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Angelica Lodi, una cuoca che non si china… se non sui piatti!

Angelica Lodi, classe 1996. Il suo motto: “Mai china, se non sui piatti!”

Una giovane cuoca del ristorante La Chiocciola di Portomaggiore, in provincia di Ferrara, che ho avuto il piacere di conoscere a ‘Il Festival della Gastronomia’ di Milano – il format ideato da Luigi Cremona e Lorenza Vitali – durante il quale si sono sfidati ragazzi under 30 per la selezione del ‘Miglior Chef Emergente 2019 del Nord’.

Dalla giuria ho potuto osservare la loro attenzione nella preparazione dei piatti, che, all’assaggio, hanno evidenziato l’impegno con cui si sono presentati. Giovani talentuosi con un ruolo importante per il futuro del Sistema Italia. Saranno infatti anche le loro scelte a contribuire alla valorizzazione della filiera agroalimentare. Una responsabilità che ogni cuoco esercita ogni qualvolta si appresti a preparare un piatto.

Luigi Cremona e Angelica Lodi a ‘Il Festival della Gastronomia’ di Milano

Vi presento Angelica Lodi…

  • Angelica, partiamo dal Festival della Gastronomia. Durante la gara alla quale hai preso parte mi ha colpito la tua tenerezza, non oscurata dalla determinazione necessaria al ruolo che hai scelto per il futuro. L’assaggio del tuo piatto, poi, mi ha confermato la tua preparazione. Come e quando è iniziata questa tua passione per la cucina?

Alle scuole elementari.  Non so esattamente il motivo… questa passione non l’ho presa da nessuno. Per certo veder cucinare e poter aiutare mi ha sempre appassionata e incuriosita fin da piccola.

“Come fosse un cappellaccio…” un piatto che nasce dalla creazione di un assoluto di zucca.

  • Hai scelto un mestiere impegnativo, che per una donna lo è ancora di più. Le difficoltà non sono certo da imputare alle capacità personali, ma alle esigenze familiari che sorgono col tempo. Conseguentemente a ciò, affermarsi in questo settore prettamente maschile comporta molti sacrifici, sempre che questo sia il tuo desiderio?

Certo, quando avrò una famiglia sicuramente medierò gli impegni professionali con le esigenze familiari. Tra le mie ambizioni ho quella di aprirmi una gastronomia di qualità, che mi permetta alla sera di passare un po’ di tempo a casa.

  • Mi capita spesso di sentire gli chef lamentarsi a proposito della scarsa formazione che riscontrano – a livello pratico – nei cuochi neodiplomati. Cosa ti senti di rispondere a tal proposito?

Hanno ragione. Purtroppo le scuole si focalizzano sempre di più sulla teoria piuttosto che sulla pratica. Nonostante ciò, in quelle poche ore, con il massimo impegno, si cerca di apprendere il più possibile degli insegnamenti.

  • Nonostante la tua giovane età, ti senti di dare un consiglio ai giovani che scelgono questo percorso professionale?

Questo lavoro è tanto bello quanto difficile. Ecco il mio consiglio: “Ragazzi, se non mettete determinazione, passione, costanza e tanto sacrificio, fate a meno di intraprendere questo percorso, perché senza tutto questo durereste meno di un mese.

  • Un’ultima domanda: a chi ti ispiri per il tuo futuro?

Sinceramente, a me.

Riprendo la parola…

Che dire… be’, senza dubbio dalle risposte secche di Angelica si evince che è una ragazza molto decisa. Ciò che mi auguro è che si impegni nel custodire e salvaguardare la tradizione culinaria italiana. Una conoscenza da divulgare che permette ai cuochi, col tempo e l’esperienza, di dare forma alla propria identità.

 

Trattoria La Chiocciola  www.locandalachiocciola.it
Via Runco, 94/F Portomaggiore (FE)

Fotografia in testata di Nicola Boi – Nikoboi photographer




Critica enogastronomica in discussione? Facciamo chiarezza con Elio Ghisalberti.

