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L’Oltrepò Pavese e San Gimignano a Milano. Mani esperte, buona accoglienza e… le mie gaffes!

Nella foto Stefano Forzoni [sTen]*, Giorgio Trovato ed Enrico Fiorentini fotografati durante una divertente gaffe di cui mi sono resa colpevole.

Giovedì 26 Giugno ho partecipato ad una serata di degustazione dedicata all’Oltrepò Pavese Cruasé e alla Vernaccia di San Gimignano. Assaggi di vini, di cibi e cuochi in scena. Protagonisti dello show cooking: Enrico Fiorentini, Executive Chef del Ristorante Il Canneto Sheraton Milan Malpensa, e Giorgio Trovato, Executive Chef dell’Hotel Villa Curina Resort di Castelnuovo Berardenga a Siena.

Fatte le doverose presentazioni, be’, c’ero anch’io, come sempre piacevolmente accolta allo Sheraton Milan Malpensa. Qui mi fermo un attimo per una doverosa premessa, che a voce ripeto spesso, ma che non ho mai scritto.

Ricordo la prima volta in cui sono stata in questo hotel. La mia prima impressione dall’esterno, vista la sua posizione davanti all’aeroporto, fu di un’ambiente adatto ad una sosta di passaggio, dove la gente, frettolosamente, entra ed esce. Ebbene, non è così.

L’atmosfera che si vive, e che ho sempre vissuto ogni qualvolta io mi sia fermata li, è di cortesia, di buone maniere, ma soprattutto di tranquillità. L’ambiente elegante, accessibile e dai grandi spazi, non fa avvertire per nulla il ritmo frenetico che ci si aspetterebbe da un hotel in questa posizione. Sono requisiti, per me, tra i più importanti. Significano buona accoglienza e un sicuro ‘passaparola’, il metodo più amato dagli italiani.

Non dimentichiamo che le aziende sono fatte dalle persone, e le persone come sempre fanno la differenza in qualsiasi realtà. Avere un rapporto sano e corretto con il proprio personale, influisce positivamente sul lavoro e conseguentemente sulla soddisfazione finale dell’utenza. Un vero investimento sulla qualità dell’accoglienza, che incide in modo rilevante sui risultati.

Scuserete la mia lunga premessa, ma oltre a raccontare di eventi, amo dare un senso a ciò che scrivo. Tornando alla serata coordinata da Carlo Vischi  del ciclo “Il vino è il viaggio… il bicchiere è il suo mezzo”, alla quale ho partecipato accettando con piacere l’invito dell’amica Micaela Scapin, bè, che dire… che ho assaggiato vini e ho assaporato cibi interpretati da mani esperte che ora vi presento.

  • Enrico Fiorentini

Dal 2010 Executive Chef del Ristorante Il Canneto Sheraton Milan Malpensa. La sua, una formazione multiculturale grazie alle esperienze fatte in Italia e in svariati paesi all’estero.

Con Enrico ci si conosce da tempo. Come sempre bravo, simpatico e un po’ pazzo. Ci sta anche quello… Diffido di chi non si lascia andare di tanto in tanto. Se volete conoscere l’uomo oltreché il professionista, vi consiglio la lettura di una nostra ‘chiacchierata’ di qualche tempo fa nata dalla fotografia di un suo piatto. Ne riporto un passaggio.

“Enrico Fiorentini, lo chef, ma soprattutto l’uomo”

“Cinzia, posso iniziare col dirti che mi piaceva stare in cucina visto che i miei, per motivi di lavoro, erano spesso assenti.  Il sabato era giorno di mercato, si faceva la spesa, e poi, tornati a casa, si pulivano le verdure. Mi piaceva la manualità e la trasformazione dei prodotti in pietanze, era affascinante, e lo è ancora. Ricordo un vecchio libro di cucina trovato in un cassetto, “Il Carnacina”. Inizialmente mi risultava quasi incomprensibile, poi, in occasione delle festicciole a fine scuola ai tempi delle medie, l’ho utilizzato cimentandomi in qualche ciambella marmorea non propriamente lievitata. Al pensiero sorrido ancora… Quando giunse il momento di scegliere l’indirizzo della scuola superiore mi è venuto spontaneo orientarmi verso l’alberghiero. Non ero conscio della vita di sacrifici alla quale andavo incontro…”

(Per continuare a leggere clicca qui)

  • Giorgio Trovato

Executive Chef dell’Hotel Villa Curina Resort di Castelnuovo Berardenga a Siena. E’ fondatore della ‘Trovato Food Project’, società di consulenza nella ristorazione. Inoltre è presidente e docente della Federazione Italiana Professional Personal Chef (Fippc) che, attraverso corsi di aggiornamento, si pone come obiettivo la formazione e l’aggiornamento dei cuochi.

