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C’è chi sogna l’America… io sogno la Trinacria

Ricordando Ragusa… viaggiando ‘a casa’ tra ricordi e sapori.

C’è chi sogna l’America… per quanto mi riguarda nella lista dei miei desideri di viaggio c’è la bella Sicilia, un’isola dalla forma particolare un tempo chiamata Trinacria, simbolo araldico che raffigura una testa femminile con tre gambe piegate. Un nome composto da due termini sanscriti: ‘trna’ giardino e ‘krjia’ creato, il giardino dell’Eden. In realtà, a fine aprile, avevo programmato un bel viaggio itinerante purtroppo annullato per l’emergenza che ha coinvolto e sconvolto l’intero pianeta. Un viaggio sognato ma solo rimandato a tempi migliori. Il meno dei mali in questo periodo drammatico che tutti – chi più, chi meno – stiamo vivendo.

Ebbene, per consolarmi ho voluto rispolverare qualche ricordo di un tour fatto tempo fa a Ragusa. Una città che ho inizialmente conosciuto – come tanti – grazie alla nota serie televisiva tratta dai romanzi del caro Andrea Camilleri.  A dire la verità l’ho voluta visitare anche per la sensazione che fosse un po’ trascurata dai turisti che scelgono la Sicilia come meta di viaggio.

Ragusa, la città dei cento ponti e dei diciotto monumenti Unesco, l’isola nell’isola (capirete il significato di questa definizione dopo averla visitata). Da qualche anno dal punto di vista turistico le cose sono decisamente cambiate. Un successo certamente da attribuire alla ricchezza artistica, paesaggistica e gastronomica, ma anche all’estrema cura della città e alla gentilezza della sua gente. Grande merito di questa crescita, che tra l’altro ha permesso di migliorarne l’accoglienza e i servizi, è certamente da attribuire alla serie televisiva del Commissario Montalbano. Una fiction che oltre a valorizzare il territorio ragusano, ha contribuito a far conoscere alcune ricette della tradizione siciliana. Preparazioni con ingredienti del territorio che durante il mio soggiorno ragusano non mi sono fatta mancare. Arancini, busiate alle sarde, caponata, insalata siciliana (pomodoro, cipolla, capperi e origano), minne di Sant’Agata, pane cunzatu (pane condito), cassate di ricotta… e molti altri ancora.

Visto che domani vivremo tutti una Pasqua ‘blindata’ nelle nostre case, ho deciso di rispolverare i bei ricordi del mio viaggio preparando un dolce antico ragusano tipico del periodo pasquale. Una preparazione fatta di semplici ingredienti che non ha nulla a che vedere con la più ben nota cassata siciliana. Un cestino di pasta ripiena di tuma fresca – la cagliata, la prima fase della produzione del formaggio – e ricotta. 

Cassate di ricotta ragusane

Per il ripieno:

  • 1 kg di tuma
  • 500 gr. di ricotta
  • 450 gr. di zucchero
  • 2 uova
  • cannella, cioccolato e buccia grattugiata di limone

Per l’impasto:

  • 1 kg di farina di semola di grano duro
  • 3 tuorli
  • 50 gr di strutto
  • acqua q.b.

Amalgamare tuma e ricotta (o solo ricotta) con uova e zucchero, quindi aggiungere cannella, buccia di limone grattugiato e scaglie di cioccolato. Il cestino della cassata si prepara impastando la farina con i tuorli d’uovo, lo strutto e lo zucchero e un po’ d’acqua. Ottenuto un impasto omogeneo stenderlo per ricavare dei dischi di circa quindici centimetri di diametro e alcune listarelle di pasta di circa un centimetro che serviranno per rinforzare l’interno dei bordi. Farcire i cestini con la crema di ricotta e infornare per circa quindici minuti a 150°.

Una volta pronte spolverare con un po’ di cannella e scaglie di cioccolato, se di Modica ancora meglio! In abbinamento vi consiglio un buon Marsala secco, vino liquoroso siciliano dalla grande storia.

Buona Pasqua!

Fonte ricetta www.visitvigata.com

 




Regione che vai, amaretto che trovi.

