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Lo sapevate che il vino si mette anche nel brodo…

Ebbene si! Me lo ha insegnato mio nonno Giuseppe, un mantovano Doc!

Di lui, oltre alle mitiche carte da gioco che mi ha regalato da bambina, mi rimangono alcuni insegnamenti, come l’abitudine di usare il cucchiaio per arrotolare le tagliatelle, o quella di mettere un pizzico di sale sul melone per renderlo più dolce, o infine, quella di mettere un po’ di vino nel brodo.

Ricordo tanti anni fa, quando, una mattina alzandomi per fare colazione, l’ho visto per la prima volta bere del brodo in cui aveva messo un goccio di vino. Figuratevi la mia faccia…: “Nonno, ma che fai?! Metti il vino nel brodo, e per giunta lo bevi a colazione?!  

Molti sapranno che questa usanza è praticata in alcune province della Lombardia, Emilia e Piemonte. Aggiungere del vino al brodo, intendo quello buono, quello fatto non sicuramente con il dado, per i mantovani e non solo è una vera e propria tradizione! 😉

Detto questo, partendo dal presupposto che il brodo debba essere buono, direi di seguire la ricetta che ci consiglia un caro amico, lo Chef Massimo Dellavedova.

Il Brodo di carne di Massimo Dellavedova

Ingredienti:

  • 1 kg di bovino adulto (reale, punta di petto, polpa di spalla, scamone)
  • 500 gr. cappone (va bene anche il pollo)
  • 1 cipolla grossa
  • 2 gambi di sedano
  • 1 carota media
  • 2 chiodi di garofano
  • 3 foglie di alloro
  • 4 grani di pepe nero
  • Poco sale grosso
  • 4,5 l. di acqua

Preparazione:

  • Mondare verdure e cappone (pollo)
  • Steccare la cipolla con i chiodi di garofano
  • Mettere tutto in una capiente pentola
  • Fate sobbollire per almeno 3 ore schiumando con il mestolo forato ogni volta che si forma la schiuma. Raccomando di non fare bollire.
  • A cottura finita, filtrarlo, aggiustarlo di sale e raffreddarlo. Una volta freddo sgrassarlo. Questa operazione risulta semplice perché la parte grassa si è solidificata in superfice.

In questo modo si otterranno tre litri di brodo.




“Tano, passami l’olio, ma… per il minestrone!”

Chi sa fare il minestrone alzi la mano!  

Direte: “Ehh Cinzia, che ci vuole a farlo!” E invece no! Un buon minestrone se fatto bene, va fatto a regola d’arte… anzi, a regola di Tano! E non è finita… Ora vi chiedo: “Minestrone d’inverno o minestrone tutto l’anno?” Io tutto l’anno… e voi?

Amo il minestrone, d’inverno bello caldo, e d’estate tiepido. Un mega concentrato di verdure di stagione, di vitamine e di sali minerali. Peccato che per molti d’estate sia, come dire… un piatto inadeguato. Io insisto, e comunque me lo faccio!

Ma siamo veramente capaci di fare il minestrone?

Qualche giorno fa si discuteva con lo chef Giancarlo Morelli degli errori che i più fanno nella preparazione del minestrone. Neanche a farlo apposta mi sono ritrovata pochi giorni dopo a riparlarne con lo chef Tano Simonato. Mi ha ribadito l’errore comune, mio compreso, nel procedere alla cottura mettendo insieme tutte le verdure.

Basta, ho deciso, voglio sapere come si fa sul serio il minestrone!

Cinzia,  basta dirlo… ecco la ricetta:

“Il Minestrone freddo di Tano Simonato”

Ingredienti:

  • Per il brodo:

Carote, zucchine, sedano, cipolla bianca, pomodori ramati, basilico, alloro, bacche di ginepro.

Preparazione:

Dopo aver mondato tutte le verdure tagliate a pezzi, lasciare sul fuoco per almeno tre ore a fiamma bassa.

Passare a chinoise (colino) e tenere solo la parte liquida.

  • Per le verdure:

Carote, zucchine, ceci, piselli, patata, fave.

Preparazione:

Mettere a bagno i ceci la sera prima (almeno 18 ore); mettere in cottura e tenerli al dente, circa 50 min.

Mondare le verdure e portare a cottura come segue:

       – Tagliare le carote a concassè e lessare tenendole al dente.

       – Tagliare le zucchine e lessare tenendole al dente.

       – Sbollentare i piselli in acqua già bollente per pochi minuti e tenerli al dente.

       – Sbollentare le fave in acqua già bollente per pochi minuti e tenerle al dente.

