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“Ridare identità ai Contadini”

Oggi voglio fermarmi a riflettere…  A volte è necessario per fare il punto sulle proprie esperienze.

E’ ormai risaputo… amo visitare le realtà produttive, parlare con i Contadini, quelli con la C maiuscola. Ascolto le loro storie, i loro racconti, i loro sfoghi… Sono stanchi, arrabbiati, combattuti…  I meccanismi contorti della politica e della burocrazia li attanaglia a tal punto da toglier loro la voglia di lottare. Tutto ciò porta a isolarli disperdendo energie, quelle buone, quelle che qualcosa ancora potrebbero. Alcuni sono demotivati a tal punto da perdere la passione, altri affondano, non riuscendo a sostenere le spese di gestione. Ogni volta che sento morire un’azienda agricola è una ferita al cuore, una sconfitta per l’Italia.

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  • Gli agricoltori “hanno bisogno di tornare a credere”!
  • Si devono “individuare persone capaci in cui possano riporre fiducia”, è da li che si può, e che si deve ripartire.
  • Si devono creare “reti che li uniscano con una nuova mentalità”.
  • E’ importante che “vadano nella stessa direzione senza sparpagliarsi”.

Per molti sono una sognatrice, una donna che fa poesia, che, spinta dall’entusiasmo e dalla poca esperienza, crede ancora che quest’Italia ce la possa fare. Lo vedo nei loro occhi quando arrabbiata da ciò che sento, propongo soluzioni. Troppi intrecci malavitosi hanno rovinato ciò che i nostri nonni e i nostri padri hanno costruito con fatica.

Dibatto spesso su questo argomento, perché il bandolo della matassa va trovato!  Perché forse continuare a parlarne può indurre qualcuno a crederci! I segnali ci sono eccome, i giovani si stanno proiettando sempre più verso questo settore. Proprio oggi leggevo su un articolo l’aumento del 26% delle iscrizioni all’Università per i corsi di laurea in scienze agroalimentari. E’ per questo che ho deciso di riportare alcune riflessioni sul mondo contadino fatte nelle varie discussioni che spesso mi trovo ad imbastire, per capire se una strada da percorrere c’è ancora… Io ci credo!

Il mestiere del contadino, come quello del marinaio e del soldato, contiene in se stesso un alimento per l’anima: non si tratta che di liberarlo.”

Jean Guitton

  • Teresio Nardi, Fiduciario della condotta Slow Food Oltrepò Pavese: “Vengo dalla terra, ho lavorato 38 anni nella scuola e dai giovani ho avuto molto; ai miei allievi ho sempre dato sincerità, buon esempio e ho trasmesso loro passione per il lavoro. Ora posso dedicare la mia passione alla terra dove sono nato e cresciuto; lo faccio perché mi piace, non chiedo nulla a nessuno e tutto questo mi gratifica molto…”

Il nostro modello economico ha guastato tante cose, tutto è visto in funzione del reddito e tutto come strumento produttivo. Il terreno non è capitale! Io ho sempre insegnato che una grande componente del terreno è terra naturale – natura, non rinnovabile e quindi da conservare con amore e attenzione, altri più autorevoli di me lo hanno detto, ma quante volte negli ultimi cinquant’anni c’è stato un progetto politico in questo senso. Altra considerazione: il contadino dev’essere visto come guardiano dell’ambiente e del territorio, motivato a questo e valorizzato nel suo lavoro per questo motivo. Ancora: il terreno deve produrre cibo! Non energia o aree fabbricabili o capannoni… Ancora: il cibo è un bene fondamentale (a me hanno insegnato fin dalla nascita che il cibo non si spreca) non è merce di scambio. Tutto questo i veri contadini lo sanno e vivono male la situazione attuale.

Non è facile… i veri contadini: quelli che coltivano la terra, che credono nel loro lavoro, che tutelano l’ambiente e le tradizioni locali, che hanno assorbito la cultura della terra dai loro nonni e dalla storia della loro famiglia; sono anche quelli che conoscono le incertezze dei loro obiettivi, e le temono: le stagioni, le intemperie, la siccità, la grandine, il vento e tutto ciò che influisce sul ciclo di vita degli essere viventi che con tanta fatica loro allevano e tutelano. Prima temevano solo la natura che a volte è amica e altre volte è nemica; ora temono anche il “progresso” che gli sottrae terra, libertà di semente, aria pulita, paesaggio, ambiente, biodiversità; sono stati spesso ingannati dalla tecnologia. Per tutto questo è difficile coinvolgerli, conquistare la loro fiducia, far loro credere che oggi c’è qualcuno che è dalla loro parte e che vuole il ritorno alla terra, alla tutela dell’ambiente, alla valorizzazione del territorio e delle tradizioni, nonché un cibo di qualità e giusto che può venire solo dal lavoro del “contadino”.