Oggi vi parlerò di una tavola di incontro e di confronto, in cui oltre a celebrare il gusto, si dialoga su questioni legate al cibo e al vino, e ai suoi protagonisti. Una tavola che spesso condivido con Elio Ghisalberti, amico e giornalista enogastronomico, ormai abituato – o forse rassegnato – all’ascolto delle mie battaglie del momento. Più che battaglie, sono cause che difendo, spinta dalla passione e da vero credo per ciò che di volta in volta sostengo. Nell’ultimo nostro incontro, si è discusso sulle questioni sollevate nella puntata di Report del 27 marzo 2017: “Sotto le stelle”. Un’inchiesta di Bernardo Iovene che, per i non addetti ai lavori, ha come si suol dire… sparato nel mucchio.

L’enogastronomia, un settore che vede l’Italia al centro del mondo grazie alle capacità e al carisma di professionisti e produttori. Direi che qualche merito (e anche di più) vada loro attribuito. Con questo non voglio dire che tutto vada bene, anzi, sul fatto che qualcosa debba essere aggiustata nulla da eccepire. La cosa che mi preme, più che le polemiche, è la chiarezza e la voglia di ascoltare una voce esperta fuori dal coro di tanti, che un po’ di confusione la fanno davvero. Per chi non lo conosce, Elio Ghisalberti ha iniziato il percorso nel mondo del giornalismo enogastronomico nei primi anni ottanta alla scuola di Luigi Veronelli, per poi collaborare con il Gambero Rosso (mensile e guide dei ristoranti e dei vini) e con L’Espresso per la Guida ai Ristoranti d’Italia. E’ ideatore e curatore di GourMarte, la Fiera delle produzioni enogastronomiche di qualità esclusivamente made in Italy interpretate dai migliori cuochi. Attualmente firma per L’Eco di Bergamo la pagina settimanale “Sapori e Piaceri”.

  • Elio, oggi allarghiamo la nostra tavola a chi ha voglia di approfondire le criticità emerse nella puntata di Report di cui abbiamo recentemente parlato. Nel dirti “ti lascio la parola” già mi fischiano le orecchie. Una volta tanto dirai… A parte le battute, partiamo da ciò che ho più a cuore: le produzioni italiane di qualità. La visibilità dei nostri chef può molto in questo senso. Intendo nella scelta di materie prime italiane e nella menzione delle stesse sulle carte dei loro ristoranti. Primo impegno di questi professionisti è quello di essere custodi del made in Italy, grazie alla ricchezza di prodotti, di vitigni e di cultivar di olivo del nostro paese. A quanto pare non è sempre così. Qual è la tua opinione in merito?

Chiariamo prima di tutto un punto, visto che giustamente sottolinei l’importanza dell’italianità in cucina, chiamiamoli cuochi e non chef. Altraelio-ghisalberti cosa, non li definirei custodi ma interpreti, perché questo è il ruolo più attinente che, in questo concordo, rappresenta la figura professionale. Detto questo ritengo che il primo impegno professionale del cuoco è quello di fare una cucina buona e sana, di essere serio, preparato, onesto, pulito. Se questi principi sono applicati nel valorizzare le materie prime e la cultura gastronomica italiana e del territorio in cui si opera tanto meglio, merita un plauso, non possiamo che gioirne. Occhio però a non esagerare con i peana a chi sceglie questa via ed al contrario con la mortificazione di chi segue un’altra filosofia. La tendenza ad esaltare la cucina del territorio porta con sé alcune conseguenze, prima fra tutte quella della mistificazione. Quanti cuochi cavalcano questo tema solo perché fa presa sull’informazione e sul pubblico? Chi negli acquisiti e nella pratica quotidiana di cucina, ha sempre privilegiato i fornitori seri della porta accanto non sente il bisogno di sbandierarlo ai quattro venti, lo fa punto e basta. Se poi certi prodotti arrivano anche da molto lontano qual è il problema? L’importante è la coerenza, sempre. Hai mai fatto caso all’acqua minerale che viene servita al tavolo di un ristorante che so, di Torino, il cui cuoco dichiara di acquistare personalmente i conigli a Carmagnola? Magari arriva dall’Alto Adige o dalle valli bergamasche: è coerente tutto ciò?