       – Sbucciare le patate e tagliarle a concassè e lessare in acqua già bollente e tenerle al dente.

       – Sbucciare una patata e lessarla a lungo, per poterla poi schiacciare con schiacciapatate.

Tutte le verdure vanno salate nell’acqua con poco sale.

Tenere tutto separato sino al momento di preparazione del minestrone.

  • Per il riso:

Portare a cottura in acqua già bollente del riso vialone nano tenendolo al dente; salarlo della metà di una normale cottura.

Preparazione del minestrone:

Mettere la patata schiacciata nel brodo e rimestare; aggiungere tutte le verdure ed infine il riso. Naturalmente tutto a freddo. Aggiustare di sale e un po’ di zucchero.        

Impiattare in fondina e servire con olio evo (extra vergine d’oliva).

 




“La Famiglia Serandrei… una storia Veneziana di terra e di mare”

La ricetta : “Bigoli in salsa con vellututata di Porri e Pane fritto”

Come diceva William Shakespeare, c’è una storia nella vita di tutti gli uomini, e ascoltarle è la mia passione.  Qualche sera fa, seduta accanto a Kim e a Gianni Serandrei, in occasione del 50’ anniversario del Ristorante “La Caravella”,  ho passato piacevolmente una serata ascoltando la storia di una famiglia Veneziana in una città che da sempre mi riempie gli occhi, il cuore e l’anima…

“Senza ricordi non siamo nulla. Così è per i popoli. Gli italiani sono la somma delle esperienze fatte nella Storia. Se si perdono, si ritorna ad essere il volgo confuso che voce non ha. Così è per il vino e per l’enogastronomia. La cucina povera che diviene ricchezza, il vino dei contadini che diventa DOC. Anche questo è Storia. Le nostre radici hanno fatto nascere il popolo Italiano, con le sue tradizioni, con la sua creatività, con le sue eccellenze conosciute nel mondo”. Giorgio Ferrari, Professore di Storia Contemporanea

Era l’anno 1905 quando Zoe Lustig di origine Ungherese, e Ugo Serandrei, nato a Pisa ma trasferitosi a Venezia, si sposarono. Presero in affitto una piccola pensione di otto stanze che chiamarono “Internazionale” e iniziarono  l’attività alberghiera.

Ugo, una volta tornato dalla grande guerra, insieme al figlio Renzo si dedicò all’albergo ampliandolo e migliorandolo. Nel 1908 nasceva l’Hotel Saturnia & International. Saturnia, antico nome virgiliano dell’Italia.

Situato nel cuore della città, tra Piazza San Marco e le Gallerie dell’Accademia, l’hotel era il punto ideale d’incontro per ritornare, dopo la guerra, a quella voglia di normalità che permettesse di riparlare d’arte e di cultura. Sotto la guida di Renzo Serandrei, nacque così il Ciro’s bar, famoso locale dell’epoca annesso all’hotel, che ebbe l’onore di accogliere personaggi quali Sartre e Simone de Beauvoir.

Nel 1963 un’ulteriore svolta. Il Ciro’s bar venne trasformato da Renzo, grande appassionato di cucina, nel Ristorante “La Caravella” chiamata così per gli interni che riportavano alla memoria i caratteristici ambienti di un antico veliero.

La creatività di Renzo, uomo in continua ricerca, fece si che il ristorante si aggiudicasse per ben venticinque anni consecutivi la stella Michelin. Cinquant’anni di storia e di tradizione: 1963 – 2013.

La continuità nella conduzione familiare ha fatto si che, dopo la morte di Renzo, seguisse l’attività il figlio Alberto.  Dal 2012 l’hotel è gestito da Ugo Serandrei coadiuvato dai figli, quarta generazione della famiglia: Marianna, Gianni, Kim e Greta-Zoe.

Dal 2000 una nuova scommessa, l’Hotel Ca’ Pisani che, come Kim Serandrei mi ha raccontato, si ispira ai principi dei “Design Hotel” reinterpretando il gusto art déco in chiave contemporanea. Essendo un’appassionata di storia che recupera pezzi antichi qua e la, mi ha colpito come, con pazienza, hanno collezionato letti originali anni ’30 e ’40, tutti diversi tra loro.

Chiacchierando seduta a fianco a Kim ho potuto notare la sua capacità di “guardare oltre”. Non tutti la possiedono, è una capacità che si acquista attraversando le difficoltà… che dona ricchezza d’animo e sensibilità. Ad un tratto, mentre gli raccontavo la mia abitudine di raccogliere pietre e sassi a ricordo dei luoghi che visito, mi ha detto: “Cinzia indovina? Mia madre è geologa!”

