzione vinicola creando un Resort con Golf Club annesso. Un’attività che dagli anni ’90 continua con la gestione della figlia Patrizia.

Nonostante la proprietà della Lamborghini Automobili non sia più italiana da anni, l’anima di questo marchio per me rimane tale. Molte aziende ormai sono proprietà di multinazionali straniere, colpa della difficoltà di fare impresa in Italia, e non certo dei nostri bravi artigiani. Ferruccio Lamborghini è morto il 20 Febbraio del 1993. Di lui rimangono le sue importanti creazioni.

Vi lascio alle immagini e ai sogni rombanti…

www.museolamborghini.com
reservation@museolamborghini.com

Tel. 051 0340433 – 347 5329320




Un po’ di chiarezza nella produzione del riso, ma non solo… Oggi risponde alle mie domande Dino Massignani.

In questo articolo parleremo di fanghi di depurazione usati in agricoltura, di regole comuni nella produzione del riso, del suo essicamento e di antiche varietà. Ma anche di miele e di un prodotto a cui tengo molto: il Farinaccio. Chi vuole essere consumatore consapevole e informato ha gli strumenti per farlo. 

Conosco da tempo Dino Massignani, il Direttore dell’Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo. Nonostante ciò, la molla che mi ha spinto a visitare questa realtà produttiva di riso è scattata quando ho visto alcune immagini della Riserva, ma soprattutto dopo una recente chiacchierata con Dino a proposito di ‘fanghi’. Esattamente così, fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura. Una questione melmosa, o meglio, una questione di riciclo a mio parere poco chiara. A dirla tutta, dopo averlo ascoltato, ho capito che di chiarezza ce né ben poca in molte cose, anche nella produzione del riso.

L’unica cosa certa che vi posso dire è quello che hanno visto i miei occhi: un ambiente naturalmente bello e incontaminato. Un perfetto ecosistema con una vasta superfice boschiva naturale, tra fauna, rogge, paludi, campi agricoli, risaie e alberi da frutta. Un’area del Parco Lombardo della Valle del Ticino che nel 2004 è stata riconosciuta Sito di Interesse Comunitario. Una Riserva di protezione speciale per la salvaguardia di diverse specie animali e vegetali protette dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura delle specie minacciate.

Dino Massignani

Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo

E’ questo l’ambiente in cui nasce il riso della Riserva San Massimo. Ben 800 ettari di proprietà (e quasi altrettanto in affitto) in cui vengono utilizzate antiche procedure nel rispetto della struttura del terreno e dell’habitat naturale. Per tutto ciò è fondamentale che la mano dell’uomo intervenga in modo saggio e sapiente. L’esperienza è fondamentale, soprattutto in un momento come questo in cui le condizioni climatiche sono particolarmente mutevoli.

Una vita dedicata all’agricoltura che richiede dedizione, amore e rispetto per la natura. Nonostante io prenda un po’ in giro Dino Massignani (lo chiamano il Cracco del riso), ho potuto constatare quanto prenda seriamente il suo lavoro. Nato da una famiglia di agricoltori, non poteva avere altro destino. Come dico spesso… la terra chiama chi ama la terra.

Questa felce è l'Osmunda Regalis. Una specie protetta e anti inquinamento. È infatti capace di assorbire sostanze nocive inquinanti. Osmunda ha origine da Osmùnder

Questa felce presente nella riserva è l’Osmunda Regalis. Una specie protetta e anti inquinamento. È infatti capace di assorbire sostanze nocive inquinanti.

Ma ora a lui la parola…

  • Ciao Dino, iniziamo ad approfondire la questione dei fanghi di depurazione. Io stessa non ne ero a conoscenza prima che tu me ne parlassi. Mi spieghi meglio l’origine di questa massa riciclata in agricoltura, ma soprattutto, viene analizzata prima di essere distribuita sui terreni?

Fanghi di depurazione… bel problema. In Italia il nostro parlamento ha legiferato che la massa solida creata dalla lavorazione delle acque degli impianti di depurazione, sia civile che industriale, si possa  distribuire (previa lavorazione e miscela) nei campi agricoli.

Il problema è che chi ne ha fatto uso (stupidamente), si è trovato solo un inquinamento del terreno, soprattutto di metalli pesanti.  La legge prevede che il controllore di questo spandimento sia la medesima azienda che paga l’agricoltore per poter distribuire queste sostanze sui suoi terreni. L’unico obbligo è quello di consegnare le analisi di ogni campo fatte prima e post spandimento.

Puoi capire facilmente che fare il controllore di se stesso è da mondo delle favole. Ti pare che le società se trovano indici di inquinamento nel terreno si autodenuncino? Ti dico solo che in alcuni anni i cereali seminati non sono neanche cresciuti, oppure durante il ciclo vegetativo le piante si ammalavano a tal punto che l’agricoltore doveva intervenire triplicando i trattamenti (chimici) per salvare parte del raccolto.

Ecosistema della Riserva San Massimo

La Riserva San Massimo, un ecosistema perfetto

  • Come ho già scritto, dopo averti ascoltato, ho capito che di chiarezza anche nella produzione del riso ce né ben poca.  Questo spiegherebbe facilmente le differenze nei costi finali del riso che purtroppo il consumatore non riesce a percepire. Sbaglio?

Esatto, il mondo del riso è molto nebuloso, e molti ne beneficiano, anche i più impensabili. Basti pensare che non c’è obbligo di tracciabilità del prodotto. Pensa che da qualsiasi parte del mondo arrivi l’azienda intestataria del confezionamento, non è obbligata a menzionare la provenienza.

Non ci sono controlli sui valori dei fitosanitari (questo avviene anche sui cereali usati per la pasta), ed è ancora concessa l’essicazione a gasolio nonostante rilasci una quantità di metalli pesanti sul chicco. Chiaramente viene privilegiata dalle aziende per gli sgravi fiscali che ne derivano rispetto al prezzo intero che pagano per la fornitura del gas.

La beffa più grande per il consumatore poi, è relativa alla denominazione di vendita siglata sulla scatola. Va chiarito che non è riferita alla varietà confezionata. Mi spiego meglio: ogni denominazione di vendita siglata sulla scatola non garantisce la varietà al suo interno, perché un decreto legge permette di inscatolare altre varietà e spacciarle come tali. Un decreto legge che avvantaggia solo i furbi che vogliono tenere all’oscuro il consumatore.

Riso Baldo Riserva San Massimo, ideale per le minestre

Riso Baldo Superfino Riserva San Massimo, ideale per minestre

  • Mi piace andare all’origine di ogni cosa, mi serve per capire. La stessa cosa vale per le produzioni. Tutto nasce dal seme. Mi hai detto che il vostro è certificato. Che cosa garantisce questa certificazione?

Per poter vendere una varietà di riso ogni azienda, ad inizio stagione, deve dichiarare all’ENTE RISI le superfici seminate con la specifica della varietà. Questo serve solo per far sapere alle riserie, che venderanno il riso, quanta disponibilità c’è nell’arco dell’anno di quella determinata varietà.

Ma soprattutto serve per la volontà, che si prefiggono da anni, di uniformare il cereale riso (hanno molta voce in capitolo all’interno dell’ ENTE RISI).

Noi, proprio per tutelarci, ci autoriproduciamo il seme del Carnaroli Autentico che anni fa acquistammo da un anziano agricoltore e che ci viene certificato dall’E.N.S.E. (Ente Naz. Le Sementi Elette) che ne garantisce l’autenticità.

Risaia

Risaie

  • Ora parliamo di essicazione del riso. Molti non sanno che può avvenire con l’ausilio di impianti a gas metano (il sistema usato da voi) o a gasolio. Certo, comporta una differenza sui costi finali, ma anche sul chicco e sulla nostra salute. Dico bene?

Certo, in agricoltura ci sono delle agevolazioni sull’acquisto del gasolio per l’uso dei mezzi agricoli, e in azienda quando è utilizzato per l’essicazione dei cereali. Purtroppo il gasolio rilascia paraffine e PM 10 (Materia Particolata, cioè in piccole particelle) quindi non è per nulla salutare usarlo per essiccare il riso.

Mi spiego. L’aria riscaldata dal bruciatore va a contatto con i chicchi penetrandoli. Il processo di essicazione avviene per ridurre la percentuale di umidità degli stessi, che per legge deve essere del 11-12 % con sbalzo termico. E’ per offrire una qualità del prodotto di gran lunga superiore che abbiamo deciso di utilizzare esclusivamente l’essicamento con il gas, nonostante il suo costo sia a prezzo pieno senza agevolazioni.

Azienda Agricola Riserva San Massimo

Silos arieggiati con riciclo d’aria in cui il cereale non appoggia a terra

  • Gli italiani conoscono per lo più il riso Carnaroli, la varietà ideale per i risotti. In realtà ce ne sono molte altre. Ad esempio la varietà antica di riso ‘Rosa Marchetti’ di tua produzione, ideale per le minestre. Come mai ci sono pochi coltivatori che ci si dedicano?

 Il ‘Rosa Marchetti’ è una varietà antica abbandonata dagli agricoltori in quanto raggiunta la maturazione, si alletta (intreccia) facilmente. Quest’anno stiamo sperimentando una concimazione con la decomposizione organica delle erbe, escludendo totalmente l’uso di prodotti chimici. Sicuramente produrremo 1/5 di quello che producono le altre aziende, ma sarà un Rosa Marchetti unico per sanita e bontà.

  • Passeggiando ho visto tantissime instancabili lavoratrici operose: le api. Parliamo di miele, intendo il tuo…

 La Riserva San Massimo è una realtà ambientale unica per la sua biodiversità che noi garantiamo giornalmente attivandoci per tutelarla. Questo ha fatto si che negli ultimi anni sia diventata meta, oltre che di visitatori e professori di Università, di apicultori che vivono problemi di sopravvivenza delle api locate in altri luoghi. Per questo motivo abbiamo deciso di cercare persone serie che abbiano la nostra stessa filosofia sul rispetto per le forme viventi, per produrre del miele.

La scelta è ricaduta sulle dottoresse Marianna Paulis e Tui Anna Neri, le quali da subito hanno spostato tutte le loro arnie a San Massimo, intraprendendo un lavoro scrupoloso e di qualità, ed escludendo ogni trattamento chimico sulle api (questo non è scontato, anzi…)

Alimentando le api a miele, e non con panetti con prodotti chimici o con acqua e zucchero, ha portato nel tempo oltre che ad avere un prodotto naturale al 100 %, una risposta positiva della forza lavorativa delle api che ha sorpreso anche loro. Qualsiasi essere vivente che viva e si alimenta in un luogo sano, può solo stare bene.

La produzione del miele di acacia, vista la pioggia, si è un po’ ridotta, ma comunque rimane di altissima qualità. Sicuramente non sarà sufficiente per la richiesta. La certezza è che accettiamo questi rischi perché vendiamo solo il nostro prodotto (non ne compriamo sicuramente da altri, per rivenderli come nostri).

Le api. le lavoratrici instancabili della Riserva

Le api. le lavoratrici instancabili della Riserva

  • Un’ultima domanda Dino. C’è un sottoprodotto (così lo chiamano i più anche se per me non lo è affatto), che mi piace molto perché ricco di sostanze nutritive. Amando molto  la medicina naturale e pochissimo i farmaci (ove non necessario) è presto spiegato il motivo. Un ottimo integratore naturale dal sapore di nocciola. C’è chi lo chiama farinaccio e chi gemma di riso. Tu come lo chiami, e soprattutto, lo utilizzi?

Si Cinzia, in gergo tecnico da riseria prende il nome di farinaccio. C’è chi lo spaccia per gemma di riso, anche se solo parzialmente può vantare questa definizione. Infatti una parte è composta dal 1° e 2° pericarpo, cioè la pellicola che ricopre il riso bianco, da non confondere con la lolla, che è la buccia esterna del riso.