Il mio incontro con Giorgio è avvenuto in modo divertente. Diciamo che, per un’incomprensione iniziale, mi era sembrato un tipo un po’ altezzoso. Proprio per questo mi ero ripromessa, appena mi si presentava l’occasione, di dargli una ‘sistemata scherzosa delle mie’. Peccato che, facendo una clamorosa gaffe, ho sistemato la persona sbagliata!  😉

Mi spiego… Non essendo molto fisionomista ho scambiato Giorgio con il povero Stefano Forzoni, più conosciuto come [sTen]* (stenblog.com). Il poverino, perplesso, ascoltava senza riuscire a capire… e nemmeno a parlare! Volete sapere com’è finita? Be’, mi è toccato ripetere la manfrina al vero colpevole, che poi colpevole non lo era affatto! Una volta chiarito l’equivoco, dopo un’inevitabile sonora risata, ho rapito lo chef per conoscerlo meglio, raccontandoci come piace a me, con uno scambio alla pari di esperienze di vita.

Calabrese di nascita, ma senese di adozione, nonostante aver conseguito la laurea in giurisprudenza, ha trasformato l’amore per la cucina che gli ha trasmesso la nonna, nella sua professione. La sua, una cucina intesa soprattutto come seduzione, convinto che, l’attesa primaria di chi si esprime attraverso la preparazione dei piatti, si realizzi appagando i sensi e dando piacere e ricordo nel tempo.

Cosa mi è piaciuto più di Giorgio? La semplicità e la simpatia con cui ha reagito alle mie piccole provocazioni, ma soprattutto mi è piaciuta la sua attenzione all’agricoltura, alle tradizioni e ai prodotti autentici della terra. Dico spesso che i ristoratori, con le loro scelte verso le produzioni, possono molto sia per i territori che per le loro economie. Cucinare è molto più che preparare un piatto.

Alessia Bianchi e Stefano Forzoni, alias Sten

Con Alessia Bianchi e Stefano Forzoni [sTen]*

 

 




E’ tempo di tartufi. Lo sapevate che…

Dunque, ora vi spiego. Qualche sera fa ho partecipato ad una serata in cui il  protagonista è stato un tartufo, e che tartufo… il  “tartufo bianco d’Alba”! 

Alberto Cirio, Assessore al Turismo e alla Tartuficoltura Regione Piemonte, presentato da Carlo Vischi, organizzatore della serata, ne ha descritto le peculiarità e ne ha raccontato la storia.

I tartufi non sono coltivabili, sono funghi ipogei ‘spontanei’ che compiono il loro intero ciclo vitale sotto terra. Crescono in aree ben determinate e in particolari condizioni ambientali, vivendo in simbiosi con le radice di alcune piante. La loro nascita è ancora avvolta in un mistero. Plinio racconta che un fulmine di Zeus, scagliandosi sulla terra, fertilizzò il punto da cui ebbe origine.  Comunque sia andata, io continuo ad amarne i profumi e i delicati sapori che trasformano un semplice piatto in una prelibatezza degna degli dei… 😉 

La location dell’evento è stata quella dell’Hotel Sheraton Milano Malpensa, mentre la predisposizione del menù è stata coordinata da Enrico Fiorentini, chef executive del Il Canneto, in collaborazione con i colleghi Walter Ferretto del Cascinale Nuovo di Isola d’Asti, e Bruno Cingolani de Le Scuderie del Castello di Govone. 

In passato, dopo aver visitato l’annuale Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, ho avuto modo di approfondire la conoscenza di questo fungo pregiato. Dal 12 Ottobre avrà inizio una nuova edizione, ben l’83esima che, con un ricco ventaglio di appuntamenti, ne celebrerà gli usi e le tradizioni.

Fatta questa premessa, visto che non si finisce mai di imparare, oggi vi parlerò di tartufi! 