Rossana Serandrei Barbero, una donna di terra in una città di mare. Le ho chiesto il perché della sua scelta di vita, e, conseguentemente ai suoi lunghi studi legati alle fondamenta di Venezia, mi sono aggiornata sullo stato di salute della città.

  • La mia scelta di vita è presto spiegata. Da adolescente ero innamorata pazza della montagna, delle rocce e, per estensione, dell’arrampicata. Mi sono iscritta a geologia perché volevo fare il geologo in Terra del Fuoco. Ho studiato per quarant’anni il sottosuolo di Venezia e posso affermare che la sua salute, compatibilmente con l’età, può essere definita buona.  Rossana Serandrei Barbero

Durante i nostri discorsi di terra e di mare, quella sera, festeggiando i cinquant’anni di storia de “La Caravella”, lo Chef Silvano Urban ci ha raccontato la sua cucina semplice e rispettosa della tradizione e delle materie prime di qualità.

Oggi si parla di cibo in molti modi: si passa dallo show food al food art, dal media food al concept food fino ad arrivare al food design. Secondo me è giunto il tempo di ritornare alle origini, ovvero ad una cucina in cui la ricerca si basa proprio sullo studio del prodotto, senza volgarità, senza eccessi e senza il disperato tentativo di spettacolizzare a tutti i costi.”

A conclusione di questa mia storia voglio riportare la ricetta del primo piatto scelto dallo Chef Silvano Urban, un piatto tipico della tradizione.

Bigoli in salsa, serviti tiepidi con vellutata di porri e pane fritto

 

Dosi per 4 persone

Ingredienti:

  • 200 g di cipolle;
  • mezzo bicchiere di olio d’oliva;
  • sale quanto basta;
  • 300 g di bigoli scuri (spaghetti integrali);
  • 75 g di acciughe sotto sale;
  • un pizzico di pepe;
  • briciole di pane.

Procedimento:

Sbucciate le cipolle e affettatele finemente. Poi, versate in una padella la metà dell’olio e unitevi le cipolle; fatele appassire a fuoco basso. Cuocete a recipiente coperto, per circa 15 minuti, bagnando le cipolle di tanto in tanto con un po’ d’acqua (non più di un bicchiere in tutto), mescolando il composto fino a che si saranno ridotte in poltiglia. Nel frattempo, mettete sul fuoco l’acqua per la cottura della pasta: appena bolle, salatela e buttate la pasta.

Quando le cipolle saranno cotte, aggiungete le acciughe precedentemente lavate, dissalate e diliscate; con una forchetta schiacciatele ripetutamente, fino ad ottenere una salsetta marrone. Quindi spegnete il fuoco e unite al sugo l’olio rimasto, mescolando. Scolate i bigoli, rovesciateli in una terrina, conditeli con il sugo preparato e del pane fritto sbriciolato.

Tagliate a rondelle 200 grammi di porro; fatelo appassire con un filo d’olio e poca acqua. Correggete il composto di sale e quando sarà cotto, frullate il tutto ottenendo una crema morbida, ma sostenuta, che andrà ad accompagnare la ricetta. Infine, completate il piatto con briciole di pane fritto e filo d’olio extra

L’aggiunta dell’ultimo ingrediente, ovvero i porri, ha l’obiettivo di attenuare il gusto forte delle acciughe. “E’ un piatto spiega lo stesso chef,  che non scende a compromessi con le moderne visioni culinarie”.




“La zuppa di Porcini di Gualtiero”

Il caro Gualtiero… e badate bene, non il Gualtiero noto ai più.

Qui di seguito racconto di un uomo di novantun anni dalle mille passioni… un uomo dei bei tempi che furono, un uomo che una sera a Treviso mi ha stravolto di emozioni.

Gualtiero Basso padre della cara amica Alessandra, è nato a Treviso il 2 Luglio del 1921. Figlio di un odontotecnico ha continuato l’attività del padre, ma non solo…

Durante  la seconda guerra mondiale arruolatosi nella G.a.F., la Guardia alla Frontiera, ha ricoperto l’incarico di telegrafista a Belluno e in seguito di batteriologo nell’ospedale militare di Padova e di Milano.  Ricordi di guerra indelebili che gli hanno temprato l’anima. Chi come lui li ha vissuti, mai li potrà dimenticare…

Ho conosciuto un uomo meticoloso, quasi maniacale nell’annotare ogni vicissitudine della sua vita. Una vita dominata dalla passione e dalla voglia di fare. Un collezionista di francobolli, di orologi da taschino, di vino, un appassionato di cinema tanto da girare lui stesso negli anni ‘60, quando all’epoca era consigliere del Cine Club di Treviso, dei cortometraggi.  

