1

Da Gianni Cogo, a Giorgio Grai, a Michele Bean, a Franco Dalla Rosa. Nessun incontro è per caso…

Un unico denominatore comune, un grappolo d’uva fatto di tante piccole sfere. Il cerchio si è chiuso, per lo meno questo cerchio. In Giapponese la parola cerchio è tradotta in ‘enso’, e significa illuminazione, forza, universo. E’ il momento in cui la mente si libera dando sfogo alla creatività.

C’era una volta, in un tempo passato, in cui vivevo la mia vita con il freno a mano tirato. Ruotava su se stessa, senza portarmi da nessuna parte. Non vivevo, o meglio, sopravvivevo. Accettare una vita che mi autoconvincevo di avere la fortuna di vivere, era una sfida con me stessa. Ma ora mi chiedo – ma perché mai dovremmo farlo?! –

La vita è vera solo se vissuta. Nel momento in cui lo capisci, pian piano lasci andare il freno a mano, e tutto cambia… Cambia a tal punto che non riesci più a vivere la vita di prima. Quello è l’unico problema. E allora corri, conosci, ricerchi, ma finalmente vivi.  Ed è così che succede che mentre continui a vivere quello che non hai vissuto, e a conoscere quello che non hai conosciuto, incontri persone che ti consigliano, e con cui senti l’esigenza di parlare.

“Nessun incontro è un caso… Incomincio a pensare e a credere decisamente che sia così, e questo pensiero rende la vita più divertente e piena di significato. Se riguardate alla vostra vita passata, potete constatare che ogni persona che avete incontrato, ogni singola persona, ha contribuito a suo modo a farvi essere quello che siete oggi. Kay Pollak”

Ricordo ancora quando incontrai Giorgio Grai su consiglio del viticoltore Gianni Cogo. Quando mi chiese il motivo della mia visita, gli risposi che non lo sapevo, o meglio, ero li per capirlo. Grazie a lui, nonostante le prese di posizione un po’ aspre, mi sono imbattuta in un enotecnico del Collio Friulano, Michele Bean. Incuriosita da alcune sue affermazioni legate a Grai, gli chiesi di incontrarci.

Michele è un giovane enotecnico della terra del Collio. Spigoloso ma genuino, passionale e con vero credo per la terra, convinto come me, che il vino sia fatto da persone. Uno di quegli uomini che i più definiscono ruvidi, con cui io amo confrontarmi. Ci siamo trovati in una piazza di Treviso.

Michele Bean ha iniziato la sua attività nei Colli Orientali del Friuli, seguendo ogni fase della viticoltura, come è giusto che sia per chi vuole realmente capire, imparare e migliorare. Dopo un’esperienza negli USA, nel 2003 è tornato in Italia.  Ora è consulente di aziende in Sicilia, in Toscana e in Friuli. Ma non solo, visto che sta sperimentando nuove realtà e nuovi vitigni in Serbia.

Mi piace aver a che fare con persone stimolanti, che non vogliono vivere per forza sui binari. Il vino ti da la possibilità di diventare una persona migliore, se ne sai carpire l’essenza. Non è il prodotto in se… è una cosa che va ben oltre. E’ quel guizzo che vedi negli occhi quando fai assaggiare cose buone ad altri. E’ la voce rotta di un produttore “vero”,  quando ti parla della sua esperienza di vita e del suo percorso. Sono propositivo, leale, elastico ma per nulla molle, visionario, ma in continua crescita… Michele Bean”

Mi consigliò di conoscere un uomo in cui riponeva profonda stima e rispetto, Franco Dalla Rosa.  Mi disse: Lui mi ha formato. Una buona parte della mia conoscenza di base è la sua.”  Ho seguito il consiglio.

Franco Dalla Rosa, uno di quegli uomini che quando ti stringono la mano lo fanno sul serio. Un uomo semplice dal volto buono e dalla lunga esperienza. In una vecchia Osteria di Treviso mi ha raccontato brevemente il suo percorso di vita. Nato ad Asolo da una famiglia contadina. Suo padre, che mi ha descritto con grandi parole d’ammirazione, è colui che gli ha trasmesso quell’amore per la terra che lo ha portato verso il settore dell’enologia. Dopo gli studi a Conegliano ha intrapreso la sua strada nel mondo del vino lavorando prima nella Cantina sociale di Asolo, per poi continuare nell’Azienda Cà Ronesca a Dolegna del Collio. Qui ha incontrato un giovane appassionato che iniziava a compiere i suoi primi passi nella viticoltura, Michele Bean.

Nel pomeriggio passato insieme si è discusso di tradizioni, di cultura del vino, e di termini abusati e impropri quali “bollicine” e “prosecchino” che, sminuendo il vino senza far cultura, favoriscono le produzioni industriali legate alla quantità e non alla qualità.

Franco ora è tornato a svolgere la sua attività di enotecnico ad Asolo, perchè le radici lo hanno chiamato, perchè quest’uomo è parte integrante di questa terra.  Ha un progetto: recuperare un vitigno a bacca rossa quasi estinto in cui crede. Ma questa è un’altra storia…




L’ingegnere brianzolo nelle vigne delle terre armate

“Le terre armate direte…? Ah bè, siamo apposto, se si armano anche le terre ora!” Datemi un attimo, che vi spiego!  Questo è forse l’unico caso in cui l’armatura, è di gran lunga una vera fortuna!