Quando si parla di amaretti, il mio primo ricordo va alla Gisella, la mia nonna paterna mantovana. Un’ottima cuoca amante della tradizione e delle materie prime di qualità. Da ragazzina passavo molto tempo con lei, la seguivo durante le sue preparazioni e l’ascoltavo incantata nei suoi racconti. I nonni sono figure speciali, che, con parole semplici, sanno trasmettere ai bambini insegnamenti che difficilmente si dimenticano col passare degli anni. Tra i suoi piatti, in particolare, ricordo i tortelli di zucca mantovana. Un impasto delicato con un ripieno dal sapore dolce piccante dato dagli amaretti e dalla mostarda piccante.

Il dolce amarognolo degli amaretti.

Gli amaretti oltre ad essere apprezzati semplicemente così, come buoni biscotti, sono anche utilizzati in molte ricette. Il loro sapore dolce amarognolo è dato dalle mandorle e dalle armelline, il seme presente nel nocciolo delle albicocche, di cui però si deve limitare il consumo, affinché non diventi tossico. In provincia di Asti, nell’azienda “Le dolcezze del Pep“, durante una visita ho seguito con interesse le fasi della loro lavorazione artigianale. Un semplice impasto ottenuto con la giusta proporzione di mandorle, armelline, zucchero e albume d’uovo. In Italia la coltivazione del mandorlo, tranne che per alcune eccezioni nel settentrione, è diffusa soprattutto nelle regioni meridionali, territori in cui questa pianta trova il suo habitat ideale.

Regione che vai, amaretto che trovi.

Il Piemonte è la regione italiana che vanta, relativamente a questa tipicità, più preparazioni artigianali. Sono noti gli amaretti di Mombaruzzo, quelli di Valenza, di Acqui, di Gavi e di Ovada. In Liguria sono conosciuti quelli di Sassello e in Lombardia quelli di Saronno e di Gallarate. Nel Modenese vantano una lunga tradizione quelli di Spilamberto, mentre in Sardegna, grazie alla diffusa coltivazione del mandorlo, sono noti gli  “amarettos de mendula”. Solo per citarne alcuni.

Normativa a tutela della denominazione “Amaretto” e  “Amaretto Morbido”.

A tutela del consumatore il Ministero delle Attività Produttive e delle Politiche Agricole e Forestali ha elaborato una normativa, che qui di seguito riporto, a garanzia della denominazione dell’Amaretto e dell’Amaretto Morbido. Per entrambi in etichetta deve essere indicata la percentuale di mandorle e armelline presenti.

  • La denominazione “Amaretto” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta secca avente forma caratteristica tondeggiante, con struttura cristallina e alveolata e superiore screpolata, e gusto tipico di mandorla amara, con eventuale aggiunta di granella di zucchero. Il prodotto presenta una percentuale di umidità inferiore al tre per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%,mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 13% di mandorle complessive, albume d’uovo di gallina.
  •  La denominazione “Amaretto Morbido” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta morbida avente forma caratteristica tondeggiante, con superficie superiore screpolata. Il prodotto deve presentare una percentuale di umidità almeno dell’otto per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%, mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 35% di mandorle complessive; albume d’uovo di gallina. (Le percentuali dei due tipi di mandorle vanno indicate separatamente).

Non ci resta che leggere con molta attenzione le etichette, oppure, per chi volesse cimentarsi, preparare con buoni ingredienti degli amaretti casalinghi.

Amaretti fatti in casa

> Dosi :

  • 200 grammi di mandorle dolci
  • 50 grammi di mandorle amare (o armelline)
  • 180 grammi di zucchero
  • 4 albumi d’uovo

> Preparazione :

  • Sgusciare le mandorle e porle in acqua bollente per un paio di minuti.
  • Pelarle, farle tostare in forno caldo per dieci minuti, e, dopo avere unito lo zucchero, pestarle bene in un mortaio.
  • Aggiungere gli albumi e impastare fino ad ottenere un composto omogeneo da cui si ricaveranno piccoli biscotti rotondi.
  • Porli su una teglia da forno imburrata (o carta da forno), e cuocere a 160 gradi per circa 20 minuti.
  • Gli amaretti, una volta raffreddati, vanno conservati in ambiente asciutto.