In seguito, accompagnare il figlio Giancarlo alla pratica dello Judo, lo ha portato a diventare il Presidente che ha permesso ad una piccola realtà sportiva non militare, di aggiudicarsi il 2′ posto nel “Gran Premio Società” nel 1972. Riporto le sue parole: “Un risultato incredibile voluto e conquistato contro tutti. Ci sono stati momenti anche tristi come la morte di alcuni giovani atleti, oppure il momento in cui ho preferito lasciare ad altri la guida, perché gli anni aumentavano…”                        

Durante il pomeriggio in cui l’ho conosciuto l’ho seguito attentamente ascoltandolo nei racconti della sua vita. Mi conduceva orgoglioso mostrandomi le sue tante collezioni. La più sbalorditiva è stata quella del modellismo ferroviario, non potete immaginare! Sono rimasta senza parole… e questo già la dice lunga! 😉 Trenini e vagoni di tutti i modelli e di tutte le epoche, riprodotti minuziosamente! Un’intera stanza dedicata con plastico annesso, e una rete ferroviaria in scala nel giardino. Fantastico!

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Gualtiero Basso

Ma non finisce qui, perché una volta a tavola i discorsi si sono spostati sui piaceri legati al gusto, fino a far saltar fuori un fungo, o meglio… tre porcini! La passione di Gualtiero per i funghi è nata negli anni ’70 dopo aver conosciuto lo scrittore e micologo Fernado Raris.

Gualtiero mi ha spiegato che il termine porcino si riferisce a più specie e più precisamente al boletus edulis, al boletus aereus, al boletus reticulatus e al boletus pinicola. Le sue varietà preferite per la qualità e per il gusto, sono quella dell’aereus e della pinicola. Detto questo, pronti via con la sua zuppa di porcini!

La zuppa di Porcini di Gualtiero

Per 4 persone

  • 300 gr. di porcini  freschi varietà boletus aereus o pinicola
  • ½  cipolla
  • 1 cucchiaio di farina
  • 80 gr. di burro
  • prezzemolo, sale e pepe q.b.

Tagliare i porcini a fettine sottili di 2/3 mm. Quindi porli in una casseruola in cui si è fatta soffriggere nel burro fuso la cipolla.

Cuocere lentamente i funghi per una mezz’oretta unendo al bisogno del buon brodo.

Nel frattempo passare al forno delle fette di pane su cui, una volta dorate, spalmare un velo di burro.

Porle quindi in piatti fondi, e cospargerle con i funghi preparati.

A fine serata Gualtiero mi ha voluto regalare un suo cortometraggio girato nel 1960. Anch’io sono un’appassionata di cinema. Quando gli ho detto che il film che amo di più è  “Nuovo Cinema Paradiso”, lui prontamente mi ha risposto: “Il mio è Balla coi Lupi!”

“Tutto nasce dall’uomo, tutto ritorna all’uomo…  tratto dal film Balla coi Lupi”

 

 




“I tortelli di zucca della Gisella raccontati dallo chef Fabio Mazzolini”

La ricetta: “I tortelli di zucca mantovani”

E’ un po’ presto per la zucca lo so, ma il mio pensiero va alla mia cara nonna Gisella. Ho voluto ricordarla così.

Ve l’ho mai detto che sono di origini mantovane…?  Ebbene si!  Li la zucca è una vera tradizione. Ricordo quando mia nonna Gisella mi preparava  i tortelli con la mostarda piccante, gli amaretti e… naturalmente la zucca!  Fantastici profumi e sapori… che ricordi!

Questo ortaggio originario dell’America Centrale,  oltre ad essere famoso per la festa  di  Halloween è conosciuto per le sue proprietà benefiche.  E’ ricco di vitamina A,  di minerali, di fibre ed  è povero di calorie. La sua polpa tritata è utile come lenitivo per le infiammazioni cutanee, mentre il suo estratto è indicato nei disturbi gastrici. In cucina poi trova spazio a molteplici  usi…  dai primi piatti,  ai contorni, ai dolci…

Bene, oggi vorrei ritornare a quei sapori e a quei profumi grazie al caro amico e chef Fabio Mazzolini. Un uomo legato alla natura e alla tradizione… un poeta della cucina.

Fabio, prima di darti il cucchiaio di legno per dirigere l’orchestra, mi racconti un po’ di te…

  • Sei uno chef di successo, ma soprattutto un uomo semplice, simpatico che mi prende in giro di tanto in tanto… Meglio che parli tu, se no lo sai che non mi fermo più… 😉 Come e quando è iniziata questa tua passione?

