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Chiara Boni, una stilista in equilibrio con la natura

Chiara Boni, una delle grandi firme italiane della moda. L’ho incontrata qualche giorno fa a Milano, nel suo ambiente, tra le persone con cui collabora da anni. Una stilista fiorentina che ho conosciuto attraverso i suoi pensieri, veri attacchi poetici la cui spinta ben comprendo. La sua, una sensibilità espressa nel lavoro e nel rispetto dell’ambiente.

Perché mai incontrare una stilista? Come dico spesso l’Italia ha molti punti di forza da promuovere: l’agricoltura, l’enogastronomia, il turismo, l’arte, la moda… Ognuno tenta di farlo a modo suo. Per quanto mi riguarda, cerco di conoscere meglio le persone che ne sono protagoniste grazie alla loro creatività e al loro impegno. Seguirle durante il loro lavoro mi permette di valorizzarle quando ritengo che possano fare bene all’economia italiana.

Premesso questo, non nascondo che da sempre apprezzo lo stile e l’eleganza. In una società di corsa, in cui il tempo non è maiChiara Boni sufficiente, Chiara ha saputo coniugare la praticità senza trascurare la femminilità. Ma non solo, la sua è una moda in equilibrio con la natura, una produzione eco-sostenibile controllata sin dall’origine.

Per i suoi abiti si avvale infatti della collaborazione di un’azienda italiana attenta all’ambiente che, dal 2001 al 2008, è stata in grado di ridurre per ogni kg di tessuto prodotto il consumo del 5% di energia elettrica, del 13% di metano, del 19% di acqua, di 21 tonnellate il consumo di carta e carbone, e del 25% il consumo di coloranti e prodotti chimici. Questi ultimi, ahimè, sono causa sempre più frequente di irritazioni e di allergie alla pelle.

La sua, una passione per la moda nata da bambina con la frequentazione insieme alla madre di sartorie ed atelier. Dopo l’esperienza londinese, nel 1967,  la ribellione al rigore e all’essenzialità della moda italiana di quegli anni, si è espressa con una ‘boutique di rottura’ aperta nel 1971 a Firenze. Negli anni ottanta, l’importante collaborazione con il Gruppo Finanziario Tessile di Torino durata quindici anni, poi, dal 2000 al 2005, l’esperienza in politica come Assessore per l’Immagine e la Comunicazione della Regione Toscana.

Una ‘ricerca della flessibilità’ attraverso la sperimentazione sui materiali, che nel 2007 ha portato alla nascita della ‘La Petite Robe’. Abiti in tessuti stretch in tante versioni che non si stropicciano, ideali per la valigia. Dal 2009 la collaborazione con  il biellese Maurizio Germanetti, ha dato un’ulteriore svolta alla sua vita. In America oggi è presente con uno show room a New York, e nei più importanti department store.

Una giornata con Chiara Boni

Una sola domanda.

  • Chiara, in un progetto di ‘Città Ideale’ qual è il tuo ruolo?

Cinzia, la ‘Città Ideale’ è un intreccio di attitudini creative, un sodalizio che vede coinvolti Urbanistica, Design, Food e Moda, come protagonisti di un’etica urbana.

Il mio ruolo è quello di offrire un’opinione ‘femminilista’ all’evoluzione del concetto urbano. ‘Femminilista’ è lo stile di chi, come me, ha intrapreso da anni una ricerca flessibile alle esigenze della donna nel segno della femminilità.

Dopo un incontro, come sempre, sento la necessità di metabolizzare ciò che vivo per trarne i giusti insegnamenti. La giornata passata con Chiara mi ha fatto comprendere quanto la moda possa contribuire al rispetto dell’ambiente. Conoscere una produzione ecosostenibile significa conoscere i metodi di coltivazione di materiali, che esigono il rispetto per la natura e il minimo impiego di prodotti chimici. I comportamenti etici per la realizzazione dei tessuti, salvaguardano l’ecosistema e la nostra pelle.

Chiara Boni e la sua collaboratrice Monica Galleri

Vestita da Chiara Boni e dalla sua collaboratrice Monica Galleri




Vado avanti tentando di non pensare troppo… ogni tanto però mi sfogo

Ormai guardo poco la tv. Quando mi capita di accenderla è un continuo scuotere la testa. Programmi dal basso contenuto, forse perché la gente vuole evadere… oppure programmi di denuncia, e li la rabbia si scatena.

Ma come siamo finiti così? I giochi sporchi, la mafia… ?! Mah… quando capiremo che il bene del singolo non è il bene della collettività. Dimenticavo che in Italia regna l’individualismo, i piccoli orticelli…  Di fatto siamo un paese in ginocchio, un paese che sta pagando gli errori del passato. Si dice che chi troppo vuole nulla stringe,  eppure…

Siamo un paese indisciplinato, poco rispettoso delle regole. Un  paese dove tutti hanno diritti e pochi hanno doveri. Un paese dove è consuetudine sentire che ‘nulla tocca a me, ma a qualcun altro’. Un paese in cui non si rispetta la puntualità nei pagamenti, l’esempio in primis lo da l’erario dello stato.

Siamo un paese governato da burocratici con troppi privilegi, con stipendi troppo lontani da quelli del popolo. Mi capita di guardare gli anziani, la paura nei loro occhi. E i giovani…?!  Persi  senza certezze del  futuro, ma coraggiosi, innovativi, combattenti!  Io credo in loro.

Vorrei fare tante cose… ma non so cosa fare. Quindi scrivo, viaggio, conosco e parlo con la gente. Condivido idee e luoghi belli dell’Italia. Ognuno può fare qualcosa… un passo avanti per venirsi incontro. Ce la faremo?  Non lo so. Dicono che la storia insegna, eppure facciamo gli stessi errori.

In Francia, i troppi privilegi dei nobili a discapito dei ceti meno abbienti, fece scatenare nel 1789 una rivoluzione guidata in città dalla borghesia, e nelle campagne dai contadini. Erano altri tempi, ma attenzione, la fame crea disperazione.

Ora vado avanti, tentando di non pensare troppo… ogni tanto però mi sfogo.




Come risolvere la questione tipica italiana sulla scarsa puntualità di pagare nei tempi concordati? Risponde un produttore.

Lunedi 15 Settembre scorso si è svolta, presso l’Accademia delle Viole, un bellissimo cascinale dalle atmosfere provenzali a Quintano vicino a Crema, una giornata di degustazione che ha coinvolto, oltre una decina di produttori, anche lo Chef  Ro Dante, ideatore della cena che ha concluso la serata.

Accolta dagli organizzatori, l’Azienda Agricola Ventura di Sonnino (LT) e l’Enoteca ‘La Cantinetta’ di Monte Cremasco (CR), ho avuto modo di chiacchierare e assaggiare le produzioni presenti dando i tempi giusti che purtroppo le grandi manifestazioni, spesso, non permettono per il numero elevato degli stand espositivi.

Un piacere salutare Ilaria Salera dell’omonima Azienda Agricola Salera a Garlasco (PV), e assaggiare il suo riso, ingrediente principe dei buoni risotti preparati dallo Chef Ro Dante.

Un’ottima sorpresa la spalla cruda con l’osso del salumificio La Scapineria, di Sissa a Parma.