Il farinaccio è molto nutriente e sano (ovviamente dipende sempre da chi produce il riso, se non trattato chimicamente, e come viene essiccato). Attenzione alla parola ‘sano’ ormai sulla bocca di tutti. Questa definizione va garantita da analisi. Per rispondere alla tua domanda sull’uso che ne facciamo, ti dico solo che negli ultimi tempi lo abbiamo inviato ad alcuni chef indirizzandoli sulle modalità di utilizzo. Abbiamo altre idee a proposito, che però è ancora presto per rivelare…

Queste sono le risposte di un produttore che ho conosciuto prima ad eventi e poi, come piace a me, di persona sul campo, nella realtà che vive. Con Dino è rimasta in sospeso una promessa. Appena possibile voglio fare un ‘safari nella riserva’. Esattamente così, ho visto una natura incontaminata di tale bellezza che ho bisogno di viverla nuovamente, ma a modo mio: nel silenzio, usando i miei sensi… armata solo della mia macchina fotografica.

Farinaccio Riserva San Massimo: 1/2 pericarpo più gemma di riso

Farinaccio Riserva San Massimo: 1/2 pericarpo più gemma di riso

Omelette di Farinaccio di Riso e Miele

Omelette di Farinaccio di Riso e Miele




Social Veg, la Cucina di Antonio Marchello in chiave Social


Social Veg, un progetto di Antonio Marchello per far conoscere, interagire e preparare un piatto vegano o vegetariano attraverso il web. Antonio, il Robin Food del web, è chiamato così dai suoi allievi per la determinazione con cui si impegna, nel portare nelle case degli italiani, le tecniche della cucina. I vantaggi sono presto detti.

Innanzitutto i costi contenuti rispetto ai corsi tradizionali, poi la possibilità di interagire in chat con la community e lo staff in diretta streaming, e infine, per chi non ha modo di spostarsi fisicamente, l’opportunità di poter accedere da casa propria, ad una vera lezione di cucina.

E’ sufficiente registrarsi su www.socialveg.it. Dopo aver ricevuto una mail con gli ingredienti e il materiale necessario, seguire l’appuntamento su www.socialveg.it/diretta-video. Guidati dalle mani esperte di Antonio in meno di un’ora insieme, verrà realizzato il piatto del giorno.

Quando mi è stata segnalata questa iniziativa, ho voluto conoscere come mi è consueto fare, la persona protagonista del progetto: Vi presento Antonio Marchello. 🙂

Antonio Marchello - Fotografia di Monica Placanica

Antonio Marchello

Antonio ha vissuto sin da piccolo la cucina grazie alla passione che gli ha trasmesso sua madre. Un’ottima cuoca che lo ha educato alla cucina come luogo ideale per riunire tutta la famiglia. Un ambiente che da allora, in un certo senso, non lo ha mai abbandonato.

Già dai tempi scolastici, durante le vacanze estive, ha cominciato a formarsi lavorando in diversi ristoranti fino a quando, a ventiquattro anni, la decisione di aprirne uno tutto suo. Le successive esperienze all’estero sono state poi determinanti nelle scelte e nei cambiamenti di rotta.

Tornato in Italia, dopo un periodo lavorativo passato a New York, la decisione di lasciare il ristorante per diventare un personal chef  ha dato una nuova svolta alla sua vita. L’idea di essere a casa delle persone per poter cucinare su misura, entrando in qualche modo più direttamente nelle loro vite, lo attirava molto. La verità è che le persone creative hanno bisogno di continui stimoli. Una necessità che capisco molto bene, e di cui io stessa non riesco a fare a meno.

Da poco, oltre alla nuova avventura di social kitchen e social veg, ha soddisfatto un’altra sua grande passione: il teatro. Insieme a MaxPisu, per la produzione Bananas-Zelig, sta portando in tour lo spettacolo teatrale “Max ter Chef” che lo vede protagonista sul palco in uno showcooking in salsa comica.

Per Antonio la chiave giusta è tutta qui: divertirsi lavorando. Ora che lo conoscete un po’ meglio direi che è proprio il caso di passare a lui la parola.

  • Antonio, vogliamo parlare di Social Veg?

Certo Cinzia! Come per social kitchen, anche Social Veg offre ad ognuno la possibilità di cucinare in diretta con noi, da casa propria, senza trucco e senza inganno. Stessi ingredienti, stessa attrezzatura, stessi tempi e stessa voglia di passare insieme un po’ di tempo in cucina. Alla fine avremo preparato tutti un buon piatto da portare a tavola e da degustare da soli o in compagnia.

Social Veg

  • Social Veg è nato dopo Social Kitchen. Com’è andata la tua prima esperienza con la cucina social sul web?

Gli inizi non sono stati semplici. Quando raccontavo la mia idea spesso mi sentivo dire che non avrebbe funzionato e che nessuno si sarebbe messo ai fornelli insieme a me seguendomi sul web. Ma io non  ho desistito, finché un giorno ho incontrato un altro “folle” come me che ha creduto in questo progetto. Da allora Alessandro Lucianò, con la sua Excogitanet, è l’anima tecnologica di Social kitchen e di Social Veg. Credo di aver trovato finalmente un compagno di giochi con cui divertirmi nel creare e progettare sempre qualcosa di nuovo. Le persone a casa lo percepiscono e gli ascolti delle trasmissioni ne sono conferma.

  • Cucinare solo per se stessi porta spesso a non incentivare la voglia di mettersi ai fornelli. Hai suggerimenti per superare questo freno?

Anche in questo caso suggerisco di utilizzare un po’ di fantasia, un ingrediente essenziale per me. Dimenticate di essere soli. Piuttosto mandatevi un bell’invito, sia sms, via mail, con un bigliettino, un post it, come preferite. Ma fatelo davvero. Invitatevi a cena! Poi preparatevi qualcosa di buono, apparecchiate per bene e presentatevi al vostro appuntamento ben vestiti e magari con una buona bottiglia di vino. Sono certo che tra tutti gli ospiti che avete potuto ricevere in vita vostra, passare un po’ di tempo con voi stessi vi riserverà delle piacevoli sorprese!