Le Dolcezze del Pep – Regione Prata, 95 – Incisa Spatacino (AT)

info@ledolcezzedelpep.com




Un tempo la mia finestra si affacciava su una pianta di fichi…

Confettura di fichi senza zucchero.

Un tempo aprendo la mia finestra mi affacciavo su una pianta di fichi: era un albero del mio giardino. A quell’epoca non avevo una predilezione particolare per questo tipo di frutta. Forse perché era li, anno dopo anno, a mia disposizione. Devo ammettere che quella pianta ora mi manca. In realtà mi mancano tutti gli alberi del mio vecchio giardino a cui allora non davo la giusta importanza. Dare per scontato ciò che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, è un errore che si rivela col tempo. Sono lezioni di vita che impariamo con l’esperienza, e che cerchiamo di trasmettere ai nostri figli, anche se, come noi, lo scopriranno col passare degli anni.

Pochi giorni fa, tornando da Treviso, ho portato con me dei fichi colti da un albero in aperta campagna. Belli e maturi al punto giusto, mi hanno convinto a preparare una perfetta confettura di fichi senza alcuna aggiunta di zucchero (100 % frutta non trattata a cui non ho tolto la buccia). Prima di scrivervi come mi hanno insegnato a farla, farò una breve premessa. Anche se il termine ‘marmellata’ a mio parere ‘sa più di casa’, ed è usato per lo più nel linguaggio comune, è giusto precisare che con esso ci si riferisce ad un composto a base di agrumi e zucchero, come da direttiva dell’Unione Europea. Con qualsiasi altro tipo di frutta, si ottiene una preparazione che prende il nome di ‘confettura’.

Confettura di fichi

  • Ho raccolto 3 kg di fichi ben maturi non trattati.
  • Una volta lavati, ho tolto solo le parti meno morbide della buccia.
  • Quindi li ho tagliati in 4/6 pezzi, e li ho posti a cuocere in una pentola a bordi alti con l’aggiunta del succo di due limoni.
  • Per addensare il composto ho unito una mela gialla a pezzetti con la buccia (contiene pectina naturale).

Confettura di fichi

  • Ho fatto cuocere il tutto a fuoco lento per circa 1 ora e mezza.
  • Nel frattempo ho lavato e sterilizzato i vasetti, coperchi compresi, in acqua bollente per 30 minuti.
  • Una volta che la confettura ha raggiunto la giusta consistenza, l’ho versata nei vasetti riempiendoli per 3/4; li ho chiusi bene, e li ho capovolti fino a che si sono raffreddati.
  • Ora sono a riposo, al fresco e al buio. Un assaggio però l’ho già fatto… 😉

Confettura di fichi

 




Lo sapete quando è nato il rock? Ve lo dico mentre preparo la Spongata

 

Sinceramente prima di partecipare alla serata gastronomica-letteraria svoltasi il 4 Dicembre a ‘Il Garibaldi’ di Cantù, non sapevo neanch’io quando fosse nato il rock. La risposta me l’ha data Ezio Guaitamacchi, giornalista e critico musicale, autore e conduttore radio-tv, fondatore dello storico mensile Jam, scrittore del primo rock thriller italiano ‘Psycho Killer’. Il suo ultimo libro, con prefazione di Renzo Arbore, è per l’appunto dedicato alla ‘Storia del rock’.

Ebbene, la nascita dLa storia del rockel rock secondo gli storici risale al 1954 nel sud degli Stati Uniti. Una musica che ha incarnato la ribellione dei giovani dell’epoca e che ha avuto diverse fasi. Quella di Lou Reed, secondo Ezio Guaitamacchi, è stata unica e particolare.

La sua intervista più emozionante quella con Ray Charles, quella che ancora gli manca con Bob Dylan. Durante la cena ispirata alle tradizioni natalizie di Parma, città degli chef del ristorante, tra una portata e l’altra si è ripercorsa la storia del rock con brani interpretati da Ezio e dalla bravissima cantante Brunella Boschetti Ventura.

Musica e sapori di Parma

La cena è iniziata con la classica Culaccia, una specialità esclusiva del Salumificio Rossi di Sanguinaro di Fontanellato. Un salame senza conservanti ne additivi prodotto solo con cosce di suino nazionale. A seguire gli anolini in brodo a cui io ho aggiunto, seguendo gli insegnamenti di mio nonno Giuseppe (mantovano), del Rosso Dai Vecchi Filari delle storiche Cantine Bergamaschi diTradizioni natalizie di Parma Busseto, terra natale di Giuseppe Verdi.

