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Un grido d’aiuto dagli agricoltori: “Lasciateci lavorare!”

Oggi voglio dare spazio allo sfogo di un amico viticoltore che fa eco a tante altre voci. Burocrazia, burocrazia e ancora burocrazia! E’ questo che continuamente mi sento dire dai produttori. Dobbiamo fare gli amministrativi o gli agricoltori mi dicono… mah, dico io!

Mi chiedo se qualcuno di questi burocrati impositori di tanta carta da compilare si rende conto cosa vuol dire produrre? Di quanta fatica, tempo, e impegno comporta lavorare la terra? Ma non solo dato che il tempo libero devono occuparlo per promuoversi in fiere e in manifestazioni per farsi conoscere, ma soprattutto per far conoscere i loro prodotti.  Ricordo anni fa di aver letto che in Giappone un’azienda ha imposto ai propri dirigenti di fare esperienza diretta in produzione tra gli operai… sarebbe opportuno anche qui da noi, e in molti settori direi!

Sostengo da sempre con grande convinzione che per giudicare il lavoro degli altri, per capirne le difficoltà, i problemi e le soluzioni, bisogna semplicemente farlo! Anziché occupare i comodi uffici, uscite e parlate con i produttori!  Dovete vivere le realtà! Dovete ascoltarli! Siete voi i nostri rappresentanti, e quindi e ora di muoversi, di tirare su le sorti di quest’Italia ferita e messa in ginocchio! La terra è quello che ci rimane, chi la lavora rappresenta la nostra unica speranza di salvarci da questa crisi! Aiutiamoli a lavorare!

Perdonerete il mio sfogo, ma gli Italiani, quelli veri, quelli che lottano lo fanno in ogni modo, anche così, lanciando un grido d’aiuto! Ed è per questo che ora passo la parola a uno di loro… all’amico Marco Bernava.

  • Marco, cosa chiederesti alle istituzioni sia a livello nazionale che europeo nell’immediato per aiutare i produttori?

Lasciateci fare e vendere!” Perché far vino è un’arte… è poesia e tecnica allo stesso tempo, e gli artisti devono avere spazio per fare bene, devono avere libertà di movimento. 

Ci siamo incastrati in un sistema che non funziona Cinzia, e non solo in viticoltura ma oserei dire in tutto il settore agrario. Concentrandomi sulla viticoltura e sull’elaborazione di vino, credo che come nel resto del settore primario una delle grosse colpe sia della UE e dalle politiche dei Paesi membri: “Direttive che si traducono in normative e controlli che senza mezzi termini definisco tanto inutili quanto dannose, un sistema di aiuti all’impianto/espianto incoerente, un sistema doganiere che non dovrebbe esistere ed invece vincola tutte le trattative intracomunitarie, norme di etichettaggio pesanti, sistemi di qualificazione dei prodotti un po’ aleatorie … e molto altro che potrei aggiungere…”

La mia esperienza come tecnico ed ora come produttore mi fa capire sempre più i viticoltori con il loro pianto per i prezzi bassi, per la loro impotenza sul mercato perché l’offerta frazionatissima (e senza voce collettiva, non inganniamoci), davanti a colossi che dettano prezzi di acquisto delle uve tenendo in conto solo la loro logica di profitto (frutto di un sistema globalmente incorretto), non considerando minimamente i costi di produzione del viticoltore.

Capisco sempre più quanto in passato si sia distorto e viziato il settore. Mi fa male pensare a come viene percepito il vino da certi settori della società, a causa di scelte politiche errate nella sostanza. Mi rende triste vedere come bisogna accontentare l’amministrazione con determinate pratiche burocratiche che assumono più i connotati di un rito vudù piuttosto che di una gestione amministrativa. La mia esperienza mi porta a concludere che voglio vivere bene come tecnico una parte dell’agricoltura affascinante e dinamica e che vivrò lottando come produttore e commerciale di se stesso, nella speranza (o illusione) che il sistema si semplifichi.

Non dico che debba essere un settore anarchico, ma nemmeno che io debba dedicare la metà del mio tempo a lavorare per l’amministrazione pubblica. Certo è che il settore deve avere un apparato legislativo corretto e coerente che vincoli ciò che è dannoso alla salute (trattandosi di un prodotto alimentare) e ciò che è frode reale, ma lasciando che i produttori possano creare originalità e che la possano offrire e vendere con agilità.

Lascio andare solo due esempi in Europa: l’etichettaggio e il sistema di qualificazione dei vini da un lato, e le pratiche enologiche autorizzate dall’altro. Sono paradossi di come NON si dovrebbe gestire a livello supra-nazionale il settore. Basicamente perché sul mercato ci dobbiamo confrontare con il “nuovo mondo” del vino, dove le regole sono più lasse e dove hanno capito che nel fondo l’equivalente di ogni muro che la UE ci costruisce e che dobbiamo saltare non fa altro che incrementare i costi di produzione, quindi diminuire la competitività sui mercati internazionali, e far risultare cari i vini a volte anche sul mercato nazionale. Risultati: da una parte importiamo vini economici e dall’altra limitiamo il consumo interno di prodotto nazionale, confondendo in sostanza il consumatore e allontanandolo dal gaudire di un prodotto che fa parte della nostra cultura da secoli immemori.

Poi non dimentichiamo che la viticoltura e l’enologia sono alla base della gestione di molti territori dei nostri Paesi: gestione paesaggistica, gestione ambientale, tessuto socioeconomico (pensiamo oltre ai produttori anche all’indotto enoturistico). Questo ruolo sociale dovrebbe essere ulteriormente premiato e non bastonato dalle politiche sia comunitarie che nazionali. Dovrebbero lasciar lavorare e fomentare lo sviluppo del settore vitivinicolo e di ciò che gravita intorno a lui, soprattutto nelle zone vocate, dove ogni alternativa economica risulterebbe essere o un fracasso o un’aberrazione ed una distruzione del territorio. Mi riferisco concretamente al tema eolico in Spagna e per quanto ne so anche in Italia: interessi di multinazionali dipinti coi colori dell’ecologia e della sostenibilità, venduti al territorio inerme come è quello agricolo, distruggendone la vocazione e trasformandolo in un paesaggio pseudo-industriale massificato e violentato dalla speculazione (in campagna ancora non era arrivata).

Ma questa è un’ altra storia Cinzia: se vuoi ne parleremo! 

 

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