  • Dalle tue parole credo di aver capito che la possibilità di offrire a tutti coloro che si vogliono cimentare in cucina, con un confronto e una condivisione, sia stata la molla che ti ha spinto a sperimentare i canali social di cui tra l’altro io stessa sono un’accanita sostenitrice. E’ così?

Io credo molto nella tecnologia e nel progresso, specie se vengono associati a quell’imprescindibile aspetto umano. La cucina di per sé , è sempre stata in qualche modo condivisione, esattamente come per i social. E’ da questo concetto che è nata l’idea di creare, anche solo virtualmente, la cucina più grande e la tavola più lunga d’Italia, ma non solo, visto che abbiamo un seguito anche dall’estero. Una  vera e propria grande famiglia che mi piace molto!

  • Secondo te c’è speranza per chi come me in cucina è come dire… un pochino una frana?

Certo che c’è speranza, e non solo!  Come diciamo noi a social kitchen e a social veg “la cucina deve essere alla portata di tutti”. Cucinare per credere… Anzi, sei ufficialmente invitata a cucinare con me in diretta!

Caspita, sono stata sfidata! A questo punto non mi rimane che accettare! State pronti, ma soprattutto, state collegati su Social Veg! 😉

Fotografie di Monica Placanica

 




E’ tempo di bilanci. Oggetto: Business Plan? Soggetto: Tosini Cinzia

 

Qualche giorno fa ho fatto un po’ di ordine nei miei archivi.

Chi si occupa di ‘comunicazione’, che sia un blogger, un pubblicista o un giornalista, vive tra dati, appunti, libri, studi, schedari, contatti… per me è così. Prendo molto seriamente quello che faccio. C’è dietro molto lavoro, viaggi, ricerca, costi, conoscenza, delusioni, emozioni…

Ebbene, mi è capitata in mano un’analisi che, a mia insaputa, senza quasi rendermene conto, mi è stata fatta circa un anno fa. In seguito, poi, mi è stata consegnata con uno scritto su tre fogli. Si, sono stata analizzata, non l’ho chiesto, e non so ancora bene il perché. Sono stata sottoposta a questa indagine come per capire se fossi una persona su cui investire, o forse meglio, da utilizzare.

Mi spiego. Una donna, tempo fa, mi si è avvicinata dimostrando amicizia ed interesse per ciò che facevo. Non ho segreti… vivo alla luce del sole, quindi, vista la sua gentilezza, non ho avuto problemi ad aprirle le porte di casa. In realtà ero sotto analisi. Il risultato con mia sorpresa mi è stato consegnato tempo dopo con uno scritto definito ‘riservato’. Non farò nomi, ma ciò che viene scritto di me, se è riservato o meno, lo decido io.

In sintesi, i miei punti di forza emersi sono (trascrivo testualmente):

  • “Capacità di relazione molto marcata. Riesci a entrare in confidenza con le persone e a farti aprire la porta per entrare. E’ un punto di forza straordinario.” La risposta è semplice, sono sincera e soprattutto me stessa. Non è sempre facile aprirsi. Ma so che la mia esperienza può servire ad altri, e quindi, perché no. Le persone, oggi più che mai, hanno bisogno di onestà, semplicità e soprattutto di fidarsi in qualcuno.
  • “Cultura e buone maniere. Trasmetti entrambe in modo forte, e questa è un’ottima carta.” Mi ripeto, non ci si improvvisa comunicatori, per nulla. Per farlo è necessario vivere il territorio ascoltando i protagonisti che vivono le realtà e le produzioni. Poi ci si completa con la ricerca e lo studio.
  • “Passione determinata, e non solo perché lo dici tu stessa che sei passion-driven, ma perché si percepisce davvero.” Nulla da aggiungere.
  • “Competenza e abilità per un’efficace comunicazione sul web (ricerca SEM e SEO: se ci si affida a te, sei in grado di far trovare subito, con i vari motori di ricerca, il luogo e la persona che segui).” Amo la comunicazione digitale per la possibilità che offre per la promozione dei territori, e per la visibilità che, attraverso di essa, posso dare a chi reputo opportuno far conoscere. Non nascondo che ho incontrato anche persone sbagliate di cui mi sono fidata, fa parte della vita… il tempo è grande rivelatore e provvede a far superare le amarezze.
  • “Scrivi bene, con un tuo stile molto personale, semplice e gradevole.” Ho iniziato a scrivere per caso… ora è una necessità. Scrivo in primis per me, imparando e continuando a farlo.
  • “Fotografia. Sei brava, le foto sono gradevoli, che si tratti persone o di oggetti. Sai cogliere l’essenza.” Più vado avanti e più mi piace. Fotografo tutto, quasi nel timore di perdere ciò che vedo. Condivido per comunicare bellezza.

Tutte cose belle direte. L’unica nota dolente, scritta alla fine delle tre pagine che mi sono state consegnate a sorpresa in una busta, si riassume con un’interpretazione della mia attività con “mancanza di focus, o meglio, con mancanza di chiarezza di obiettivo”.

Forse, dopo quasi quattro anni che svolgo questa attività, è tempo di bilanci e riflessioni. Aveva ragione questa persona? Non so che dirvi. Io so per certo che conosco molto bene quale è il mio obiettivo: comunicare il territorio e soprattutto le persone che ne sono protagoniste. Il mio sogno per il futuro: farne parte attiva.

Questo mio blog è un contenitore di ciò che ho vissuto e imparato in questi ultimi anni. Altro non so, o meglio, forse la nota dolente, non certo per me, che di gran lunga chi ‘snobba le regole di questa società’ (solo quando non le trova giuste), abbia un percorso più lungo e difficile.