Cibo ma anche vino…

La mia terra mi ha chiamato allo stand dell’Azienda Vitivinicola Fruscalzo di Dolegna del Collio (GO) dove ho assaggiato un Traminer Aromatico Delle Venezie IGP: la Rosa Canina Fruscalzo, una piacevole alternativa ai soliti vini offerti.

Ho concluso infine con un calice di Barbera dell’Azienda Agricola Cascina Carrà di Monforte d’Alba, una realtà familiare delle Langhe che dal 1986 conduce con metodi naturali 14 ettari di vigneto, e con il piacevole assaggio dei vini Balgera di Chiuro.

Chiedendo i prezzi ai produttori, viene spontaneo fare delle riflessioni non proprio positive sui ricarichi a volte eccessivi fatti dalla ristorazione e dalle enoteche.

Come dico spesso gli eventi, oltre che per assaggiare e conoscere produzioni, permettono il confronto con i produttori e l’ascolto delle loro problematiche che poi amo trattare nei miei scritti.

Proprio a questo proposito mi sono soffermata a lungo presso lo stand dell’Azienda Agricola Ventura di Sonnino (LT) produttrice di olio extra vergine da olive Itrana. Insieme  abbiamo dibattuto su una tematica a cui tengo molto e che considero una vera spina nel fianco delle piccole medie imprese italiane.

Mi spiego. Recentemente ho scritto a proposito della difficoltà di fare impresa, e non solo per la burocrazia, ma anche per la cattiva abitudine diffusa nel nostro paese di dilazionare a proprio piacimento i pagamenti dovuti. Ne ho discusso con Alberto Ventura che, dal 2004, dopo il cambio di rotta della sua vita da commerciale di un’azienda a produttore d’olio extra vergine di oliva, vive come molti in Italia queste difficoltà.

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In realtà Alberto ha adottato una sua politica conseguente all’esperienza maturata durante la sua precedente attività lavorativa, e  all’influenza giapponese con cui ha a che fare per i rapporti commerciali.

  • Alberto, lascio a te la parola per spiegare come hai tentato di risolvere la questione tipica italiana sulla scarsa puntualità di pagare nei tempi concordati, per i servizi e le forniture ricevute.

Diciamo che fin dall’inizio della mia avventura, ormai la chiamo così, mi sono imposto questa regola: “I clienti devono pagare subito!” Non sono certo più bravo degli altri, però nel mio piccolo ho voluto, per lo meno tento, creare un equilibrio anche con i miei fornitori. Io pago tutto alla consegna, a volte anche prima del ricevimento della merce.

Una consuetudine poco italiana direte. Ebbene, la cosa per me non è affatto strana, perché lavorando con il Giappone sono abituato alla puntualità e al rigore, a volte persino al ricevimento dei pagamenti un mese prima! Capirai bene la differenza.

Ti dirò un’altra cosa importante. Noi produttori agricoli, non potendo produrre durante l’anno, siamo costretti spalmare i costi con una conseguente concentrazione degli stessi al momento del raccolto. Dopo questa fase, dobbiamo sostenere le spese per il resto dell’anno,  sempre nella speranza che le cose vadano bene, sia riferendomi ai raccolti futuri, sia ai rischi d’impresa che solo chi lavora la terra conosce.

Detto ciò, se mi rassegnassi ad aspettare quelli che dovrebbero pagarmi ma che non lo fanno nei tempi stabiliti, allora si che sarebbe finita. Per quanto mi riguarda, garantendo dei prodotti di qualità e imponendomi bene commercialmente e con persone corrette, la cosa funziona.

Un’ultima raccomandazione: noi italiani dobbiamo metterci in testa che dobbiamo imparare a non fare i furbi, ovviamente non voglio generalizzare, ma purtroppo per la maggiore è così. Cercare di guadagnare di più dando un prodotto scarso e facendolo pagare come tale non fa bene a nessuno. Fare l’eccellenza, riuscire a venderla facendosi pagare subito, garantisce una continuità! Cinzia, spero di essermi spiegato bene, sicuramente faccio meglio l’olio che il giornalista.




La mia notte sotto le stelle con Laura Rangoni

Laura Rangoni, giornalista, scrittrice, ricercatrice e donna amante della natura. Direttore Responsabile del settimanale di enogastronomia Cavolo Verde con cui collaboro. Tante le similitudini che mi hanno portato a lei. Il 10 Agosto, nella sua casa di Savigno in provincia di Bologna, sotto un cielo stellato tra chiacchiere, ricordi e progetti per il futuro, abbiamo fatto scorrere le ore in attesa di una stella cadente.

Le notti in campagna sono cariche di atmosfera, i suoni della natura ci portano via dalle inquietudini che i rumori artificiali creati dall’uomo, col tempo, ci logorano appesantendo le nostre vite. Circondate dai colli bolognesi, in compagnia dei suoi compagni fedeli, abbiamo passato la notte di San Lorenzo sedute nel suo giardino, tra i profumi dell’orto e quelli delle piante di rose. Le stelle che aspettavamo non sono cadute. In verità io credo che le stelle siano anche sulla terra. Chi ha la fortuna di incontrarle, ma soprattutto chi ha la capacità di vederle, può vivere momenti di vera bellezza, traendo da esse luce, calore e vero benessere.

Domenica 10 Agosto scorso, a Casa Rangoni, si è svolta la prima cena inaugurale dell’Associazione culturale omonima che a breve darà inizio a percorsi degustativi, culturali e di ben-essere. Una cena all’insegna dell’amicizia e del buon gusto a base di prodotti dell’orto che Laura cura e segue personalmente. Ho voluto portarla qui nel mio blog, per custodire tra i miei ricordi una serata speciale vissuta tra natura e l’ascolto di una donna coraggiosa, che ora vi farò conoscere meglio.

Casa Rangoni

Cena inaugurale dell’Associazione Culturale Casa Rangoni

D) Laura, cito un passaggio in cui ti presenti: “Ho iniziato a tenere un diario quando, a quindici anni, ho lasciato Bologna, la mia scuola, gli amici, i sogni dell’adolescenza, per approdare a Monza. Il lavoro di mio padre mi ha rapita, e costretta a vivere in una regione che non ho mai amato, in case diverse, in luoghi inospitali, con gente nebbiosa come il clima… A cinquant’anni ho rivoluzionato la mia esistenza.” Sono convinta che ogni esperienza insegni. Dico questo perché ritengo che si possa imparare da ogni situazione e in ogni luogo in cui si viva. Premesso questo, mai rinunciare ai propri sogni. Concordi?

R) Sicuramente, Cinzia. I sogni sono la mia unica, vera ricchezza. E sono sogni semplici, da scrittrice di campagna. Il profumo del gelsomino, la tranquillità dei miei animali, i vasetti di conserva in dispensa. Insomma, quella che gli antichi chiamavano aurea mediocritas. I cinquant’anni per me hanno segnato un importante giro di boa: basta vivere “fuori”, ho preferito concentrarmi sul “dentro”. Su quelle cose che mi fanno felice, che riempiono la mia giornata, e che non hanno un valore economico. La serenità e il ben-essere sono i miei obiettivi quotidiani.