Lo sapevate che…

  • Esistono molte specie, ma il tartufo bianco bianco d’Alba, il Tuber Magnatum Pico, è quella più pregiata e di maggiori dimensioni. Pensate che il suo valore si aggira intorno alle 250-300 euro l’etto. Il Piemonte è la regione in cui è più presente, ma si può trovare anche in Lombardia, sulle colline dell’Oltrepò Pavese, nel mantovano, e sia pur rarissimamente, nell’Italia centrale. 
  • Il tartufo contiene circa l’80% di acqua. È ricco di potassio, di calcio, di sodio, di magnesio, di ferro, di zinco e di rame. Comunque sia, il suo valore non incide in modo rilevante sull’apporto alimentare. Per gli appassionati è puro piacere degustativo. 
  • Un tempo il tartufo bianco d’Alba si conservava nel riso, ora, per la sua conservazione, viene consigliato di tenerlo avvolto in carta assorbente e in ambiente fresco con temperatura dai 3 ai 6 gradi. A garanzia del prodotto si vende in un sacchetto numerato riconducibile all’origine di provenienza.
  • Nell’Ottobre del 1990 si è costituita ad Alba l’Associazione nazionale città del tartufo per la promozione e la diffusione della cultura di questo pregiato fungo apprezzato nel mondo. La qualità viene determinata dal giudizio di esperti, uomini e donne, appositamente formati. 
  • Per valutare la qualità di un tartufo bisogna basarsi su ‘vista, tatto e olfatto’. Un tartufo deve essere ben pulito affinché i residui di terra non ne coprano i difetti. Al tatto deve essere compatto ma con una nota lievissima di elasticità, mentre al naso il suo odore è percepibile solo nel momento della maturazione. I suoi profumi ricordano l’aglio, il fungo e la terra bagnata. 
  • Per il cercatore di tartufi, che in Piemonte viene chiamato con il termine dialettale trifolau o trifulé, la buona intesa con il cane scavatore addestrato è fondamentale. La ricerca del prezioso fungo avviene da Settembre a Gennaio, e preferibilmente di notte, questo per non destare troppe attenzioni mantenendo segreti i tragitti seguiti. Da ciò è facile dedurre che la conoscenza del territorio è fattore essenziale per il buon esito della missione. La legislazione italiana prevede che la raccolta sia libera, sia che avvenga nei boschi che nei terreni non coltivati.

Oltre a questa pregiata qualità, ce ne sono molte altre con un prezzo più accessibile. Senza togliere l’indiscussa corona al tartufo bianco, cito ad esempio i tartufi neri pregiati, reperibili fino a Marzo, oppure tra Aprile e Maggio i bianchetti, o a Luglio gli scorzoni. 

Il tartufo bianco si pulisce bene ma non si sbuccia. A differenza di quello nero, non va cucinato. Viene utilizzato come condimento crudo, tagliandolo a fettine sottili su piatti poco conditi. Come me, ama i piatti semplici e non troppo elaborati. Forse è per quello che durante la serata l’ho apprezzato in particolare sul risotto e sulle uova.

Che sia anch’io un po’ trifulé ?! 😉

 

Fonte: “Alla scoperta del tartufo” – Slow Food Editore

 




Le fettuccine allo zafferano raccontate da Enrico Fiorentini, lo chef, ma soprattutto l’uomo

Qualche sera fa Enrico Fiorentini, chef del Ristorante Il Canneto presso lo Sheraton Milan Malpensa Airport Hotel, mi ha proprio stupito! Ora vi spiego il perché…

Quando vedo pubblicate sui social network fotografie di piatti senza le minime spiegazioni mi stizzisco alquanto. Mi piace capire quello che vedo, ed è per questo che la curiosità di conoscere non mi trattiene dal chiedere informazioni in merito alle creazioni dello scorribande cuciniere di turno.

Sono convinta che la curiosità, se ben posta, vada a buon fine. E’ giusto chiedere senza alcun timore di non sapere. Molti non sanno, ma ahimè non chiedono. Si può fare buona cultura del cibo, dei vini, degli oli e degli aceti anche così, con pillole informative che fanno scoprire un mondo sommerso di cose buone.

Bene, questa volta il fotografo-cuoco-creatore ad essere pizzicato è Enrico Fiorentini.

Devo confessarvi, visto che io stessa quasi non ci credevo, che, dopo un paio di volte in cui ironicamente gli ho sottolineato la mancanza, per rimediare ha voluto dedicarmi un piatto, ma non solo, me lo ha anche raccontato senza che io glielo chiedessi! 😉

Leggete qui di seguito come lo ha descritto…

“Fettuccine allo zafferano trafilate al bronzo con crema al finocchietto, prugne rosse e cacao”

Cinzia, la fettuccina allo zafferano trafilata al bronzo, è una produzione limitata dell’Az. Agr. Vigna di More, un’azienda marchigiana molto piccola, anzi piccolissima, di cui la titolare è una delle persone più semplici e genuine che io abbia mai incontrato.