Io vivo quello che faccio personalizzandolo con quello che sono e con quello in cui credo. Scrivo quello che vivo se mi passa qualcosa, o se ritengo che debba essere fatto passare un messaggio. La cosa certa è che non riuscirò mai a farlo ‘sotto dettatura’.




E’ possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie? Risponde lo chef Giorgio Perin

Ho conosciuto Giorgio Perin durante una serata dedicata al Nebbiolo che si è svolta pochi giorni fa al MO.OM Hotel di Olgiate Olona, in provincia di Varese. E’ ormai mia abitudine, se valuto interessanti le argomentazioni del mio interlocutore, approfondire la sua conoscenza con due chiacchiere che mi permettono di capire e soprattutto continuare ad imparare.

Chef Giorgio Perin -

Chef Giorgio Perin

La scelta di Giorgio di fare il cuoco è stata quasi una tappa obbligata. In quegli anni gli indirizzi scolastici privilegiati erano infatti rivolti alle scuole professionali che permettevano un ingresso immediato nel mondo del lavoro. Nato a Verbania, optò per la scuola Alberghiera di Stresa inizialmente senza alcuna ambizione di carriera.

Stagione dopo stagione, lontano dagli affetti e dalle amicizie, il percorso ha incominciato ad entusiasmarlo. La fortuna di poter lavorare accanto a grandi Chef del Novarese, gli ha permesso di formarsi imparando i fondamenti della cucina classica che poi ha mantenuto negli anni come pilastri del suo metodo lavorativo. Come si suol dire, da cosa nasce cosa.

Detto ciò vi presento l’Executive Chef dell’Hotel MO.OM Giorgio Perin.  A lui la parola.

  • Giorgio, Secondo te è possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie?

Non solo è possibile, ma è necessario se si vuole produrre un buon risultato che accontenti sia la clientela che la casa per cui si opera. Non è forse quello che normalmente si fa in ogni famiglia? Si cerca di contenere i costi e di soddisfare tutte le esigenze. Un risultato che si può ottenere attraverso un’accurata selezione dei prodotti, un’adeguata calibratura delle merci, e un metodo di cottura che eviti gli sprechi riducendoli al minimo o addirittura annullandoli.

  • Meglio la ristorazione di ‘ieri o quella di oggi’?

Credo che non ci sia il meglio dell’una senza il meglio dell’altra. Mi spiego. Oggi si tende a ricercare sempre nuovi gusti, nuovi abbinamenti, e nuovi metodi di cottura per accontentare sia i palati che le necessità di restringere il tempo di attesa e di consumazione dei piatti. Non dobbiamo però dimenticare che nella cucina ‘di ieri’ ci sono gusti, profumi e genuinità che nessuna novità di oggi potrebbe mai far scordare. Molte ricette di oggi sono rivisitazioni dei piatti di ieri, i più genuini e naturali.

  • Consiglieresti a tuo figlio/a di percorrere la tua strada?

Ogni lavoro, se fatto bene, è passione impegno e fatica, così come ogni persona è artefice del suo destino. NO, non ho consigliato ai miei figli il mio lavoro, ne loro hanno mai espresso la volontà di farlo. Personalmente sono felice che si sentano realizzati nelle loro scelte.

Chef Giorgio Perin

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  • Secondo te perché le donne fanno più fatica ad affermarsi nell’alta ristorazione?

A mio parere è difficile ma non impossibile. Questo lavoro se fatto con passione richiede grande dedizione, sacrificio e tempo. Non ne farei dunque una questione di capacità o di possibilità, ma di abnegazione di se stessi. Arrivare all’alta ristorazione può voler dire rinunciare alla famiglia, al divertimento e al tempo per se stessi. Le cose però anche in questa direzione stanno cambiando.

  • La cucina è una questione di sensi. È scientificamente provato che le donne hanno una sensibilità maggiore. Proprio per questo motivo accetteresti di lavorare a fianco a una donna?

Qualche anno fa avrei avuto delle grosse riserve se mi avessero proposto una collaborazione uomo-donna in cucina, forse per il mio carattere dominante, forse per partito preso, o forse semplicemente perché ho sempre visto il mio lavoro “Uomo”. Oggi sarei più aperto a questa possibilità, ma non lo farei per una questione di sensibilità, perché per cucinare bene, per abbinare gusti, per creare effetti cromatici, questa dote è indispensabile a prescindere dal sesso.

Cinzia, concludo queste nostre due chiacchiere rivelandoti che ho trascorso quasi un’intera vita appassionandomi ad un lavoro che mi ha richiesto grandi rinunce ma che mi ha dato enormi soddisfazioni. Grazie a questa lunga esperienza ho potuto conoscere grandi menti, altri paesi e culture. Sono tutt’ora operativo e soddisfatto dei miei risultati. Ringrazio la mia famiglia per il paziente, entusiasta, oggettivo supporto senza il quale sarebbe stato tutto molto più difficile. In Fede, Giorgio Perin.

Come non condividere le parole di Giorgio. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, è il supporto più importante nella vita. E’ il nido che ci scalda nei momenti freddi e ci sostiene nelle difficoltà. Mai darla per scontata…

La cucina dello Chef Giorgio Perin.




Vi presento Alessandro Vitiello, o meglio, “solo il vin d’arte”

Alessandro Vitiello, per gli amici Sandro, un sommelier e un ristoratore ma soprattutto un amico. ‘Solo il vin d’arte’ è l’anagramma del suo nome elaborato da Giuseppe Maria Grassi, un amico che si diletta così.

Un uomo che ha nel cuore una terra, la sua Ponza. Mi commuove quando lo vedo condividere ricordi e fotografie in bianco e nero di quest’isola che ha dovuto lasciare come molti per ragioni di lavoro. Lui la racconta nel suo blog: ‘La casa dei Sacco di Ponza’.