Un vino prodotto con uve tipiche della Bassa Parmense: Fortana, Lambrusco, Barbera e Croatina. Dopo la mariola cotta (salume tradizionale parmense) con purè di patate e verze in agrodolce, la cena si è conclusa con la spongata, un dolce natalizio dalle antiche tradizione povero ma ricco.

E qui mi fermo, anzi, vi do la ricetta che a mia volta mi sono fatta dare.

Natale 2014

  • Pasta frolla

Iniziamo a preparare la pasta frolla impastando 400 gr. di farina, 200 gr. di burro ammorbidito, 1 bicchiere di vino bianco, 180 gr. di zucchero, 2 uova e un pizzico di sale.

Quindi lasciar riposare l’impasto per un’oretta in frigorifero e stenderlo con un mattarello infarinato formando due dischi, uno di base e uno di copertura. Usare una teglia a bordo basso.

  • Ripieno

Scaldare a bagnomaria 400 gr. di miele. Quindi tritare 200 gr. di noci e unire 100 gr. di pane grattugiato tostato, 100 gr. di uvetta, 100 gr. di pinoli, 100 gr. di cedro candito, 10 gr. di cannella e una spolverata di noce moscata.

Mescolare il tutto col miele, versarlo sulla pasta, e infine ricoprire con il secondo disco. Bucherellare la superfice con piccoli fori, e mettere in forno caldo a 200° per circa 35 minuti.

 La spongata




Siete sicuri di sapere tutto sulle mele? Parliamone davanti a una torta.

Oggi voglio parlare delle mele, il mio frutto delicato, quello dello strudel delle mie colazioni trentine, quello che uso per i dolci che mi riportano all’infanzia. Ebbene, credo che le mele siano il frutto più antico. Quante cose si potrebbero scrivere…

Sicuramente quella più famosa è la mela di Adamo ed Eva, il frutto del peccato, senza parlare poi di quella avvelenata di Biancaneve, o di quella usata nel titolo di un film per evocare il tempo dell’innocenza e della giovinezza.

Vi chiedo dunque: “Cosa vi riporta in mente una mela?” Per quanto mi riguarda mi riporta alla famiglia e alle  belle tradizioni di una volta.

Lo sapevate che…

  • Le mele sono una buona fonte di fibre e per questo un ottimo spuntino con poche calorie, facile da portare con Frutteto.se.
  • Sono ricche di sostanze antiossidanti.
  • Per il loro basso contenuto di zucchero sono ideali per i diabetici.
  • Vista l’alta digeribilità possono essere consumate tranquillamente da chi ha problemi digestivi, anche a fine pasto.
  • E’ consigliabile mangiare le mele con la buccia, solo nel caso in cui si abbia la sicurezza che non siano stati effettuati trattamenti con antiparassitari.
  • Ci sono più di mille varietà, per questo è l’albero più diffuso sulla Terra.

Questo è il tempo delle mele, ne vogliamo parlare davanti a una torta? 

La Torta di mele

Ogni famiglia ha una torta di mele con le sue varianti. Io ne faccio una molto semplice che amo mangiare per colazione. Ecco come la preparo.

Una volta che avete sbattuto tre rossi d’uovo con 150 gr. di zucchero, unite i bianchi montati a neve, e amalgamate con:

– 200 gr. di farina

– 1 bustina di lievito

– 80 gr. di burro tolto per tempo dal frigorifero

– una spolverata di cannella

– mezzo succo di limone

– tre mele tagliate a cubetti

Ponete l’impasto nel forno scaldato a 170 gradi, e portate a cottura per circa 40 minuti.

La mela a colazione




Le frittelle d’Acacia di nonna Vanda

Avete mai fatto le frittelle con i fiori d’Acacia? Questo è il periodo giusto.

Qualche giorno fa li ho raccolti in campagna a Treviso, lontano dallo smog e dal traffico. Mi sono immersa tra il bianco dei grappoli e ne ho aspirato i profumi.