Casa Rangoni

Casa Rangoni

D) Cambiare la propria vita oggi, in tempi critici come questi, da qualcuno è ritenuto coraggio, da altri incoscienza. So per certo che ‘solo osando’ si può assaporare la vita nel vero modo in cui va vissuta. Non dico che è facile, tutt’altro. Per quanto mi riguarda, le emozioni vissute attraverso la conoscenza negli ultimi anni, mi ripagano delle delusioni inevitabili che questi percorsi ci presentano. Tu sei a buon punto. Puoi dare qualche consiglio a chi vorrebbe, ma non osa?

R) Non amo dare consigli non richiesti, perché la vita di ognuno di noi è diversa. Ma arriva un momento nella vita nel quale – se è destino – capisci che non puoi più restare fermo nella tua “zona di comfort”, capisci che devi osare, devi fare quello che ami veramente e cercare di essere il più felice possibile, perché la vita fugge in un attimo. Ho compreso queste cose in modo molto traumatico, quando mio padre è uscito la mattina per comperare il pane e non è più tornato. Un infarto l’ha stroncato in mezzo alla strada. Così ho deciso di osare, di assaporare ogni istante della vita come dovessi morire domani. E vivo l’oggi con semplicità, godendo delle piccole cose.

…godendo delle piccole cose

D) Ora veniamo a Casa Rangoni, più che una casa un Centro Culturale per la promozione del territorio e del ben-essere psico-fisico. Come ti è nata l’idea, e quali i prossimi progetti in programma?

R) L’idea è sorta giorno dopo giorno, crescendo in silenzio. Da quando mi sono trasferita sui Colli Bolognesi, gli amici che mi venivano a trovare dicevano, tutti (e ribadisco: tutti) “Qui si sta proprio bene, ci si rigenera”. Così ho pensato che fosse proprio questo il “potere magico” di Casa Rangoni: far stare bene le persone. Ci siamo allontanati molto dalla natura, e stare qui, scegliersi il proprio pomodoro dall’orto, andare a prendere la legna per accendere il camino, camminare tra le rose, assaporare piatti semplici ma ricchi di storie da raccontare, riavvicina le persone a un modo di vivere più umano, più armonico con i lenti ritmi della terra. Ben-essere vuol dire questo: stare bene con se stessi, rigenerarsi, imparare ad ascoltare e ascoltarsi. Dopo tanti anni di studi, dopo tanti libri scritti, ora sono pronta a trasmettere quello che ho imparato a chi vuole ascoltare e provare a vivere in modo più olistico. Quindi in progetto ci sono dei per-corsi per imparare a stare bene con se stessi, a godere del miele e del vino con degustazioni che nulla hanno di tecnico, di cucina di cibi antichi, tradizionali, genuini e semplici, di coltivazione e uso delle erbe aromatiche e officinali, di fitoalimurgia…

Casa Rangoni - esterni

…un modo di vivere più umano, più armonico con i lenti ritmi della terra

D) Da ragazzina mio padre, per farmi vincere la timidezza che mi portava a isolarmi, mi regalò un cucciolo. Un cagnolino che, oltre a rendermi felice, per la prima volta mi fece sentire responsabile di una creatura. Siamo un paese non ancora adeguatamente educato all’accoglienza dei migliori amici dell’uomo, nonostante il loro aiuto terapeutico sia ormai accertato e riconosciuto in molte cure. Ritengo che la civiltà di una nazione si riconosca anche attraverso il rispetto e l’educazione verso gli animali. Per farlo si dovrebbe partire dalla scuola. Cosa ne pensi?

R) Penso sia verissimo. Tutti coloro che mi conoscono, attraverso i social o FaceBook, o i miei libri sanno che sono una gattara impenitente, e il mio cane Morgana è ormai diventata una star del web :-). Amo gli animali, ma senza esagerazioni, rispettando la loro natura. Questo si dovrebbe insegnare ai bambini, mostrare loro che cani e gatti non sono giocattoli, ma persone con i loro diritti e i loro pensieri. E spiegare loro che tutte le creature “servono” in natura, persino le zanzare… Forse si eviterebbero tante brutture e assurdità, come la recente proposta di abbattere l’orsa che, per difendere i cuccioli, ha attaccato quell’incauto cercatore di funghi…

Uno dei gatti di Laura

…tutte le creature “servono” in natura

D) Dico spesso che ‘amo più mangiare che cucinare’. Lo dico in senso ironico, visto che nel cibo e nel vino amo soprattutto ricercare le storie, le tradizioni e le emozioni che suscitano. Veniamo a te: Laura Rangoni, non una cuoca, ma una donna che studia, ricerca, cucina e scrive. Sbaglio?

R) Esatto. Non sono una cuoca, non ho le basi tecniche di uno chef, e non lo farei mai come lavoro. Ma amo il cibo perché portatore di significati culturali e antropologici. Il cibo rappresenta il primo fattore dell’identità di un popolo, viene prima ancora della lingua e della religione, secondo me. Amo ricercare gli antichi sapori, soprattutto della mia terra, e dei luoghi del mondo che ho amato profondamente, amo cucinare come si faceva un tempo, sulla stufa economica, usando attrezzi antichi. Impasto a mano, trito a mano, taglio a mano. Non posseggo nemmeno un robot da cucina e la mia “dotazione” di pentole è da museo. Amo il cibo semplice, quello che chiamo il “cibo della fame”, tradizionale, povero, con ingredienti reperibili sul territorio. Troppo spesso abbiamo dimenticato piatti poveri, la zuppa di pane, tanto per farti un esempio. Nei miei corsi insegno proprio questo: a recuperare sapori antichi, che hanno una storia da raccontare, una storia che sa di sere passate davanti al fuoco, di fiabe narrate nella penombra, o di dura fatica per convincere la terra a donarci verdure e frutti…

Poi, per lavoro, ho studiato anche cibi più sofisticati, etnici e simili, ma questo è un altro discorso.

Cena sotto le stelle 10 Agosto Tagliatelle

…il cibo rappresenta il primo fattore dell’identità di un popolo

D) E’ mia abitudine fotografare tutto ciò che mi piace e condividerlo, perché il bello e il buono deve essere diffuso. A Casa Rangoni, tra le tue colline, ho fotografato molte varietà di fiori. In particolare, amando la medicina naturale, mi affascinano le piante officinali. Vorrei che si organizzassero più corsi per far conoscere le molte proprietà delle piante terapeutiche. Questo per  allontanare le persone dai facili rimedi farmaceutici chimici, non sempre necessari. A quando il primo corso?

R) Non appena spunteranno le erbe, a primavera! Ma, non essendo medico, non voglio parlare di terapie, e non farò corsi di fitoterapia. Preferisco considerare le piante, sia spontanee che officinali, come facilitatori del ben-essere. Lo sono anche i fiori: coltivare un giardino o un orto è come coltivare la propria anima…

...coltivare un giardino o un orto è come coltivare la propria anima…

…coltivare un giardino o un orto è come coltivare la propria anima

Associazione Culturale Casa Rangoni

Savigno (BO)   www.casarangoni.it

 




Dante Cattaneo, il sindaco-spazzino di Ceriano Laghetto

Oggi vi presento Dante Cattaneo, il giovane sindaco di Ceriano Laghetto, in provincia di Monza e Brianza, che ho conosciuto qualche mese fa durante la ‘Giornata della Fioritura’ al Frutteto del Parco.  Perché ve ne parlo? Perché insieme a un gruppo di volontari, durante il mese di Agosto, ha contribuito a migliorare l’ambiente pulendo le aiuole del paese che amministra.