“Quando tornavo a Ponza, dalla mattina successiva, ridiventavo il marinaio di mio padre e con la sua barchetta di cinque metri si andava a pescare insieme. Mio padre ha smesso di praticare il mare alla fine del ’92: aveva più di ottanta anni…”

Costantino Sacco a Santa Teresa negli anni '60 (a sinistra sulla prua)

Costantino Sacco, padre di Sandro, a Santa Teresa negli anni ’60 (a sinistra sulla prua)

Sandro, grazie alla sua lunga esperienza come ristoratore prima all’Osteria delle bocce di Seveso e ora al Ristorante Il Fauno di Cesano Maderno, ha molti ricordi vissuti con personaggi dell’enogastronomia italiana. Di tanto in tanto quando c’è l’occasione, sapendo quanto amo ascoltarlo, ne condivide qualcuno con me.

Oggi ve lo voglio far conoscere…

Ciao Sandro, ho scritto questi pensieri una mattina all’alba. Non avevo sonno e la mente correva. Sarà forse la voglia di viaggiare anche con le parole? Chissà… credo che noi nostalgici e romantici ci capiamo.

  • Qualche sera fa mi stavi raccontando quella volta che… Mi piace quando mi racconti aneddoti del mondo dell’enogastronomia, lo sai. Me ne riporti qualcuno che ti è rimasto in mente in particolare?

Ce ne sarebbero tanti Cinzia, a dire la verità più che aneddoti amo ricordare persone che tra Milano e dintorni hanno divulgato l’arte del buon bere. Ricordo ad esempio Antonino Trimboli – pugliese di origine – che in gioventù, nel dopoguerra, aveva girato quasi tutta la Francia ed aveva riportato in Italia una conoscenza enciclopedica del vino francese in generale e dello champagne in particolare. Parlare con lui – uomo senza peli sulla lingua – era un piacere unico.

Come del resto con quel “giacobino” di Adriano Romanò. Maestri prima ancora che venditori. Che dire poi dei fratelli Brovelli? Uomini d’altri tempi che raccontavano il vino con grande passione.

Un aneddoto. Una sera capita una coppia di amici a cena all’Osteria delle Bocce (il nostro precedente ristorante) accompagnati da un’altra coppia. In bella mostra all’ingresso c’era l’ultima selezione di whisky di Samaroli. Dopo cena, a ristorante quasi vuoto, l’amico mi chiede di portare l’whisky più strano che avessi, in maniera anonima, al suo ospite. Questo signore, dopo averlo assaggiato, mi ha raccontato tutto il possibile di questo strano distillato che avevo tirato fuori da un mobile che avevo in un’altra sala. Dopo aver bevuto abbondantemente insieme mi ha raccontato il suo lavoro. Passava il suo tempo in Scozia a selezionare whisky per conto di una multinazionale. Qualche tempo fa nel vedere il film “la parte degli angeli” mi sono ricordato di lui.

  • Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Praticamente ti ho quasi obbligato ad organizzare delle serate di cultura e degustazione per la conoscenza del cibo e del vino. Dovete sapere che Sandro è un grande conoscitore e appassionato di enogastronomia, impigrito forse solo dal poco entusiasmo delle persone nell’apprendere. Ma poi è arrivato un vulcano che…

E’ sicuramente vero che Cinzia Tosini sia un vulcano così come è vero che io coltivo anche “l’arte del dubbio”. Ho abbastanza anni per essere sicuro di non aver certezze da vendere e ogni tanto per domandarmi se serve a qualcosa o a qualcuno raccontare il mio mondo. Quando poi ti scontri con Cinzia Tosini tanti dubbi vanno a farsi benedire e si riprende.

Devi sapere che abbiamo iniziato a organizzare serate dedicate al vino e al cibo dall’autunno dell’84: trent’anni fa. Non c’era internet e le nostre news viaggiavano con la posta ordinaria, eppure c’era tanta attenzione, e spesso avevamo problemi a gestire i tanti che volevano partecipare. Io poi mi sono divertito a mettere in piedi tanti corsi per associazioni o istituzioni della zona. Prima ancora che insegnare ci si divertiva. Ancora adesso vale questa regola.

Alessandro Vitiello

Alessandro Vitiello… Sandro

  • Passo ad una domanda legata alla tua attività. Come definiresti il consumatore medio di oggi, nel senso di cosa si aspetta e cosa cerca?

Il consumatore medio oggi subisce il tempo che viviamo. Noi che abbiamo vissuto gli anni della “Milano da bere” facciamo fatica a volte a dare un senso a quanto succede. Il consumatore rimane attento e curioso, pronto a considerare con rispetto quanto di buono e di nuovo viene proposto. Ha però aggiunto, o meglio ritiene più importante che in passato, il giudizio sul giusto valore delle cose che vengono servite.

Si può anche pagare tanto una bottiglia di vino ma è importante che valga i soldi spesi. Non è più sufficiente che chi la vende sia “un uomo da prima pagina”. Non nascondiamoci però che sono anni complicati; saper fare bene in cucina e saper trovare grandi vini ad un prezzo corretto è diventato fondamentale.

  • Dico spesso che il ruolo del ristoratore, presentando i piatti e servendo il vino, può essere definito un veicolatore di pillole informative fondamentali per trasmettere al consumatore cultura enogastronomica. Esagero? Non credo. Sono convinta che partendo dalla tavola, senza tediare l’ospite, si possa fare molto in questo senso.

Hai perfettamente ragione: il mestiere della ristorazione può essere una grande opportunità per divulgare tante buone abitudini, non solo alimentari. Non a caso al ristorante o mangiando in compagnia, noi si parla spesso di cibo e di convivialità.

Mi viene in mente Garcia Marquez – Il generale nel suo labirinto – che fa domandare ad un ospite di Simon Bolivar: “Ma perché gli europei quando sono a tavola parlano di cibo?”. Cosa rispondere? A tavola mentre si parla di cibo si ragiona su tutta la condizione umana. D’altronde anche la liturgia cristiana ragiona in questi termini: la storia di Gesù sulla Terra finisce con un’ultima cena.

  • Ora, a conclusione di questa nostra chiacchierata, una delle tante, mi piacerebbe che mi scrivessi un ricordo della tua terra. Com’è Ponza a primavera?