La ricetta di queste frittelle che vi ho scritto qui di seguito, è di una dolce signora di nome Vanda che non dimenticherò mai per il sorriso che mi ha rivolto ogni qual volta che le facevo visita. Da qualche anno ormai ci ha lasciato… ma non nei ricordi.

Fiori d'Acacia

Le frittelle d’Acacia di nonna Vanda

Raccogliete dei grappoli di fiori d’Acacia semi-chiusi in un ambiente non inquinato.

Quindi preparate la pastella con i seguenti ingredienti:

  • 2 uova
  • 5 cucchiai di zucchero
  • 2 bicchieri di acqua frizzante ben ghiacciata
  • 2 cucchiai di olio extra vergine di oliva
  • un pizzico di sale
  • mezza bustina di lievito per dolci
  • mezzo chilo di farina

Amalgamate bene il tutto con una frusta.

Pastella per le frittelle d'Acacia

Una volta ottenuto un composto omogeneo immergete il grappolo d’Acacia (senza lavarlo), e friggete in olio caldo o in strutto di buona qualità.

Frittura d'Acacia

Quindi, dopo aver fatto ben asciugare le frittelle su carta assorbente, spolveratele con zucchero a velo e fiori d’Acacia.

Lo sapevate che questi fiori sono simbolo di speranza d’amore? 😉

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Sapori in Poesia. Le frittelle di Glicine

 

Adoro il glicine e il suo colore. Da ragazzina ho passato molti anni in un luogo dove c’era una siepe infinita di questi fiori. Ricordo che passeggiavo e passeggiavo e… mangiavo i pistilli. Ebbene, qualche sera fa tornando a casa ho visto una nuvola rosa di grappoli di glicine. Di colpo ho bloccato la macchina, come ormai spesso accade quando qualcosa attira la mia attenzione. Non mi voglio perdere nulla, non più. E’ così che ho immerso il naso e ho incominciato ad aspirare. Un profumo delicato ma intenso, che rimane nella memoria, come è successo a me.

Non ho potuto fare a meno di fotografarli e di scrivere li sul posto le mie sensazioni. E’ irrefrenabile ormai questa voglia di fermare i ricordi e le emozioni. Le immagini, se condivise, suscitano a loro volta nelle persone pensieri ed emozioni. Lo sapete che cosa è nata da questa mia condivisione? Una poesia dell’amica Alessandra Paolini, una donna  che produce olio extra vergine di oliva in Calabria, e delle frittelle che mi ha preparato il mio amico cuoco Simone Toninato. Si, perché oltre ad annusare e ad ammirare i grappoli di glicine, ho fatto un piccolo furto fiorito. 😉

In realtà i fiori oltre alla vista ci appagano il palato attraverso molte preparazioni. Laura Rangoni, scrittrice enogastronomica e cuoca in primis, suggerisce l’uso dei petali della magnolia e dell’acacia. Marina Betto, scrittrice, sommelier e appassionata di piante e fiori (ha scritto un libro sul giardinaggio in terrazza), aggiunge che i fiori commestibili sono tantissimi ma devono essere coltivati senza anticrittogamici (prodotti chimici usati contro i parassiti).  La marmellata di rose, le violette candite, il gelato di gelsomino, i nasturzi in insalata… sapori molto particolari a cui non siamo abituati, ma da provare!

Avete mai assaggiato la felicità?

si arrampica,Glicine ricetta
vorace, lungo i tralicci
e riempie di glicine
l’occaso

è fragrante,
croccante,
ed elegante

è copiosa
lungo le nudità
dei tronchi nodosi
che hanno attraversato
tempeste e sterilità

se stringe troppo
il cuore lo incatena
e ricopre
di petali lillà:

è una frittella di glicine
la felicità!

di Alessandra Paolini

    

E se coltivassimo campi di fiori…?




Torta di mele e marmellata di lamponi per… #UnLampoNelCuore

Le donne di Bratunac…  una storia di donne dal sapore di lampone

cartinaHo appena finito di ascoltare Rada Zarcovick, una donna bosniaca nata in un paese che non c’è più. Il suo, un racconto di un massacro che nel 1995 ha sventrato una terra poco lontana da noi: la ex-Jugoslavia. Ottomila persone uccise, per la maggiore uomini.