Un modo per avvicinarsi ai cittadini, conoscerli e confrontarsi, per discutere sulle tematiche le cui soluzioni migliorano iDante Cattaneo servizi della città. Ascoltando le persone ci si arricchisce di esperienze che, se messe a frutto, permettono di migliorarci dando un senso al nostro lavoro. Io stessa, per i miei scritti, ritengo queste fonti indispensabili. Per il primo cittadino, un esempio su come riportare il ruolo del sindaco al ruolo che era e che dovrebbe essere.

Molti penseranno alla trovata pubblicitaria. Per quanto mi riguarda ne ho voluto scrivere solo perché vorrei che i rappresentanti delle istituzioni fossero più vicini alla gente. Sull’operato di Dante poi, il tempo ci dirà chi ha torto o ha ragione. Nel frattempo, anziché stare a guardare, impariamo tutti a tirarci su le maniche per salvaguardare i nostri territori!

Ma ora a lui la parola…

  • Ciao Dante, racconti brevemente a chi non ti conosce il percorso che ti ha portato a diventare sindaco?

Sono appassionato di politica e del mio paese da sempre. Nel 2004 fui eletto Consigliere comunale a soli 21 anni nelle file della Lega Nord, movimento a cui sono iscritto sin da giovanissimo. Nel 2009, a 26 anni appena compiuti, sono stato eletto Sindaco di Ceriano Laghetto, dove vivo da sempre, e riconfermato nel 2014 per il secondo mandato.

  • Hai passato una parte del mese di Agosto a estirpare piante infestanti dalle aiuole della città che amministri. A dire la verità per me infestante è ben altro… Comunque sia, sono convinta che questa esperienza ti abbia permesso di avvicinarti alla realtà della gente comune. Come ti è nata questa idea?

E’ nata in modo molto naturale. Dal 2009 a Ceriano esiste un gruppo comunale di volontari che si chiama G.S.T. (Gruppo di supporto territoriale), che aiuta gratuitamente il Comune con un’infinita di opere e azioni: controllo del territorio, piccole manutenzioni, pulizia, supporto durante le manifestazioni, aiuto alla viabilità. Io sono uno di loro e ho voluto dedicare parte del mio tempo libero, in un mese particolare come quello di agosto, alla comunità. Amo vedere il mio paese pulito e ordinato, e non avendo risorse per affidare lavori a giardinieri o ditte esterne, ci rimbocchiamo le mani in prima persona.

La squadra

La squadra

  • Mi racconti qualche aneddoto significativo che ti è capitato in questo periodo di ‘pulizia stradale’?

Gli aneddoti sono tutti relativi al rapporto con le persone che si son fermate vedendomi lavorare sulle strade. Tanti mi hanno ringraziato, si sono complimentati ed alcuni sono usciti dalle case e si sono uniti a noi per ripulire il paese. Tanta generosità e riconoscenza, tanti inviti per bere una bibita o un caffè, poiché la gente ha riconosciuto la positività del nostro esempio.

  • Tra le piante che hai estirpato ricordo di aver visto l’immagine di una piantina di rucola selvatica che hai ripiantato nel tuo giardino di casa. Ho saputo che come me ti piace molto. Io la uso per preparare un sughetto con i pomodorini veramente sfizioso. E tu?

La mangio in insalata, mista ad altra insalata rigorosamente verde, o ancora meglio da sola con olio di oliva taggiasca, aceto di mele e sale. Mi piace il suo gusto piccantino.

Rucola selvatica

Rucola selvatica

  • Questa estate bizzarra è quasi finita. L’unica cosa che ci rimane è sperare in un autunno migliore. Visti i tuoi precedenti, hai in serbo qualche progetto per i prossimi mesi?

Per i prossimi mesi attualmente ho in mente solo preoccupazioni: amministrare un paese di questi tempi e con uno Stato che complica ancor di più le cose ai Comuni non è mai stato così difficile.

www.dantecattaneo.com

 




Gli italiani, un popolo indisciplinato

E’ sabato, qui al nord continua a piovere. Questa strana estate del 2014 sembra quasi sentire gli umori della gente. Mah, sto pensando al da farsi? Volevo andare al lago, passeggiare guardando le montagne e godermi un po’ di sole. E invece no! Allora leggo. Niente di buono. Sul web l’informazione ci ricorda che siamo in deflazione, neanche non ce ne fossimo accorti. Come spiega Wikipedia: “La deflazione è una diminuzione dei prezzi. Deriva dalla debolezza della domanda dei beni e dei servizi.” E come potrebbe essere altrimenti…

Per rimediare potremmo agire sulla spesa, leggendo meglio le etichette, e soprattutto la provenienza dei prodotti. Ovviamente portafoglio permettendo, visto che i sacrifici li stanno facendo soprattutto i produttori e i consumatori, i cui portafogli vengono svuotati dalle tasse. Ricordo ai signori delle istituzioni, anche se lo sanno bene, che abbiamo il record anche di quelle! Se almeno loro dessero l’esempio! Ahh la mia povera Italia, quella dei miei nonni, il paese bello e ricco di tante risorse, tranne che di disciplina e di saggezza…

Meglio che continui a leggere va… Altra notizia: “Con le azioni inserite nello ‪Sblocca Italia – dichiara all’Ansa il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina – aiuteremo le aziende a fare un salto di qualità e aumentare il fatturato delle esportazioni con nuovi strumenti di promozione e di tutela del ‪‎Made in Italy ‪ ‎agroalimentare. Puntiamo a rendere più facilmente riconoscibile l’origine dei nostri prodotti e a rafforzare la lotta al falso Made in Italy”. Fonte Ansa Terra&Gusto del 29 Agosto 2014.

Una notizia che ho condiviso e che ha scaldato gli animi. Riporto alcuni commenti.

Arnaldo da Brescia: “Il salto di qualità!!! Vuol dire buttarsi dal ponte di Londra piuttosto che da uno sul Po…”

Salvatore Accurso Tagano: “Spero che sia vero. Continuiamo a fare entrare formaggi, latticini, salumi e tanto altro, da tutti i paesi del mondo, con nomi dei prodotti italiani. I più clamorosi sono il Parmigiano, il Grana e la Mozzarella. Se le etichette fossero chiare e ben leggibili, gli italiani si renderebbero conto di quanta immondizia mangiano.

Matteo Scibilia: “Non sono convinto che agli italiani interessi riconoscere un prodotto piuttosto che un altro… in fondo sono già riconoscibili i prodotti stranieri dai prodotti italiani.

Gian Carlo Spadoni: “In questa ottica agro alimentare dovrebbero essere coinvolti anche i ristoratori, con nuove regole per le insegne di cucina Italiana, con l’obbligo di Cuochi di Scuola Italiana, e l’utilizzo del 90% di prodotti Italiani. Allora si che tutto farebbe “sistema”. Perché se si mette tutto nelle mani del consumatore finisce come nelle liberalizzazioni sul commercio della ristorazione.”