La prugna rossa in questo periodo è al suo massimo, con l’equilibrio tra aspro e dolce è estremamenteFettuccine trafilate al bronzo sugosa. La fava di cacao impreziosisce e dona quel carattere di croccantezza e autorevolezza nei confronti dello zafferano, nobile spezia ricavata dal cuore dei fiori. Il finocchietto selvatico infine, è l’erba spontanea per eccellenza in questa stagione, dona freschezza, leggerezza e piacevole sensazione di pulizia al palato.

Ti ho dedicato questo piatto perché secondo me hai molte similitudini con tutte queste qualità che ho appena elencato. Una sobria eleganza e una sofisticata semplicità… un connubio di qualità che potrebbero sembrare contrastanti, mentre invece sono l’una la compensazione dell’altra. 

Devo dire che Enrico mi ha piacevolmente sorpreso. Pensate che appena l’ho conosciuto mi stava un pochino antipatico. Gli ho chiesto di raccontarmi un po’ di lui, ma con una raccomandazione, di usare il cuore…

Ma chi è Enrico Fiorentini? Intendo l’uomo, oltre che lo chef…

Cinzia, posso iniziare col dirti che mi piaceva stare in cucina visto che i miei, per motivi di lavoro, erano spesso assenti.  Il sabato era giorno di mercato, si faceva la spesa, e poi, tornati a casa, si pulivano le verdure. Mi piaceva la manualità e la trasformazione dei prodotti in pietanze, era affascinante, e lo è ancora. Ricordo un vecchio libro di cucina trovato in un cassetto, “Il Carnacina”. Inizialmente mi risultava quasi incomprensibile, poi, in occasione delle festicciole a fine scuola ai tempi delle medie, l’ho utilizzato cimentandomi in qualche ciambella marmorea non propriamente lievitata, al pensiero sorrido ancora…

Quando giunse il momento di scegliere l’indirizzo della scuola superiore mi è venuto spontaneo orientarmi verso l’alberghiero. Non ero conscio della vita di sacrifici alla quale andavo incontro. Già dal primo anno fui coinvolto dal mio chef dell’epoca, Marco Olivieri, in piccoli eventi extra scolastici. A distanza posso dirti senza alcun dubbio che ho avuto fortuna, perché si trattava di un serio professionista che svolgeva il suo lavoro con passione. Ecco la parola chiave per chi si avvia verso questa carriera, la passione e il feeling, requisiti fondamentali per chi vuole cucinare.

Non nascondo che mettevo più impegno nel lavoro che nella scuola, ovviamente quando ce n’era l’opportunità; per questo colgo l’occasione per ringraziare la mia famiglia che costantemente mi ha sempre appoggiato. Finiti gli studi ho iniziato con le prime esperienze, da Peck, da gli Orti di Leonardo, da Il Duca di Milano, fino alla Costa Smeralda e alla Toscana, per poi continuare all’estero, con l’incontro di nuove culture e di cucine etniche. Una continua metamorfosi dell’essere uomo e chef che era in me.

Con i viaggi all’estero sono cambiate molte cose nella mia vita, è subentrata la solitudine, la malinconia, la lontananza. E’ stato allora che mi sono concentravo più sul lavoro, chiudendomi in me stesso, nel mio mondo, sicuramente con un impatto diverso sull’essere, diventando meno social, meno comunicativo, più chiuso, orso e lunatico. Quando tornavo, dopo un lungo soggiorno all’estero, mi ritrovavo quasi catapultato in un ambiente che non riconoscevo più. Quando giungeva il momento di ripartire mi invadeva l’ansia e l’angoscia… Un susseguirsi di forti emozioni che sfogavo in cucina, forse, perché col tempo, cresce l’emotività…

Era questo che volevo da Enrico, volevo che uscisse l’uomo e così è stato. Leggendo le sue parole, oltreché ad emozionarmi, ho capito un pochino di più che cosa significa oggi essere uno chef affermato. Un mestiere duro che, visto dall’esterno, non rende realmente l’idea delle difficoltà. Come dico spesso, per capire le persone e il loro lavoro, l’unica è viverle, direttamente sul “campo”.

Enrico ama molto anche la musica. Questa è quella che ha voluto regalarmi, una musica che sa di mare, di estate, e di passeggiate sulla sabbia a piedi scalzi…

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