Donne rimaste sole che hanno trovato la forza di rialzarsi investendo il proprio lavoro nell’antica coltivazione dei lamponi. Donne in rinascita che vivono, lavorano e producono ‘insieme’  in una cooperativa agricola.

Le cose lette della guerra che ha travolto questi popoli mi hanno sempre sconvolta. Non capirò mai come il genere umano può raggiungere soglie di tale crudeltà.

Ebbene, sono stata coinvolta in un movimento di solidarietà di 300 food blogger per aiutare queste donne, dando un senso alla giornata dell’8 Marzo. Il compito di ogni blogger sarà quello di preparare una ricetta a base di lamponi. Accettare è stato un vero piacere, partecipare un  onore.

Con questa iniziativa, i food blogger che aderiscono a “unlamponelcuore” intendono far conoscere il progettoLogo Lamponi di Pace “lamponi di pace” e la Cooperativa Agricola Insieme (coop-insieme.com), nata nel giugno del 2003 per favorire il ritorno a casa delle donne di Bratunac dopo la deportazione successiva al massacro di Srebrenica, nel quale le truppe di Radko Mladic uccisero tutti i loro mariti e i loro figli maschi.

 Per aiutare e sostenere il rientro nelle loro terre devastate dalla guerra civile, dopo circa dieci anni di permanenza nei campi profughi, è nato questo progetto, mirato a riattivare un sistema di microeconomia basato sul recupero dell’antica coltura dei lamponi e sull’organizzazione delle famiglie in piccole cooperative, al fine di ricostruire la trama di un tessuto sociale fondato sull’aiuto reciproco, sul mutuo sostegno, e sulla collaborazione di tutti.

 A distanza di oltre dieci anni dall’inaugurazione del progetto, il sogno di questa cooperativa è diventato una realtà viva e vitale, capace di vita autonoma e simbolo concreto della trasformazione della parola “ritorno” nella scelta del “restare”.

Nonostante non sia una food blogger, oggi mi impegnerò al meglio per fare una torta a base di lamponi. Una preparazione molto semplice che dedicherò a delle donne coraggiose che si sono rimesse in gioco percorrendo la strada dell’agricoltura con la coltivazione dei lamponi.

Lo sapevate che…

  • I lamponi sono ricchi di vitamina C
  • Il loro succo è noto nella medicina naturale per le proprietà benefiche sull’apparato digerente

Torta di mele e marmellata di lampone

UnLampoNelCuoreRicetta

Ingredienti:

– 2 uova
– 150 gr. di farina
– 100 gr. di zucchero
– 100 gr. di marmellata di lamponi
– 1/2 bicchiere di succo di lamponi
– 2 mele tagliate a quadrettini
– 60 gr. di burro ammorbidito
– un pizzico di sale
– una bustina di lievito

 Preparazione:
  • In una terrina sbattere le uova con lo zucchero.
  • Quindi unire uno alla volta tutti gli ingredienti mescolando fino ad ottenere un composto omogeneo che trasferirete in una teglia.
  • Cuocere nel forno precedentemente riscaldato a 180′ per 40 minuti.

Una volta raffreddata tagliare la torta a quadrettoni servendola accompagnata da qualche cucchiaio di marmellata di lamponi.

Una merenda energetica perfetta per la prima colazione!

Cinzia e la cucina

Ecco alcune indicazioni per trovare i prodotti della Cooperativa Agricola Insieme :

– sono distribuiti da Coop-Adriatica e NordEst quindi si trovano più facilmente nel Veneto, Friuli Venezia Giulia, parte dell’Emilia e della Lombardia. I punti vendita che hanno in assortimento i prodotti partono dai 1000 mq in su;

– sono distribuiti anche da Altromercato e dal commercio equosolidale e dal loro sito (altromercato.it) è possibile, tramite anche una richiesta via email, ottenere i punti vendita;

– nel milanese vengono distribuiti da MioBio, un gas molto attivo.

 

Banner  ‘Mai Esteve




Due chiacchiere con un Fornaio Sovversivo, perché c’è pane e… Pane!

La ricetta: “Le Macine”

Sto andando dal fornaio a prendere il pane… lo adoro!