L’amore per la cucina mi è stato trasmesso dalla mia nonna materna. Gestiva una piccola trattoria di sua proprietà a Desenzano del Garda.  E’ li che ho iniziato a pasticciare con paste e farine…

  • La creatività di voi chef stellati a volte mi fa quasi paura. Ci facciamo due spaghetti aglio e olio mentre ne discutiamo…? Ci stai?

Certo che si Cinzia! Devi sapere che è il mio piatto preferito! Me lo preparo spesso abbondando con l’aglio che faccio fondere lentamente fino a trasformarlo in una morbida crema. L’unico inconveniente è per i poveri malcapitati che si trovano a parlare con me subito dopo! 😉

  • Ora dimmi la cosa che ti piace di più… e non fare lo spiritoso! 🙂 In cucina intendo!

Ora ti spiazzo! Anche se sembrerà strano adoro la cipolla in tutti suoi utilizzi!

  • Mi è venuta una fameee!! Mi prepari una frittatina di cipolle? L’adorooo! (Giuro che quando ho scritto questa domanda non sapevo la risposta precedente)

Ottima scelta… Opterei per una frittata con cipolla bionda a cui abitualmente aggiungo dell’erba di San Pietro!

Ora però bando agli scherzi! Ti passo il cucchiaio di legno, tocca a te dirigere l’orchestra!  Raccontami come fare i tortelli di zucca mantovani, con gli amaretti e la mostarda piccante… quelli della Gisella!

Fabio: Cinzia devi prendere della zucca mantovana della qualità delica.

Cinzia: Delica? Ma come faccio a riconoscerla?

Fabio: Che disastro che sei! Dai che ti metto la foto!:-) Ora tagliala a pezzi e cuocila nel forno per una mezz’oretta.

Cinzia: Fabio ma devo sbucciarla?

Fabio: Assolutamente no! Una volta cotta, schiaccia la polpa con la forchetta, unisci qualche amaretto sbricciolato, aggiungi della mostarda piccante di mele campanine, parmigiano vacche rosse (razza Reggiana), e sale e pepe quanto basta. E’ mia abitudine aggiungere all’impasto del ripieno dei tortelli, un pizzico di  polvere di caffè per togliere quella stucchevolezza data dalla dolcezza degli ingredienti. Per concludere non ti resta che procedere con la preparazione della pasta all’uovo e confezionare i tortelli. Un leggero condimento di burro insaporito alla salvia e voilà!

E ora,  mentre Fabio sta cucinando io molto seriamente vi dico che… lui è un vero artista! Un uomo che non ama celebrarsi, e che vive la propria passione semplicemente offrendola nelle proprie creazioni.




“I Marubini in brodo della domenica…”

La ricetta : “I Marubini in Brodo”

di Paola Frigeri

…le persone e i loro racconti di cucina popolare

Ricordo la domenica quando lentamente mi svegliavo… sentivo  le campane suonare l’ultimo tocco  per ricordare a tutti che era giunta l’ora di andare a messa.

Mi preparavo trascinandomi in cucina con i capelli ancora arruffati, pronta per fare colazione.  Un po’ di latte con il caffè,  e quel pane biscottato bagnato nella mia scodella bianca che mi riportava alla mente le vie principali di Cremona con le sue pasticcerie… Solo li vendevano quel tipo di “pan biscuttat”. Sotto le mie narici passava quel profumino familiare che mi riconduceva alle origini cremonesi dei miei genitori. La città di Cremona… un affresco di tanti ricordi. I Marubini, memoria di sapori che regnavano sulla mia tavola la domenica.

Ricordo che al sabato la mamma rosolava il magatello insaporito con la salvia e con quella fetta di burro comprata nelle campagne cremonesi.  Prosciutto crudo, salame nostrano senza aglio (a me non piaceva), bologna, e un pezzetto di lesso. Quindi il tutto, unito e macinato, era pronto per il ripieno.

Ogni domenica l’asse di legno era posta sul tavolo…  la pasta tirata ad arte e tagliata a quadretti,  il ripieno perfettamente nel mezzo, e la vista della cosa più bella… il Marubino. Uno perfettamente uguale all’altro, la mamma li voleva così,  tutti  perfetti… come pronti per una festa. Il brodo intanto andava da solo, non aspettava altro che i suoi ospiti cadessero dentro uno alla volta.

E infine un ricordo di lei, mi sembra quasi di vederla… Due bigodini in testa messi quasi per dovere,  e lo sguardo teso con occhi ammirati verso quella tavola piena di Marubini tutti in fila, come piccoli ma grandi soldatini… grandi come la mia mamma.

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