Che dire… forse solo che un esame di coscienza sui nostri comportamenti dovremmo farlo tutti. In questi giorni di rientri, nei racconti che ho ascoltato da diverse persone tornate dall’estero, si intuisce facilmente quanto, sia i servizi che il senso civico di molti paesi, sia migliore del nostro.

Gli italiani, ahimè, sono un popolo indisciplinato. Il motivo è presto detto: non sappiamo rispettare le regole. Ma non solo, purtroppo continuiamo a interessarci come si suol dire, solo al ‘nostro orticello’. La cosa divertente è che siamo proprio noi stessi a rimarcare la cosa.

Quindi, che fare? Sulle produzioni devono intervenire pesantemente e nell’immediato le istituzioni di competenza, alleggerendo i meccanismi della burocrazia, e garantendo l’autenticità dei prodotti italiani con marchi facilmente intuibili. Spero vivamente che questi ultimi provvedimenti del Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina siano efficaci in tal senso.

Riguardo alla disciplina, che ahimè latita, va reintrodotta in modo prioritario l’Educazione Civica, materia scolastica istituita da Aldo Moro nel 1958 in tutte le scuole, e attualmente inserita solo come appendice in altre materie. I risultati conseguenti a tale mancanza sono sotto gli occhi di tutti…

Forse resta solo da sperare che, vista la grave situazione in cui ci troviamo, qualcosa di decisivo venga fatto. Nel frattempo, visto che non è ancora uscito il sole, mi consolerò facendo una torta di mele, quelle del mio albero. 😉

 




Ferruccio Lamborghini, una fantastica storia di motori e di vino iniziata costruendo un trattore.

Si racconta che Enzo Ferrari un giorno, rivolgendosi a Ferruccio Lamborghini disse: “Tu continua a costruire trattori e a me lascia costruire le macchine sportive.” Enzo Ferrari però era solito anche dire: “Se lo puoi sognare lo puoi fare”.

Museo Lamborghini 1 - CopiaFerruccio Lamborghini, classe 1916, fondatore storico della Lamborghini Automobili. Figlio di agricoltori ma con la meccanica nel DNA. Una passione per le auto che comprendo e condivido. Il piacere della guida nasce con noi, è indice di libertà, è viaggio e spensieratezza. Per me, per mio figlio e per molti altri, è così.

Qualche giorno fa, guidata da Fabio Lamborghini, nipote del grande Ferruccio, ho avuto il piacere di visitare il museo nato da un’idea del figlio Tonino, oggi impegnato in attività di lifestyle. Nei 5000 mq espositivi del nuovo forum inaugurato il 27 Maggio 2014, ho potuto ammirare oltre a dodici prototipi originali la mitica MiuraSV personale di  Ferruccio, il suo elicottero,  l’avveniristica Countach del ’74, la golf car usata da Papa Karol Wojtyla, un Off Shore con motori marini Lamborghini pluricampioni, e molto altro della produzione storica di un genio italiano che ci ha resi famosi nel mondo.

Oggi, per chi ancora non lo conosce, vi racconterò un po’ di lui…

Ferruccio Lamborghini fece la sua prima officina nella stalla di casa a Renazzo, in provincia di Ferrara. Dopo la guerra, partendo dalle esigenze della campagna, costruì il primo trattore a basso costo, il Carioca, un termine usato nella zona per indicare un prodotto assemblato con pezzi già esistenti e modificati. Era infatti costruito con residui bellici della guerra appena conclusa.

Un trattore accessibile a tutti, presentato per la prima volta alla Fiera di San Biagio di Cento. L’unico ‘neo’ era il motore a benzina, quindi non a basso costo. Fu per quello che decise di progettare un componente chiamato ‘vaporizzatore’ in modo da permettere al motore di funzionare a petrolio. La benzina serviva solo nella fase iniziale per l’accensione. Quattro cilindri nel primo modello del 1946, e sei nel successivo del 1947, più potente.

Amando le macchine sportive e l’alta velocità, nel 1946 decise di modificare la sua Topolino Museo Lamborghini 1sia nella carrozzeria che nel motore, fino a farle raggiungere i 140 km all’ora. Con quest’auto,  ancora funzionante e presente nel museo dell’azienda, gareggiò nel 1948 alle Mille Miglia. Sul frontale è visibile il primo logo usato dalla casa, un triangolo con tre lettere FLC (Ferruccio Lamborghini Cento), poi sostituito nel 1963 con il marchio del ‘toro’, segno zodiacale di Ferruccio.

Fabio Lamborghini, Direttore del museo omonimo, nel condurmi alla vista mi ha raccontato quando Ferruccio, sulla sua Ferrari 250 Gt, sostituì la frizione originale difettosa con quella più robusta di un trattore Lamborghini, risolvendo brillantemente il problema. Nel Maggio del 1963, dopo aver acquistato un terreno a Sant’Agata Bolognese a 25 km dal capoluogo emiliano, decise di costruirsi da solo le sue auto sportive. Nasce così ‘Lamborghini Automobili’, e inizia la produzione di una serie di auto tra le più belle al mondo.

Nel 1971, durante un viaggio in Umbria, Ferruccio incantato dalla bellezza delle terre del cuore verde d’Italia, decise di comprare una tenuta e investire nell’agricoltura e nella produzione vinicola creando un Resort con Golf Club annesso. Un’attività che dagli anni ’90 continua con la gestione della figlia Patrizia.

Nonostante la proprietà della Lamborghini Automobili non sia più italiana da anni, l’anima di questo marchio per me rimane tale. Molte aziende ormai sono proprietà di multinazionali straniere, colpa della difficoltà di fare impresa in Italia, e non certo dei nostri bravi artigiani. Ferruccio Lamborghini è morto il 20 Febbraio del 1993. Di lui rimangono le sue importanti creazioni.

Vi lascio alle immagini e ai sogni rombanti…

www.museolamborghini.com
reservation@museolamborghini.com

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Un po’ di chiarezza nella produzione del riso, ma non solo… Oggi risponde alle mie domande Dino Massignani.

In questo articolo parleremo di fanghi di depurazione usati in agricoltura, di regole comuni nella produzione del riso, del suo essicamento e di antiche varietà. Ma anche di miele e di un prodotto a cui tengo molto: il Farinaccio. Chi vuole essere consumatore consapevole e informato ha gli strumenti per farlo. 

Conosco da tempo Dino Massignani, il Direttore dell’Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo. Nonostante ciò, la molla che mi ha spinto a visitare questa realtà produttiva di riso è scattata quando ho visto alcune immagini della Riserva, ma soprattutto dopo una recente chiacchierata con Dino a proposito di ‘fanghi’. Esattamente così, fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura. Una questione melmosa, o meglio, una questione di riciclo a mio parere poco chiara. A dirla tutta, dopo averlo ascoltato, ho capito che di chiarezza ce né ben poca in molte cose, anche nella produzione del riso.

L’unica cosa certa che vi posso dire è quello che hanno visto i miei occhi: un ambiente naturalmente bello e incontaminato. Un perfetto ecosistema con una vasta superfice boschiva naturale, tra fauna, rogge, paludi, campi agricoli, risaie e alberi da frutta. Un’area del Parco Lombardo della Valle del Ticino che nel 2004 è stata riconosciuta Sito di Interesse Comunitario. Una Riserva di protezione speciale per la salvaguardia di diverse specie animali e vegetali protette dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura delle specie minacciate.