  • Luigi Caricato, scrittore, giornalista, oleologo, ha pubblicato diversi volumi sull’olio di oliva. Collabora con varie testate giornalistiche italiane ed estere, con rubriche e articoli. Dal 2003 dirige il settimanale on line “Teatro Naturale”, periodico specializzato in agricoltura, alimentazione e ambiente.

Il guaio è che sui contadini si continua a speculare. Ci vorrebbe una riformulazione delle associazioni di categoria non  più adeguate ai tempi. Gestiscono la burocrazia e soprattutto tanto danaro, ma non dispensano idee e soprattutto non rappresentano più i propri associati. Ho un amico che è stato fondatore di una delle tre grandi associazioni esistenti, e che ora è stato tagliato fuori perché ritenuto “inutile” in quanto intellettuale. Sta proprio qui l’errore; le associazioni hanno bisogno di essere guidate da intellettuali che diano un indirizzo e che lo facciano senza clamore, come invece accade.  Io sono figlio di agricoltori e da fanciullo, e poi da ragazzo, ho lavorato in campagna; so cosa significhi, per questo, conoscendo le esigenze degli agricoltori sono profondamente preoccupato per loro. Oggi come ieri nessuno li rappresenta e tutela. La stessa comunicazione anziché aiutare l’agricoltore a fare quel passo in avanti che non riesce da solo a compiere, lo banalizza.

 Non ha senso creare una nuova associazione, ma è urgente che cambino i dirigenti, che siano agricoltori veri, loro per primi. Agricoltori nell’animo, più che nella forma. E’ un percorso a ostacoli. Io stesso per i miei scritti vengo punito con atti di ostilità, ma non demordo, perché  quando le idee sono buone, tutto prima o poi va in porto.  Oggi l’agricoltore per essere salvato andrebbe lasciato libero, ma la libertà è un traguardo difficile da raggiungere. Per superare gli ostacoli è necessario rendere gli agricoltori indipendenti, e l’indipendenza la si ottiene con la certezza del reddito. Sta qui il punto dolente: tanto il danaro (tantissimo) dato all’agricoltura, finisce nelle mani sbagliate, e così gli agricoltori non guadagnano mai la propria libertà. Non sono ottimista perché  convinto che, come per la politica, nulla cambierà nell’associazionismo. Sto raccogliendo nuove adesioni di intellettuali da cui spero di trarre quella “forza giusta” per stimolare il cambiamento. Non è facile. Anzi, è più facile cambiare l’Italia che non l’agricoltura. Si tratta di un’impresa ardua. Ma io amo le sfide, e qualcosa otterrò, ne sono certo…

  • Alfonso Pascale, Vice Presidente dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, membro del Tavolo Permanente di Partenariato della Rete Rurale Nazionale in rappresentanza della Rete Fattorie Sociali. Collabora con l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA).

Le associazioni nate nel secolo scorso vivono tutte una profonda crisi di rappresentanza. Nell’adeguarsi all’attuale modello di intervento pubblico in agricoltura (aiuti PAC), che distruggono il capitale sociale delle campagne, e nel rinunciare a modificarlo, sono venute meno alla loro funzione essenziale: produrre beni relazionali e creare legami solidaristici.
La loro posizione di difesa dei meccanismi assistenzialistici di intervento pubblico nell’economia non deriva (come affermano ipocritamente) da preoccupazioni per le sorti dei propri associati. Il loro atteggiamento conservatore è dettato solo dalla volontà di difendere l’assetto delle proprie strutture organizzative, che si sono adattate nel tempo alla gestione di determinati servizi. Di gente per bene ce n’è in queste organizzazioni ma non sono in grado di fornire un reale sostegno ai contadini e al territorio perché non hanno più la cultura sindacale e professionale per farlo.

Bisognerebbe costruire nuove reti, una nuova società civile che si auto-organizzi al di fuori dei legami che storicamente si sono determinati tra sistema politico e società.

Non sappiamo più leggere la saggezza che ci hanno trasmesso i contadini …

Alfonso Pascale

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