Ponza è il mio “luogo dell’anima”. Ho passato gran parte del mio tempo qui in Brianza, ma se devo definirmi, di me dico che sono ponzese. Che vuol dire? Niente e tutto. Noi ponzesi non siamo ne meglio ne peggio degli altri. Siamo un’altra cosa. Si dice che il carattere di una persona si forma nei primi anni di vita; io il mio l’ho costruito guardando il mare. Dal cortile di casa mia, nelle giornate di tempesta pensando a mio padre che pescava tra le onde o nelle belle mattine di primavera, quando alla bellezza del paesaggio si aggiunge il profumo delle ginestre.

Quelle cose lì te le porti attaccate dentro e non le perdi più. Ponza in primavera è il posto più bello del mondo. Non solo per la bellezza dei luoghi, ma anche e soprattutto per i suoi sapori. Andare in giro per le colline a raccogliere asparagi selvatici, assaporare la bontà di certi carciofi cresciuti in quel terreno vulcanico che gli conferisce un sapore molto deciso è un’emozione irripetibile.

E il mare? In primavera si mangiano le granseole più buone, seppie e calamari in quantità e pesce da zuppa che in questo periodo ha un sapore speciale. Potrei andare avanti per ore a raccontarti, ma se ne hai modo, regalati una settimana a Ponza in primavera, ti garantisco che avrai problemi a ritornare.

Sandro, ti prometto che lo farò…

Fotografie di Alessandro Vitiello




Vita da Blogger… anzi, da Farm Blogger. Cinzia Tosini.

Intervista di Giustino Catalano pubblicata l’8 Gennaio 2014 su Di Testa e Di Gola.

Eclettica, solare, intelligente, curiosa, simpatica, dalla grande parlantina…. tanti gli aggettivi positivi per definire Cinzia Tosini, Farm Blogger e autrice su questo sito, ma forse il più appropriato è passionale. Avevo voglia di raccontarvela con le sue parole ed eccomi qui.

Chi è Cinzia Tosini?

Innanzitutto amo farmi chiamare solo Cinzia! E’ la prima cosa che dico quando mi presento. Per dirla tutta mi chiamo anche Emilia che è il secondo nome che mi è stato dato in memoria del mio mitico nonno friulano. Dunque, per tornare alla domanda – chi sono? – mi viene immediato rispondere che sono semplicemente una donna che da oltre tre anni sta vivendo una seconda vita.
Tutto è iniziato riprendendola in mano, dopo che, superato uno smarrimento iniziale, ho reinvestito il mio tempo nelle passioni di sempre: la terra, l’agricoltura, il vino, e le storie delle persone. Credo che la motivazione principale, sia da attribuire al fatto che da ragazzina sono cresciuta in campagna dai nonni a Treviso.
Spesso non ci rendiamo conto che la terra, se vissuta veramente, lascia il segno nel tempo, nei ricordi, e nelle anime. Purtroppo il male del nostro secolo è che corriamo e viviamo nella continua ricerca di traguardi, senza renderci conto che l’esigenza primaria è l’armonia che riscopriamo stando a contatto con la natura.

Come hai iniziato a scrivere?

La mia storia, per lo meno quella degli ultimi anni, è un continuo susseguirsi di coincidenze e incastri che pian piano mi hanno portato a scrivere (giuro, non l’avrei mai detto).
Tutto è iniziato dopo aver letto l’intervista fatta ad una vignaiola di Aosta. Le sue parole mi avevano emozionato a tal punto, da convincermi ad andare ad Aosta per conoscerla di persona. La sua, una vita difficile, un po’ come la mia. Quando mi raccontò che non aveva i soldi per stampare l’etichetta a retro della bottiglia del vino che produceva, decisi di scriverne un pezzo, che stampai, e che le regalai affinché lo omaggiasse insieme al vino.
Fu allora che mi fu chiesto di pubblicarlo, inserendolo in una mia rubrica su un sito di enogastronomia: Vino Way. Accettai un po’ titubante, ma solo a patto di poter raccontare le produzioni partendo dalle persone. In seguito, avendomi limitato il campo d’azione alla sola Lombardia, decisi di uscire continuando la mia avventura con la realizzazione di in un sito, o meglio, di un sogno di cui ero socia fondatrice: World Wine Passion. Purtroppo, una non condivisione su alcune prese di posizione, mi ha convinto a trasformare la mia Rubrica presente nel sito, in un blog personale: Storie di Persone.
Quello degli ultimi anni è stato un percorso a ostacoli, intenso e accelerato, passato scrivendo ciò che ho vissuto, ascoltando la gente, e viaggiando in lungo e in largo per l’Italia, il modo che piace a me per conoscere il territorio.

Perché hai deciso di scrivere partendo dalle ‘persone’?

Decisi da subito di scrivere di persone, in primis perché per parlare di enogastronomia, bisogna avere alle spalle molta esperienza, e in secondo luogo, perché mi accorsi che ascoltare il cambiamento di rotta di persone che avevano deciso di investire la propria passione nella terra e nell’enogastronomia, mi affascinava molto.

Farm blogger, perché ti sei definita così?

Dunque, questa definizione è nata dopo molte riflessioni fatte con me stessa. Mi trovavo spesso a correggere l’interlocutore di turno, quando, sentendomi definire una food blogger, non trovavo per nulla calzante tale ruolo. Confesso di essere più brava a mangiare che a cucinare.
Amo molto il cibo e il vino per le sue storie, per il territorio, per le sue tradizioni e per i suoi protagonisti. Mi piace conoscere e assaggiare vivendo le realtà sul ‘campo’, per me il modo migliore! Adoro visitare le aziende agricole accompagnata dai produttori, poi, vedere l’evoluzione e la nascita dei prodotti, mi permette di capire comprendendo meglio le problematiche legate ad essi.
E’ da queste considerazioni che è nata la definizione che finalmente mi sono sentita calzare a pennello: farm blogger.