Dino Massignani

Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo

E’ questo l’ambiente in cui nasce il riso della Riserva San Massimo. Ben 800 ettari di proprietà (e quasi altrettanto in affitto) in cui vengono utilizzate antiche procedure nel rispetto della struttura del terreno e dell’habitat naturale. Per tutto ciò è fondamentale che la mano dell’uomo intervenga in modo saggio e sapiente. L’esperienza è fondamentale, soprattutto in un momento come questo in cui le condizioni climatiche sono particolarmente mutevoli.

Una vita dedicata all’agricoltura che richiede dedizione, amore e rispetto per la natura. Nonostante io prenda un po’ in giro Dino Massignani (lo chiamano il Cracco del riso), ho potuto constatare quanto prenda seriamente il suo lavoro. Nato da una famiglia di agricoltori, non poteva avere altro destino. Come dico spesso… la terra chiama chi ama la terra.

Questa felce è l'Osmunda Regalis. Una specie protetta e anti inquinamento. È infatti capace di assorbire sostanze nocive inquinanti. Osmunda ha origine da Osmùnder

Questa felce presente nella riserva è l’Osmunda Regalis. Una specie protetta e anti inquinamento. È infatti capace di assorbire sostanze nocive inquinanti.

Ma ora a lui la parola…

  • Ciao Dino, iniziamo ad approfondire la questione dei fanghi di depurazione. Io stessa non ne ero a conoscenza prima che tu me ne parlassi. Mi spieghi meglio l’origine di questa massa riciclata in agricoltura, ma soprattutto, viene analizzata prima di essere distribuita sui terreni?

Fanghi di depurazione… bel problema. In Italia il nostro parlamento ha legiferato che la massa solida creata dalla lavorazione delle acque degli impianti di depurazione, sia civile che industriale, si possa  distribuire (previa lavorazione e miscela) nei campi agricoli.

Il problema è che chi ne ha fatto uso (stupidamente), si è trovato solo un inquinamento del terreno, soprattutto di metalli pesanti.  La legge prevede che il controllore di questo spandimento sia la medesima azienda che paga l’agricoltore per poter distribuire queste sostanze sui suoi terreni. L’unico obbligo è quello di consegnare le analisi di ogni campo fatte prima e post spandimento.

Puoi capire facilmente che fare il controllore di se stesso è da mondo delle favole. Ti pare che le società se trovano indici di inquinamento nel terreno si autodenuncino? Ti dico solo che in alcuni anni i cereali seminati non sono neanche cresciuti, oppure durante il ciclo vegetativo le piante si ammalavano a tal punto che l’agricoltore doveva intervenire triplicando i trattamenti (chimici) per salvare parte del raccolto.

Ecosistema della Riserva San Massimo

La Riserva San Massimo, un ecosistema perfetto

  • Come ho già scritto, dopo averti ascoltato, ho capito che di chiarezza anche nella produzione del riso ce né ben poca.  Questo spiegherebbe facilmente le differenze nei costi finali del riso che purtroppo il consumatore non riesce a percepire. Sbaglio?

Esatto, il mondo del riso è molto nebuloso, e molti ne beneficiano, anche i più impensabili. Basti pensare che non c’è obbligo di tracciabilità del prodotto. Pensa che da qualsiasi parte del mondo arrivi l’azienda intestataria del confezionamento, non è obbligata a menzionare la provenienza.

Non ci sono controlli sui valori dei fitosanitari (questo avviene anche sui cereali usati per la pasta), ed è ancora concessa l’essicazione a gasolio nonostante rilasci una quantità di metalli pesanti sul chicco. Chiaramente viene privilegiata dalle aziende per gli sgravi fiscali che ne derivano rispetto al prezzo intero che pagano per la fornitura del gas.

La beffa più grande per il consumatore poi, è relativa alla denominazione di vendita siglata sulla scatola. Va chiarito che non è riferita alla varietà confezionata. Mi spiego meglio: ogni denominazione di vendita siglata sulla scatola non garantisce la varietà al suo interno, perché un decreto legge permette di inscatolare altre varietà e spacciarle come tali. Un decreto legge che avvantaggia solo i furbi che vogliono tenere all’oscuro il consumatore.

Riso Baldo Riserva San Massimo, ideale per le minestre

Riso Baldo Superfino Riserva San Massimo, ideale per minestre

  • Mi piace andare all’origine di ogni cosa, mi serve per capire. La stessa cosa vale per le produzioni. Tutto nasce dal seme. Mi hai detto che il vostro è certificato. Che cosa garantisce questa certificazione?

Per poter vendere una varietà di riso ogni azienda, ad inizio stagione, deve dichiarare all’ENTE RISI le superfici seminate con la specifica della varietà. Questo serve solo per far sapere alle riserie, che venderanno il riso, quanta disponibilità c’è nell’arco dell’anno di quella determinata varietà.

Ma soprattutto serve per la volontà, che si prefiggono da anni, di uniformare il cereale riso (hanno molta voce in capitolo all’interno dell’ ENTE RISI).

Noi, proprio per tutelarci, ci autoriproduciamo il seme del Carnaroli Autentico che anni fa acquistammo da un anziano agricoltore e che ci viene certificato dall’E.N.S.E. (Ente Naz. Le Sementi Elette) che ne garantisce l’autenticità.

Risaia

Risaie

  • Ora parliamo di essicazione del riso. Molti non sanno che può avvenire con l’ausilio di impianti a gas metano (il sistema usato da voi) o a gasolio. Certo, comporta una differenza sui costi finali, ma anche sul chicco e sulla nostra salute. Dico bene?

Certo, in agricoltura ci sono delle agevolazioni sull’acquisto del gasolio per l’uso dei mezzi agricoli, e in azienda quando è utilizzato per l’essicazione dei cereali. Purtroppo il gasolio rilascia paraffine e PM 10 (Materia Particolata, cioè in piccole particelle) quindi non è per nulla salutare usarlo per essiccare il riso.

Mi spiego. L’aria riscaldata dal bruciatore va a contatto con i chicchi penetrandoli. Il processo di essicazione avviene per ridurre la percentuale di umidità degli stessi, che per legge deve essere del 11-12 % con sbalzo termico. E’ per offrire una qualità del prodotto di gran lunga superiore che abbiamo deciso di utilizzare esclusivamente l’essicamento con il gas, nonostante il suo costo sia a prezzo pieno senza agevolazioni.

Azienda Agricola Riserva San Massimo

Silos arieggiati con riciclo d’aria in cui il cereale non appoggia a terra

  • Gli italiani conoscono per lo più il riso Carnaroli, la varietà ideale per i risotti. In realtà ce ne sono molte altre. Ad esempio la varietà antica di riso ‘Rosa Marchetti’ di tua produzione, ideale per le minestre. Come mai ci sono pochi coltivatori che ci si dedicano?

 Il ‘Rosa Marchetti’ è una varietà antica abbandonata dagli agricoltori in quanto raggiunta la maturazione, si alletta (intreccia) facilmente. Quest’anno stiamo sperimentando una concimazione con la decomposizione organica delle erbe, escludendo totalmente l’uso di prodotti chimici. Sicuramente produrremo 1/5 di quello che producono le altre aziende, ma sarà un Rosa Marchetti unico per sanita e bontà.