Avete presente quel profumo che si sente entrando in bottega… mmm, meraviglioso!  Ma attenzione, c’è pane e… Pane! 😉

Voglio fare un po’ di chiarezza! Oggi si va dal fornaio, ma per parlare di pane, di farine, di lieviti e… di pasta madre. 

La mia vittima di turno è Massimo Grazioli, un fornaio che ho conosciuto all’ultimo Raduno dei Sovversivi del Gusto.

Dal 1974, data d’apertura della sua bottega, produce con continuità prodotti da forno.

“Il pane, un sapore che ha il gusto della vita e che ti lascia senza parole, che ci accompagna e ci porta a spasso nel tempo. Massimo Grazioli”

Ma ora inforNiamo il pane, ops che ho detto, oggi… inforMiamo! 😉

  • Ciao Massimo, cominciamo dall’inizio, ma come si fa il pane?

Per fare il pane, ma che sia buono, è necessario utilizzare materie prime di qualità.Massimo Grazioli

Primo. L’utilizzo di farine integrali macinate a pietra è fondamentale.

Secondo. Dare la giusta importanza al tempo necessario a far maturare l’impasto, passo fondamentale per sviluppare profumi e aromi, e per renderlo più digeribile.  

Terzo. Il sudore e la fatica di chi fa il pane ti da la sua anima, ma in cambio vuole la tua.

Quarto. Il lievito madre.

  • Parliamo di un fungo. Eh si, proprio un fungo, “il lievito”. Dunque, si sente parlare di lievito di birra, di lievito madre… Facciamo un ripassino?

Il lievito madre è una coltura di microrganismi, funghi e batteri vari, il cui metabolismo produce una fermentazione, cioè trasforma gli amidi della farina in anidride carbonica e in alcool, facendo lievitare l’impasto.

La vera peculiarità del lievito madre, è che fra i vari funghi e batteri (le due specie sono cugine), sono presenti batteri lattici e acetici che producono una serie di acidi organici e danno al pane, fatto col lievito madre, caratteristiche uniche in fatto di aroma, digeribilità e conservazione.

A differenza, nel lievito di birra sono presenti solo funghi (Saccaromiceti) che fermentano si, ma producono pochissimi acidi organici. Lo si capisce benissimo dall’aroma del pane.

  • Ora passo ad un argomento che definirei scottante, mi riferisco alle farine. Diciamo che c’è un po’ di confusione tra il consumatore, anche perché tristemente ci sono farine di cattiva e dubbia provenienza. Vuoi parlarmene, e soprattutto, dare qualche consiglio per una scelta più consapevole?

Dal mio punto di vista è fondamentale usare quelle macinate a pietra, che siano integrali,  e che possibilmente provengano da cereali di agricoltura biologica. Da qui ha origine il vero valore del pane per chiunque decida di panificare in modo casalingo o professionale.

Ti confermo poi, che nel mondo delle farine provenienti da mulini industriali, non sempre tutto è chiaro e limpido. Direi a questo punto, che è preferibile acquistarle da piccoli mulini che macinano a pietra, oppure tramite i GAS, o infine nei negozi specializzati tipo Natura Si.

  • Nell’impasto anche l’acqua ha la sua giusta importanza. Tu che acqua usi?

Per l’acqua io uso un dispositivo che la rende più leggera togliendo anche un po’ di calcare.

  • Sale o non sale, nel senso che alcuni lo usano altri no. Quando, come e… quale va usato nel pane?

Si per il sale, e solo sale marino integrale. Io uso il sale di Pirano che è anche meno amaro. La percentuale è del 1,6 % su ogni kg di farina. Inoltre, con le farine integrali più ricche di sapore, se ne ha minore necessità.

Per concludere ti chiedo una ricetta con il pane, una della tradizione, come piace a me! 🙂

Eccoti accontentata Cinzia, ti darò la ricetta per fare “Le Macine

 

Ingredienti :

·       800 gr. di farina macinata a pietra “Le Macine” del Mulino Marino

·       200 gr. di segale integrale

·       650 cl. di acqua a 28 °

·       400 gr. di lievito naturale a maturazione pronta

·       15   gr. di sale

 

Preparazione :

  • Impastare il tutto, tranne che per il sale, e per 50 gr. di acqua che aggiungeremo solo alla fine per bilanciare.
  • Lavorare l’impasto lentamente fino ad ottenere un panetto  ben formato.
  • E’ fondamentale che la temperatura finale dell’impasto sia di circa 27/28 gradi.
  • Lasciare lievitare al caldo per più di 2 ore.
  • Quindi formare la pagnotta, e lasciarla lievitare per altre 2 ore.
  • Infornare a 210° per 60 minuti.
  • Infine spegnere il forno, lasciando all’interno le macine per altri 10 minuti a sportello socchiuso.