Dopo tre anni, che esperienze senti di aver maturato?

Molte sono le esperienze, molto ho imparato, e molti ho conosciuto. Dico spesso che non è un mondo facile questo. Purtroppo gli egoismi vincono sul buon senso, rendendo spesso difficile la strada che permetterebbe di fare il giusto sistema a vantaggio di tutti.
Gli italiani devono cambiare mentalità se vogliono ripartire. Bisognerebbe incominciare dalla scuola creando da subito, con la nuova generazione, un nuovo modo di pensare. Qualcuno ora sorriderà leggendo le mie parole, non ha importanza, io ci credo sul serio in quello che scrivo, utopistico o meno.
Nonostante ciò, la mia maggiore soddisfazione è di aver creato nel tempo una fitta rete di rapporti basati sulla stima, sul rispetto e sull’amicizia. Questo per me è di fondamentale importanza, costruire rapporti basati sulla buona reputazione, soprattutto in un mondo come quello dell’enogastronomia, le cui fondamenta sono basate sulle passioni.

Blogger e giornalisti, argomento molto dibattuto. Cosa ne pensi?

Ne ho scritto recentemente sul blog, in particolar modo perché mi sento tirata in causa.
Blogger e giornalisti, passione e professione, emozione e razionalità. Due ruoli i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Io insisto sul fatto che, comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando, ognuno a loro modo, il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando di seguire le onde di comodo del momento.

Mondo blogger: chi lo ama, chi lo odia, e chi lo sfrutta. Ma a chi interessa in realtà la comunicazione fatta dai blogger? E perché?

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la loro carica emotiva abbinata alla comunicazione digitale, possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo, sia al territorio che alle produzioni. Un fenomeno già in voga da anni all’estero. Molti lo hanno capito, e ne hanno preso spunto.
Il mondo dei blogger non è sempre facile, c’è chi agisce seguendo la passione, e c’è chi si fa trascinare da facili traguardi. Comunque sia, spetta solo ai lettori seguire chi trasmette nel tempo, quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili.
L’unico tasto dolente in questo contesto, è che troppi sfruttano questa passione senza riconoscere l’impegno intellettuale e non solo, nel dedicare tempo ed energie a questa attività la cui rilevanza è stata riconosciuta dalle stesse istituzioni locali.

di Giustino Catalano

Con Giustino Catalano a Napoli




Vi presento Samuele Vergari, un blogger in pigiama!

Blog:  FoodWineBeer 

Da tempo si discute sul divario della comunicazione fatta tra blogger e giornalisti. Un argomento ormai tritato e ritritato che tratta due figure i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Io insisto sul fatto che, comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando ognuno a loro modo il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando le onde di comodo del momento.

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la comunicazione digitale possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo. Questo non appanna in alcun modo la figura del giornalista, che, in modo professionale assolve ad altrettanto compito. Non è una gara, non potrà mai esserlo, essendo la forma comunicativa assai diversa.

Ho fatto questa premessa per introdurre un blogger, o meglio, un Passion Blogger che conosco e seguo da tempo: Samuele Vergari, in arte ‘FoodWineBeer’.

Anche se l’approccio di Samuele non è il mio, nel senso che a differenza di lui io amo scrivere dopo aver vissuto di persona il territorio e i suoi protagonisti, rispetto la sua scelta dettata in questo momento da esigenze familiari.

Il mondo dei blogger non è sempre facile, l’ho conosciuto tempo fa, quando, seguendo le relazioni pubbliche e i contenuti di un sito di enogastronomia di cui ero socia, volevo far conoscere con una rubrica che avevo deciso di chiamare ‘Passion Blogger’, gli ‘appassionati veri’, quelli che con impegno e coerenza trasmettono la loro passione attraverso i blog (diari in rete).

Anche dopo aver lasciato quel ruolo, per una non condivisione di prese di posizione, questo mio progetto non è andato perso. A modo mio, continuo dando visibilità a chi ritengo possa ‘far bene’ nel diffondere la conoscenza delle produzioni di qualità.

Samuele Vergari è nato da una famiglia dedita all’agricoltura. La passione per il vino ereditata dai nonni produttori di Sangiovese, gli ha permesso col tempo di apprezzarlo fino a diventare un punto di riferimento per gli amici, per i consigli sulla scelta dei vini. La svolta nel 2010, quando, spinto dalla crescente passione decide di aprire un blog. Molto il lavoro per darne forma, tanti i passaggi e cambi di rotta, fino alla nascita di ‘FoodWineBeer’.  

Un blog che punta più ai prodotti, che ai produttori. Il motivo presto svelato: Samuele è un vero e proprio pantofolone, o meglio, un papà di due bimbi piccoli che lo portano a rendersi indispensabile in famiglia. E’ così che scrive i suoi articoli, spesso in pigiama sul divano, tra le interruzioni dei suoi figli e i loro micro drammi. Nonostante gli impegni familiari, il piacere di scrivere di ciò che degusta a casa e nei ristoranti delle zone limitrofe, lo ha spinto a continuare. Poi, appena possibile, nei giorni di riposo, i viaggi per l’Italia gli permettono di ampliare la sua conoscenza. 

“Cinzia, le soddisfazioni sono tante, in particolar modo quella di poter conoscere, anche se in molti casi solo in maniera virtuale, una marea di belle persone legate al mondo del vino e della birra. Certo, anche in questo mondo ci sono personaggi negativi, persone che promettono e poi non mantengono, approfittatori e millantatori di ogni genere…  Io sono solo un semplice appassionato che alle spalle ha poca teoria e molta pratica. Un uomo e un padre che racconta le proprie esperienze in pigiama sul divano di casa… Samuele Vergari”

Concludo con un mio pensiero. Noi blogger, tanto criticati ma nel contempo tanto ricercati, sono convinta che qualcosa di buono lo facciamo. A modo nostro tentiamo di trasmettere quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili della nostra vita.

Ora vi chiedo: “Sono forse meglio quelli che sfruttano questa passione…?”

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