  • Passeggiando ho visto tantissime instancabili lavoratrici operose: le api. Parliamo di miele, intendo il tuo…

 La Riserva San Massimo è una realtà ambientale unica per la sua biodiversità che noi garantiamo giornalmente attivandoci per tutelarla. Questo ha fatto si che negli ultimi anni sia diventata meta, oltre che di visitatori e professori di Università, di apicultori che vivono problemi di sopravvivenza delle api locate in altri luoghi. Per questo motivo abbiamo deciso di cercare persone serie che abbiano la nostra stessa filosofia sul rispetto per le forme viventi, per produrre del miele.

La scelta è ricaduta sulle dottoresse Marianna Paulis e Tui Anna Neri, le quali da subito hanno spostato tutte le loro arnie a San Massimo, intraprendendo un lavoro scrupoloso e di qualità, ed escludendo ogni trattamento chimico sulle api (questo non è scontato, anzi…)

Alimentando le api a miele, e non con panetti con prodotti chimici o con acqua e zucchero, ha portato nel tempo oltre che ad avere un prodotto naturale al 100 %, una risposta positiva della forza lavorativa delle api che ha sorpreso anche loro. Qualsiasi essere vivente che viva e si alimenta in un luogo sano, può solo stare bene.

La produzione del miele di acacia, vista la pioggia, si è un po’ ridotta, ma comunque rimane di altissima qualità. Sicuramente non sarà sufficiente per la richiesta. La certezza è che accettiamo questi rischi perché vendiamo solo il nostro prodotto (non ne compriamo sicuramente da altri, per rivenderli come nostri).

Le api. le lavoratrici instancabili della Riserva

Le api. le lavoratrici instancabili della Riserva

  • Un’ultima domanda Dino. C’è un sottoprodotto (così lo chiamano i più anche se per me non lo è affatto), che mi piace molto perché ricco di sostanze nutritive. Amando molto  la medicina naturale e pochissimo i farmaci (ove non necessario) è presto spiegato il motivo. Un ottimo integratore naturale dal sapore di nocciola. C’è chi lo chiama farinaccio e chi gemma di riso. Tu come lo chiami, e soprattutto, lo utilizzi?

Si Cinzia, in gergo tecnico da riseria prende il nome di farinaccio. C’è chi lo spaccia per gemma di riso, anche se solo parzialmente può vantare questa definizione. Infatti una parte è composta dal 1° e 2° pericarpo, cioè la pellicola che ricopre il riso bianco, da non confondere con la lolla, che è la buccia esterna del riso.

Il farinaccio è molto nutriente e sano (ovviamente dipende sempre da chi produce il riso, se non trattato chimicamente, e come viene essiccato). Attenzione alla parola ‘sano’ ormai sulla bocca di tutti. Questa definizione va garantita da analisi. Per rispondere alla tua domanda sull’uso che ne facciamo, ti dico solo che negli ultimi tempi lo abbiamo inviato ad alcuni chef indirizzandoli sulle modalità di utilizzo. Abbiamo altre idee a proposito, che però è ancora presto per rivelare…

Queste sono le risposte di un produttore che ho conosciuto prima ad eventi e poi, come piace a me, di persona sul campo, nella realtà che vive. Con Dino è rimasta in sospeso una promessa. Appena possibile voglio fare un ‘safari nella riserva’. Esattamente così, ho visto una natura incontaminata di tale bellezza che ho bisogno di viverla nuovamente, ma a modo mio: nel silenzio, usando i miei sensi… armata solo della mia macchina fotografica.

Farinaccio Riserva San Massimo: 1/2 pericarpo più gemma di riso

Farinaccio Riserva San Massimo: 1/2 pericarpo più gemma di riso

Omelette di Farinaccio di Riso e Miele

Omelette di Farinaccio di Riso e Miele




Social Veg, la Cucina di Antonio Marchello in chiave Social


Social Veg, un progetto di Antonio Marchello per far conoscere, interagire e preparare un piatto vegano o vegetariano attraverso il web. Antonio, il Robin Food del web, è chiamato così dai suoi allievi per la determinazione con cui si impegna, nel portare nelle case degli italiani, le tecniche della cucina. I vantaggi sono presto detti.

Innanzitutto i costi contenuti rispetto ai corsi tradizionali, poi la possibilità di interagire in chat con la community e lo staff in diretta streaming, e infine, per chi non ha modo di spostarsi fisicamente, l’opportunità di poter accedere da casa propria, ad una vera lezione di cucina.

E’ sufficiente registrarsi su www.socialveg.it. Dopo aver ricevuto una mail con gli ingredienti e il materiale necessario, seguire l’appuntamento su www.socialveg.it/diretta-video. Guidati dalle mani esperte di Antonio in meno di un’ora insieme, verrà realizzato il piatto del giorno.

Quando mi è stata segnalata questa iniziativa, ho voluto conoscere come mi è consueto fare, la persona protagonista del progetto: Vi presento Antonio Marchello. 🙂

Antonio Marchello - Fotografia di Monica Placanica

Antonio Marchello

Antonio ha vissuto sin da piccolo la cucina grazie alla passione che gli ha trasmesso sua madre. Un’ottima cuoca che lo ha educato alla cucina come luogo ideale per riunire tutta la famiglia. Un ambiente che da allora, in un certo senso, non lo ha mai abbandonato.

Già dai tempi scolastici, durante le vacanze estive, ha cominciato a formarsi lavorando in diversi ristoranti fino a quando, a ventiquattro anni, la decisione di aprirne uno tutto suo. Le successive esperienze all’estero sono state poi determinanti nelle scelte e nei cambiamenti di rotta.

Tornato in Italia, dopo un periodo lavorativo passato a New York, la decisione di lasciare il ristorante per diventare un personal chef  ha dato una nuova svolta alla sua vita. L’idea di essere a casa delle persone per poter cucinare su misura, entrando in qualche modo più direttamente nelle loro vite, lo attirava molto. La verità è che le persone creative hanno bisogno di continui stimoli. Una necessità che capisco molto bene, e di cui io stessa non riesco a fare a meno.

Da poco, oltre alla nuova avventura di social kitchen e social veg, ha soddisfatto un’altra sua grande passione: il teatro. Insieme a MaxPisu, per la produzione Bananas-Zelig, sta portando in tour lo spettacolo teatrale “Max ter Chef” che lo vede protagonista sul palco in uno showcooking in salsa comica.

Per Antonio la chiave giusta è tutta qui: divertirsi lavorando. Ora che lo conoscete un po’ meglio direi che è proprio il caso di passare a lui la parola.

  • Antonio, vogliamo parlare di Social Veg?

Certo Cinzia! Come per social kitchen, anche Social Veg offre ad ognuno la possibilità di cucinare in diretta con noi, da casa propria, senza trucco e senza inganno. Stessi ingredienti, stessa attrezzatura, stessi tempi e stessa voglia di passare insieme un po’ di tempo in cucina. Alla fine avremo preparato tutti un buon piatto da portare a tavola e da degustare da soli o in compagnia.

Social Veg

  • Social Veg è nato dopo Social Kitchen. Com’è andata la tua prima esperienza con la cucina social sul web?