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La Bottega del Pane di Massimo Grazioli

dal 1974

Via Rossini 15 – Legnano (MI)

e-mail: massig61@alice.it




Vino cotto, mosto cotto o… tutti e due?

La ricetta: “Caldidolci al Vin Cot di Quistello”

Vino cotto o mosto cotto? Direi tutti e due, ma siamo sicuri di conoscere la differenza? Per fare un po’ di chiarezza mi  farò aiutare dai produttori.

Recentemente, dopo aver conosciuto meglio entrambi i prodotti, mi sono resa conto che non tutti ne conoscono le differenze. Ambedue ottime produzioni, diverse però sia per densità che per gli usi a cui sono destinate.

Partiamo innanzitutto dal presupposto che ilvino cotto del Picenoè un vero e proprio vino. E’ ottenuto dalla bollitura del mosto dei vitigni di Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, e viene invecchiato in botti di legno di rovere. E’ un vino da dessert, utilizzato anche nella preparazione di dolci e per insaporire le carni. Oltretutto è un ottimo rimedio per curare tosse e raffreddore, e per chi come me, ama la medicina naturale, questo è già un ottimo motivo per parlarne.

Me lo ha fatto conoscere Emanuela Tiberi dell’Azienda Agricola David Tiberi di Loro Piceno, con la quale, durante una serata del girotondo enogastronomico “Per Tutti i Gusti” coordinato da Carlo Vischi, ho avuto modo di chiacchierare.

Passo ora al “vino cotto mantovano” che, nel termine dialettale, viene chiamato “vin cot”. L’ho conosciuto grazie alla cara Paola della Cantina Quistello di Mantova, prima su Twitter, e poi di persona a GourMarte, la manifestazione enogastronomica coordinata da Elio Ghisalberti.

La Cantina sociale di Quistello è una cooperativa costituita nel 1928 da un gruppo di viticoltori la cui produzione si estende lungo le rive del fiume Secchia. Un territorio ricco di antiche tradizioni viticole e gastronomiche che ben conosco e apprezzo per le mie origini paterne mantovane.

Dunque, qui ad aiutarmi a far chiarezza è il loro Presidente, che mi definisce il loro vino cotto non un vino, ma un mosto cotto; è usato come condimento per piatti di carne, per insalate, e anche per dolci.

Come stabilito da disciplinare di produzione del vin cot, la materia prima utilizzata è il mosto d’uva Lambrusco Grappello Ruberti, vitigno storico coltivato nella zona di produzione dell’IGP Quistello. E’ un prodotto con molta concentrazione di zuccheri d’uva e senza alcol.

In conclusione, tornando alla questione che ho posto inizialmente su: “vino cotto o mosto cotto?” direi proprio tutti e due. Utilizzerò il “Vin Cot di Quistello” nella preparazione di un dolce da loro stessi consigliato, e il “Vino Cotto del Piceno” come vino da dessert per accompagnarlo. 😉

“Caldidolci al Vin Cot di Quistello”

  • Ingredienti:

Un litro di latte, 3 bicchieri di farina di mais sottile, un pizzico di sale, zucchero qb, un pezzetto di burro, una manciata di uva passa, pinoli qb, un goccio di Vin Cot di Quistello.

  • Preparazione:

Preparare una polentina portando a ebollizione il latte mentre si aggiunge a pioggia la farina di mais e un pizzico di sale. Rimestare bene, fino a quando la farina sarà cotta. Aggiungete sempre mescolando, lo zucchero, un pezzetto di burro, un goccio di VinCot e per ultimi l’uva passa e i pinoli.

Con la polentina ottenuta formare tanti biscottini ovali e lasciarli riposare per qualche ora. Passateli poi al forno, facendo attenzione a non seccarli.

I “Caldidolci” come dice la parola stessa, vanno serviti caldi.

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