  • “Una stella Michelin cambia la vita a un ristorante e allo chef, ma anche le forchette del Gambero Rosso e i cappelli dell’Espresso possono fare la fortuna di un cuoco.” In Italia ci sono 334 ristoranti stellati con un giro d’affari che fa girare la testa. A questo proposito mi riallaccio alla trasmissione che, durante le interviste, ha messo in discussione la credibilità di guide e di critici enogastronomici da anni non più in incognito. Giudizi attendibili o sponsorizzati? Come dico spesso la differenza la fanno le persone. Il tempo insegna a seguire quelle giuste. Lascio a te continuare…

Qui mi spiazzi, hai già centrato la questione. Il mezzo può essere più o meno valido, ma è l’autista che lo rende sicuro. Anche quando gli editori erano più ricchi e magnanimi (cioè pagavano i collaboratori a sufficienza per metterli nelle condizioni di lavorare serenamente) vi era chi approfittava del ruolo per trarne vantaggio personale. È stato per così dire fisiologico che, chiusi i rubinetti, la corte dei personaggi dediti al mercimonio si allargasse. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: la credibilità delle guide (di quelle cartacee intendo) è ridotta ai minimi termini. Ma del resto, non se la passa certo meglio il mondo web che per sua natura è fuori controllo e quindi ancora meno affidabile. La credibilità è nelle serietà e nella correttezza dei singoli, e l’incognito non c’entra proprio nulla, credimi. Chi non ci mette la faccia crea un’illusione, non guadagna rispetto.  

  • Lo chef, una professione che alimenta i sogni dei giovani studenti per poi spegnerli quando lo stagista, entrando nel mondo del lavoro, è spesso costretto ad affrontare doppi turni. C’è poi chi, grazie alla bravura e alla fortuna, riesce a lavorare in un ristorante stellato guadagnando uno stipendio non adeguato ma giustificato dalla visibilità che ne deriva. Una media di quindici ore al giorno che contrasta con le quaranta settimanali previste dal contratto nazionale di lavoro. Una realtà che trova impreparate le giovani nuove leve. Fortunatamente non sempre è così. Da qualche anno insegni presso una scuola professionale alberghiera. Puoi espormi la tua esperienza nell’affrontare queste problematiche con i tuoi studenti?

elio-ghisalberti-2L’obiettivo primario di una scuola professionale è, o meglio dovrebbe essere, quello di preparare gli studenti al lavoro. Dove insegno, a me sembra che i colleghi che si occupano delle materie tecnico-professionali mettano da subito con i ragazzi le cose bene in chiaro riguardo ai sacrifici che comporta il mestiere che hanno scelto di imparare. E’ pur vero tuttavia che in buon numero gli studenti iniziano il percorso totalmente privi di questa consapevolezza, ammaliati più dal fenomeno mediatico dei cuochi star che da una reale passione per la ristorazione. Durante il percorso formativo, grazie anche agli stages che vengono regolarmente organizzati, di pari passo alla crescita della consapevolezza avviene spontaneamente, fisiologicamente, la selezione. In questo senso potersi confrontare con il mondo del lavoro sin da giovanissimi aiuta, e molto, tant’è che chi sceglie le nuove formule scolastiche a diposizione, tipo l’alternanza scuola-lavoro, dimostra non solo di avere più chance di concludere gli studi, ma di sviluppare più in fretta le proprie attitudini. Se poi la domanda contiene implicitamente una critica al trattamento riservato dai ristoratori agli stagisti ed ai giovani cuochi in genere, beh, qui torniamo alla considerazione fatta sopra a proposito della credibilità della figura del critico enogastronomico: questione di persone, non certo del movimento della ristorazione nel suo insieme. Attenzione però a dimenticare un fatto oggettivo: in cucina il lavoro è per sua natura complesso e pesante, e più in generale il mestiere nel mondo della ristorazione ha peculiarità specifiche tali da non consentire una vita sociale per così dire omologata. 

  • Di guide, di riviste e di manifestazioni ne hai seguite e ne segui ancora tante. Cosa pensi si possa fare per migliorare la comunicazione in questo settore, soprattutto dopo l’ondata social che ha travolto, anche se per alcuni stravolto, il modo di rapportarsi con la ristorazione?

Fondamentalmente credo che sarebbe utile una selezione feroce, un ritorno ai valori della conoscenza, della competenza, e perché no anche delle buone maniere e del buon senso. No ho alcuna speranza che ciò avvenga. 

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Ringraziando Elio riprendo la parola.

In conclusione cosa resta da dire… Forse solo che – nonostante io ami il giornalismo d’inchiesta – fare del sensazionalismo senza approfondire a dovere i temi trattati serva solo a creare confusione tra i consumatori.

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