Gli inizi non sono stati semplici. Quando raccontavo la mia idea spesso mi sentivo dire che non avrebbe funzionato e che nessuno si sarebbe messo ai fornelli insieme a me seguendomi sul web. Ma io non  ho desistito, finché un giorno ho incontrato un altro “folle” come me che ha creduto in questo progetto. Da allora Alessandro Lucianò, con la sua Excogitanet, è l’anima tecnologica di Social kitchen e di Social Veg. Credo di aver trovato finalmente un compagno di giochi con cui divertirmi nel creare e progettare sempre qualcosa di nuovo. Le persone a casa lo percepiscono e gli ascolti delle trasmissioni ne sono conferma.

  • Cucinare solo per se stessi porta spesso a non incentivare la voglia di mettersi ai fornelli. Hai suggerimenti per superare questo freno?

Anche in questo caso suggerisco di utilizzare un po’ di fantasia, un ingrediente essenziale per me. Dimenticate di essere soli. Piuttosto mandatevi un bell’invito, sia sms, via mail, con un bigliettino, un post it, come preferite. Ma fatelo davvero. Invitatevi a cena! Poi preparatevi qualcosa di buono, apparecchiate per bene e presentatevi al vostro appuntamento ben vestiti e magari con una buona bottiglia di vino. Sono certo che tra tutti gli ospiti che avete potuto ricevere in vita vostra, passare un po’ di tempo con voi stessi vi riserverà delle piacevoli sorprese!

  • Dalle tue parole credo di aver capito che la possibilità di offrire a tutti coloro che si vogliono cimentare in cucina, con un confronto e una condivisione, sia stata la molla che ti ha spinto a sperimentare i canali social di cui tra l’altro io stessa sono un’accanita sostenitrice. E’ così?

Io credo molto nella tecnologia e nel progresso, specie se vengono associati a quell’imprescindibile aspetto umano. La cucina di per sé , è sempre stata in qualche modo condivisione, esattamente come per i social. E’ da questo concetto che è nata l’idea di creare, anche solo virtualmente, la cucina più grande e la tavola più lunga d’Italia, ma non solo, visto che abbiamo un seguito anche dall’estero. Una  vera e propria grande famiglia che mi piace molto!

  • Secondo te c’è speranza per chi come me in cucina è come dire… un pochino una frana?

Certo che c’è speranza, e non solo!  Come diciamo noi a social kitchen e a social veg “la cucina deve essere alla portata di tutti”. Cucinare per credere… Anzi, sei ufficialmente invitata a cucinare con me in diretta!

Caspita, sono stata sfidata! A questo punto non mi rimane che accettare! State pronti, ma soprattutto, state collegati su Social Veg! 😉

Fotografie di Monica Placanica

 




E’ tempo di bilanci. Oggetto: Business Plan? Soggetto: Tosini Cinzia

 

Qualche giorno fa ho fatto un po’ di ordine nei miei archivi.

Chi si occupa di ‘comunicazione’, che sia un blogger, un pubblicista o un giornalista, vive tra dati, appunti, libri, studi, schedari, contatti… per me è così. Prendo molto seriamente quello che faccio. C’è dietro molto lavoro, viaggi, ricerca, costi, conoscenza, delusioni, emozioni…

Ebbene, mi è capitata in mano un’analisi che, a mia insaputa, senza quasi rendermene conto, mi è stata fatta circa un anno fa. In seguito, poi, mi è stata consegnata con uno scritto su tre fogli. Si, sono stata analizzata, non l’ho chiesto, e non so ancora bene il perché. Sono stata sottoposta a questa indagine come per capire se fossi una persona su cui investire, o forse meglio, da utilizzare.

Mi spiego. Una donna, tempo fa, mi si è avvicinata dimostrando amicizia ed interesse per ciò che facevo. Non ho segreti… vivo alla luce del sole, quindi, vista la sua gentilezza, non ho avuto problemi ad aprirle le porte di casa. In realtà ero sotto analisi. Il risultato con mia sorpresa mi è stato consegnato tempo dopo con uno scritto definito ‘riservato’. Non farò nomi, ma ciò che viene scritto di me, se è riservato o meno, lo decido io.

In sintesi, i miei punti di forza emersi sono (trascrivo testualmente):

  • “Capacità di relazione molto marcata. Riesci a entrare in confidenza con le persone e a farti aprire la porta per entrare. E’ un punto di forza straordinario.” La risposta è semplice, sono sincera e soprattutto me stessa. Non è sempre facile aprirsi. Ma so che la mia esperienza può servire ad altri, e quindi, perché no. Le persone, oggi più che mai, hanno bisogno di onestà, semplicità e soprattutto di fidarsi in qualcuno.
  • “Cultura e buone maniere. Trasmetti entrambe in modo forte, e questa è un’ottima carta.” Mi ripeto, non ci si improvvisa comunicatori, per nulla. Per farlo è necessario vivere il territorio ascoltando i protagonisti che vivono le realtà e le produzioni. Poi ci si completa con la ricerca e lo studio.
  • “Passione determinata, e non solo perché lo dici tu stessa che sei passion-driven, ma perché si percepisce davvero.” Nulla da aggiungere.
  • “Competenza e abilità per un’efficace comunicazione sul web (ricerca SEM e SEO: se ci si affida a te, sei in grado di far trovare subito, con i vari motori di ricerca, il luogo e la persona che segui).” Amo la comunicazione digitale per la possibilità che offre per la promozione dei territori, e per la visibilità che, attraverso di essa, posso dare a chi reputo opportuno far conoscere. Non nascondo che ho incontrato anche persone sbagliate di cui mi sono fidata, fa parte della vita… il tempo è grande rivelatore e provvede a far superare le amarezze.
  • “Scrivi bene, con un tuo stile molto personale, semplice e gradevole.” Ho iniziato a scrivere per caso… ora è una necessità. Scrivo in primis per me, imparando e continuando a farlo.
  • “Fotografia. Sei brava, le foto sono gradevoli, che si tratti persone o di oggetti. Sai cogliere l’essenza.” Più vado avanti e più mi piace. Fotografo tutto, quasi nel timore di perdere ciò che vedo. Condivido per comunicare bellezza.

Tutte cose belle direte. L’unica nota dolente, scritta alla fine delle tre pagine che mi sono state consegnate a sorpresa in una busta, si riassume con un’interpretazione della mia attività con “mancanza di focus, o meglio, con mancanza di chiarezza di obiettivo”.

Forse, dopo quasi quattro anni che svolgo questa attività, è tempo di bilanci e riflessioni. Aveva ragione questa persona? Non so che dirvi. Io so per certo che conosco molto bene quale è il mio obiettivo: comunicare il territorio e soprattutto le persone che ne sono protagoniste. Il mio sogno per il futuro: farne parte attiva.

Questo mio blog è un contenitore di ciò che ho vissuto e imparato in questi ultimi anni. Altro non so, o meglio, forse la nota dolente, non certo per me, che di gran lunga chi ‘snobba le regole di questa società’ (solo quando non le trova giuste), abbia un percorso più lungo e difficile.

Io vivo quello che faccio personalizzandolo con quello che sono e con quello in cui credo. Scrivo quello che vivo se mi passa qualcosa, o se ritengo che debba essere fatto passare un messaggio. La cosa certa è che non riuscirò mai a farlo ‘sotto dettatura’.

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