Recentemente ho avuto il piacere di conoscere Gianni Cogo, vignaiolo brianzolo, o meglio, ingegnere brianzolo che per passione produce vino a Bonassola alle porte del golfo del Tigullio e del parco delle cinque terre.

Bonassola, antico borgo marinaro dai vicoli stretti e dal clima mediterraneo in cui si può passeggiare guardando il mare tra bouganvillee, ginestre, alberi di ulivo e di pino, erbe aromatiche e agrumeti.

Gianni ha origini venete come me; il destino lo ha portato ad innamorarsi di un fazzoletto di terra sulle colline del Levante ligure; le terrazze a ridosso del mare strappate grazie alle opere di ingegneria naturalistica, sono la sua caratteristica saliente.

L’Azienda Agricola Valdiscalve nata nel 2003, gestisce 4000 mq di terreni acquisiti grazie ad una ricostruzione e meccanizzazione dei terrazzamenti; è condotta da Gianni insieme alla moglie Maria, architetto di professione, vignaiola per passione. Dai vitigni autoctoni Vermentino, Albarola e Bosco, nei Poderi Reggimonti e Salice, tra la brezza iodata nasce il suo VermentIng Colline di Levanto Bianco D.O.C.

Con Gianni ho passato un intero pomeriggio a parlare, come piace a me, per conoscere e capire.  Le difficoltà che accomunano i racconti di chi investe la propria energia e la voglia di fare nell’agricoltura sono ormai una triste consuetudine a me ben nota.  La cosa interessante, che mi affascina e che mi piace scoprire, è quell’elemento distintivo che ciascuno di noi mettendo a frutto la propria esperienza trasferisce nel proprio operato.

Sono sempre più convinta che la terra ci possa salvare se sapremo salvare lei…  Gianni Cogo sta andando proprio in questa direzione, unendo l’esperienza del suo lavoro alla passione per la viticoltura. Nel rispetto delle caratteristiche del territorio ha applicato “la tecnica delle terre armate” per ripristinare le antiche terrazze.

  • Lascio a Gianni il compito di spiegare meglio di cosa si tratta:

Le terre armate sono costituite da un sostegno in acciaio internamente rivestito da una rete in yuta e ancorato al terreno. Dopo essere riempite di terra, le terre armate vengono inerbite con erbe tradizionali. Permettono di stabilizzare terreni anche con pendenze scoscese, perdurano nel tempo, si inseriscono armonicamente nel paesaggio e permettono di sfruttare al meglio la superficie di terreno coltivabile.

Il ripristino delle terrazze con tecniche moderne ha inoltre permesso di regimentare gli scoli di acqua piovana così da ridurre il rischio di smottamenti del terreno. Le terrazze sono meccanizzate, ovverosono state congiunte con un sistema di “sentieri” percorribili con dei piccoli mezzi agricoli (trattorini). Su ogni terrazza è presente un sistema di irrigamento centralizzato “a goccia” che permette di ridurre al massimo gli sprechi idrici innaffiando direttamente ogni vite alla base secondo le necessità della stagione. Grazie a questo sistema, la percentuale di barbatelle che non attecchiscono è estremamenteridotta.

Riprendo la parola io per dire che…

Tengo molto ad  approfondire questo tema visto il rischio idrogeologico del nostro paese. L’argomento è stato affrontato recentemente a Roma in una Conferenza nazionale che ha coinvolto associazioni legate all’ambiente ed esperti del settore. I dati emersi non poco allarmanti. Ben 6.633 comuni a rischio idrogeologico. Frane, alluvioni, smottamenti, devastazioni ambientali, conseguenti alla speculazione edilizia, alla scarsa attenzione per il patrimonio boschivo, all’abbandono di terreni per politiche agricole poco accorte, che non aiutano il lavoro dei contadini e compromettono lo sviluppo dell’agricoltura.

La Liguria è una delle sfortunate regioni protagoniste di queste disavventure.  Lo scorso autunno colpita nel cuore delle Cinque Terre con la caduta della Via dell’amore, un percorso sospeso famoso nel mondo; senza dimenticare poi il disastro causato dall’alluvione che ha coinvolto precedentemente anche la Toscana con cumuli di detriti e fango che hanno sommerso intere zone.

Stiamo vivendo una gravissima emergenza economica e ambientale conseguente a errori imperdonabili di incapaci che hanno speculato sul territorio e sugli Italiani. Le denunce continue gridate a più voci non devono essere motivo di speculazione. Chi di competenza, dovrà con urgenza mettere sui tavoli dei lavori il tema agricoltura, per porre in condizione agevole chi può ancora far si che l’Italia si risollevi dal fango che l’ha investita.

Il rapporto uomo-natura si è dissociato come il rapporto uomo-uomo, la perdita di collegamento e di relazione con la natura ha accresciuto il disagio esistenziale… Ma il rifugio è pur sempre la riscoperta del mondo, della natura, e la presa di coscienza di ciò che ci sta attorno…

Prof. Paolo Michele Erede (medico e filosofo)

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: