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Roberto Franzin, un cuoco a Roma con il cuore a Treviso

Ci sono cuochi che sentono la necessità di vivere in intimità la loro cucina. La loro missione è, oltre che cucinare, dare la giusta espressione del territorio ai piatti che elaborano.

A tal proposito mi vengono in mente le parole del mio caro amico romano Giorgio Ferrari: “Il territorio italiano pulsa di Storia ad ogni passo. Perché certi piatti si fanno così in un determinato posto e non in un altro? Perché la creatività, la fantasia e le esigenze della gente di quel posto hanno creato quella cucina”.

E’ cosi che Roberto Franzin, un cuoco di Treviso trasferitosi a Roma da qualche anno, mi ha descritto il suo lavoro. Ho avuto modo di conoscerlo recentemente ad un workshop organizzato dal Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana a cui ho partecipato.

Lui di Treviso, io di Treviso… bè, il risultato è stato di tante chiacchiere e sorrisi. Roberto ha un sogno nel cassetto, tornare a casa, tornare alla sua Treviso. Un sogno che condividiamo… Ma ora è il suo momento, e quindi vi racconterò di lui.

Ha iniziato lavorando in una trattoria di campagna dove la cucina povera era protagonista.

“Cinzia, ricordo quel periodo con profonda emozione, perché oggi più di prima sono convinto che quello che mi hanno insegnato allora, è più importante di quello che pensavo di aver scoperto dopo”.

Suo padre lavorava la terra per conto di terzi, a volte Roberto lo seguiva nel vigneto. La terra insegna…

“Con lui ho imparato a sentire il profumo della terra, ma non solo, ho imparato che le piante vanno amate, non dominate… niente deve essere forzato”.

Sua madre per breve tempo conobbe la Sicilia e il calore e i profumi di una terra unica.

“Lei mi ha trasmesso l’amore per la cucina e il rispetto di quei prodotti che sapientemente coltivava nel suo orto. Ho carpito così il gusto delle cose semplici… nei ricordi interpreto il presente”.

Il suo percorso di cuoco è iniziato nel 1985 al Ristorante L’Estroso, a Oderzo, in provincia di Treviso.

“Gli anni passano, e dopo un decennio mi accorgo che per seguire bene la mia passione devo liberarmi della burocrazia e della contabilità. Da qui la scelta di lavorare come chef alle dipendenze, occupandomi esclusivamente del menu e della gestione della cucina… raggiunta la mia maturità potevo finalmente dedicarmi alla mia passione: mi offrono di prendere la guida del Ristorante La Corte della famiglia Zanon presso il Relais & Chateau Villa Abbazia di Follina, nobile palazzo del XVII secolo.”

Il 14 Agosto 2009 Enzo Vizzari, direttore dell’Espresso, organizza a Treviso un convegno sulla cucina facendo intervenire due grandi docenti del panorama europeo: Santi  Santimaria, cuoco spagnolo del Ristorante Can Fabes, e lo chef  Jean-François Piège, cuoco francese di Les Ambassadeurs Hôtel de Crillon di Parigi. In quell’occasione Roberto osserva cercando di capire i due poli di congiunzione di due grandi della cucina a cui ha l’onore di assistere.

“Pièges grande tecnica, Santimaria territorio puro. Sono curioso, ho imparato a osservare, non mi limito a guardare: sono due cose diverse. Ritengo sia importante la ricerca, ma non mi piacciono le cose estreme. Alle volte mi concedo qualche volo, pur restando sempre legato al mio territorio. Cerco di rivalutare la materia prima, perché la considero il punto di partenza per una buona cucina”.

Ed è proprio con Santi Santimaria, che, dopo una lunga chiacchierata e un pezzo di pane intinto con un pomodoro e condito con olio extravergine d’oliva, si apre la via. I piatti di Roberto iniziano ad alleggerirsi.

“Decisi allora di concentrarmi sulla ricerca delle mie radici, trovare l’espressione per far sentire chi ero e da dove venivo. Oggi la mia cucina è cosi…. Territorio”.

Il percorso di Roberto è continuato a Roma, all’Osteria Le Coq. Il destino alle volte ci porta via dalla nostra terra, dai ricordi, dai suoi profumi. Il richiamo delle radici però è troppo forte…

“Quando torno a Treviso l’emozione è sempre la stessa.  Credo che in ognuno di noi risieda questo legame del vissuto, del richiamo delle radici, quasi un cordone ombelicale… Il ricordo del pranzo della domenica, dell’profumo del bollito, del rafano che mio padre grattava e conservava sotto l’aceto, del pane della festa, dell’odore della legna che brucia nel camino… Nella mia cucina e nei piatti che abitualmente preparo, vengono evocati quei momenti”.  

Oggi Roberto, presso il ristorante Le Coq, elabora un menu dal nome Briciole legate al suo essere. Una sequenza di portate che racconta, affacciandosi dalla cucina ai tavoli, per far partecipare gli avventori come se fossero seduti nella cucina di casa sua.

“Non mancano le contaminazioni, come la Carbonara D’Oca coi Bigoli, le Oche che i Romani portarono a Mondragon, piccola collina del trevigiano. Li le allevavano per alimentare il popolo ebraico della Giudecca, sono cosi che nascono i miei piatti. Non dobbiamo dimenticare la storia… se facciamo un passo indietro, torniamo a quello che io ritengo sia il futuro. Come per lo storione in porchetta, per ricordare ai romani che un tempo anche il Tevere era popolato da questo pesce preistorico. Questo genere non si è mai evoluto alle esigenza del territorio, ma ha preferito allontanarsi. Oggi nel Sile e nel Piave esistono ancora degli esemplari che sono protetti. Il gioco e li, risiede in quel sasso rovente raccolto nel Piave che regge un trancio di quel pesce che un tempo popolava quasi tutto l’adriatico e i suoi fiumi, la brace sotto a formarne una affumicatura lieve, accompagnato da un gelato in carpione di acqua di radicchio e cipolla di Bassano con sentori di fumo. Il carpione era usanza della cucina di un tempo come il savor, per conservare più a lungo i cibi cotti… ma qui messo per conservarne la storia”.

Non dimenticare da dove vieni, altrimenti non potrai raccontare chi sei, queste le parole che mi ha confidato Santi Santimaria… Roberto Franzin

 




Una bionda lombardo-veneta e una rossa romano-moscovita lungo la tratta: “Roma Salerno Napoli” …due donne col cappello!

In un tempo ormai passato, programmavo i miei viaggi organizzando tutto al minuto. Predisponevo tappe, visite, soste, pianificando ogni cosa alla perfezione. Non è che ora non lo faccia più, visto che, la mia naturale propensione all’organizzazione non me ne potrebbe proprio far fare a meno! In realtà, la cosa che è veramente cambiata, è la leggerezza con cui vivo il viaggio, diciamo che mi lascio andare al fato… chiacchiero, sorrido, scherzo, unendo alla conoscenza l’emozione dell’attesa e della scoperta.

Ho fatto questa premessa per farvi capire lo stato d’animo che mi ha accompagnato durante il mio ultimo tour verso Roma. Li mi attendeva un’amica, Giulia Nekorkina, con la quale si è deciso di rivivere insieme una vacanza percorrendo la tratta “Roma Salerno Napoli”. Due donne, una bionda lombardo-veneta e una rossa romano-moscovita, che in sei giorni hanno condiviso momenti allegri e momenti tristi, ricordi, pensieri, paesaggi, emozioni e… due cappelli! 😉

Ebbene, lo dichiaro: “amo i cappelli”, a volte li compro e a volte me li faccio. Li indosso nonostante gli sguardi straniti della gente non più abituata allo stile femminile dei tempi in cui era più diffuso l’uso. Tempo fa ne avevo promesso uno a Giulia confezionato da me e…  quale migliore occasione per mantenere la parola data se non questa. L’ho conosciuta poco tempo fa. Di lei mi avevano colpito alcune frasi che scriveva su un noto social network. Nelle sue parole si avvertiva il dolore, ma nel contempo, la forza e la voglia di ricominciare… la stessa che riconosco in me.

Dopo un nostro incontro a Milano, dopo aver parlato a lungo ascoltandoci a vicenda in quello che ognuna sentiva di raccontare della propria vita, per un periodo ci siamo scritte. Un giorno, dopo averle espresso la mia nostalgia per Napoli e per la Costiera Amalfitana, lei decisa mi ha risposto: “Cinzia, potremmo andarci insieme!” E’ bastato solo un attimo per decidere…

Sono partita in treno un sabato pomeriggio combinandone subito una delle mie! Praticamente, appena salita sulla carrozza mi sono resa conto di aver dimenticato la borsa con i cappelli dopo averla appoggiata a terra per fare una foto! Nooo, mi son detta! Sono scattata come una molla dal sedile chiedendo ad una persona di custodirmi la valigia, peccato che il treno sarebbe partito da li a tre minuti… Dovevo agire in fretta! Mi sono precipitata verso il recupero tra fiocchi, tacchi, e nastri fuxia tra i capelli che svolazzavano. Io correvo da una parte in cerca della borsa, e un addetto correva dalla parte opposta cercando una ‘smemorata’. Fortunatamente ad un tratto ci siamo incrociati, e con mia grande felicità… cappelli recuperati! 😉

Tre ore dopo ero a Roma. Salutata Giulia che mi era venuta a prendere alla stazione, ero pronta per dare inizio alla nostra avventura. 🙂  Tra le tante cose programmate, era prevista la sera stessa del mio arrivo, una cena con… “Quelli dell’Ideal Bar”, un gruppo di carissimi amici conosciuti ormai anni fa, attraverso i commenti nel salotto del bar virtuale del mio caro Giorgio Ferrari.

Il giorno seguente con Giulia abbiamo visitato il Porticciolo del Faro di Fiumicino, un luogo suggestivo, adatto per meditare, vicino a Roma ma lontano dalla frenesia, un luogo per parlare con i pescatori e vivere il mare. Lungo la strada, mentre tornavamo, Giulia mi descriveva Fiumicino raccontandomi delle sue case e della sua storia. Ad un tratto l’ho vista fermarsi ad osservare una vecchia abitazione dall’interessante struttura.  Quella casa da tempo la incuriosiva, e la tentazione di visitarla ogni qual volta passava davanti era tanta. Bene, era ora di rimediare. Guardandola le ho detto: “Ma perché mai, ove possibile, non dovremmo esaudire i nostri desideri?!”  Quindi, sotto la pioggia, abbiamo scavalcato e… curiosato!

 Era ora di partire… Prima tappa, Vietri sul Mare, cittadina in provincia di Salerno dichiarata dall’UNESCU nel 1997 patrimonio dell’umanità. Chi mi conosce sa che amo parlare con la gente…  il modo migliore per conoscere i territori che si visitano. E’ così che abbiamo incontrato la signora Irene Avallone, che, dopo averci fatto i complimenti per i cappelli, ci ha raccontato la storia della fabbrica artigianale delle ceramiche Avallone. Una storia d’artigianato tipico che continua da ben quattro generazioni…

Vietri sul Mare

Vietri sul Mare

Era arrivata ora di pranzo. Giulia ricordava di essersi fermata anni prima in un ristorantino tipico di Cetara con una terrazza sospesa sul mare. L’abbiamo trovato. Per chi ha la fortuna di vivere questo luogo non servono parole, qui serve solo il silenzio, mentre, godendosi il cibo si guarda all’orizzonte…

Ravioli

Ravioli di ricci di mare in guazzetto di cernia e vongole veraci – Ristorante Falalella – Cetara

Cetara

Cetara

Soddisfatte abbiamo continuato il nostro tour proseguendo verso Maiori. Una volta arrivate il mio sguardo si è soffermato sulle coltivazioni terrazzate rivolte al mare. Una vista suggestiva che mi ha fatto pensare al laborioso lavoro degli agricoltori della zona.

Maiori

Maiori

Un viaggio se vissuto nella sua completezza, necessita della conoscenza della sua gente, dei suoi territori e delle sue tipicità. A Minori per l’appunto, ci siamo come dire sacrificate, quando, passando davanti alla nota pasticceria della zona ‘Sal De Riso‘, non abbiamo potuto fare a meno di fermarci per qualche assaggio… 😉

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Era la volta di Amalfi, antica cittadina marinara che, con i suoi scorci e le sue viste distoglie da qualsiasi brutto pensiero. Qui abbiamo passeggiato a lungo percorrendo viuzze ricche di voci, di colori, e di tipicità.

Amalfi

Amalfi

Il nostro percorso proseguiva in direzione Positano, una città dal nome noto in cui non ero mai stata. Prima di arrivare, lungo la strada, ci siamo fermate in un punto che permetteva lo sguardo sulle luci di una Positano su cui calava la notte.

Una vista da vivere in silenzio… ‘magia, poesia, sogno’ sono state le uniche parole a cui ho pensato.

Positano

Giunta sera il mio sguardo era rivolto al mare di Sorrento… Omero nell’Odissea la descriveva come la terra delle sirene, che, con il loro canto tentarono invano di convincere Ulisse a  sbarcare.

Qui, nel 1544 è nato il poeta Torquato Tasso, autore della Gerusalemme Liberata. A lui è dedicata la piazza principale della città.

Sorrento

La nostra vacanza insieme è continuata a Pozzuoli, una città marinara fondata da un gruppo di esiliati dell’isola greca di Samo. Da tempo avevo organizzato un’uscita notturna con un peschereccio. Volevo seguire i pescatori, anche solo per una volta, per capirne meglio il lavoro. Peccato che il vento di tramontana per ben due notti consecutive ha fatto andare in fumo i miei piani. Questo è il peschereccio su cui dovevamo salire.

Pozzuoli

Per consolarmi, insieme a Giulia e ad Antonio Chiocca, pescatore e nostra guida a Pozzuoli, abbiamo passeggiato per la città visitando il Tempio di Serapide, l’antico mercato dei romani chiamato anche mercato di Puteoli, l’originario nome di Pozzuoli. Viene considerato un tempio perché durante gli scavi, nel 1750, è stata rinvenuta la statua del Dio Egiziano Serapis.

Tempio di Serapide

Dopo Pozzuoli abbiamo proseguito verso il centro di Napoli. Durante la strada la bella vista del Vesuvio, il vulcano in stato di quiescenza la cui ultima eruzione risale al Marzo del 1944, ci ha piacevolmente accompagnato. 

Li abbiamo incontrato amici finalmente ritrovati e, come si suol dire, non finisce qui…

Vesuvio




“#SocialGusto : l’evoluzione della comunicazione, e… la mia”

“Le civiltà maggiori furono dettate da popoli che ebbero le cure più grandi  nell’arte e nella scienza dell’alimento… “ da “La Cucina Italiana”  N. 1 – ANNO I – 15 Dicembre 1929

Come dice il mio caro amico Giorgio Ferrari: “Gli italiani sono la somma delle esperienze fatte nella Storia. Se si perdono si ritorna ad essere il volgo confuso che voce non ha. La cucina povera che diviene ricchezza, il vino dei contadini che diventa DOC.”

Una citazione che condivido pienamente, essendo un’appassionata di storia convinta che, per andare avanti un passo indietro va fatto. Parlo di recupero di tradizioni, di cucina povera ma ricca di storia, parlo di semplicità…

E’ un momento difficile per molti, gli ingranaggi della nostra economia stanno subendo un rallentamento generale. Dobbiamo unire, ma soprattutto dobbiamo unirci. Abbiamo bisogno di persone in cui credere, persone con vera passione per il territorio, per la sua storia e per la sua gente. Utopia, no, solo vero amore per il mio paese.

Se ognuno di noi facesse un passo avanti, a modo suo, come può, sono certa finiremmo per incontrarci. Sono una romantica nel senso più lato del termine, e lancio il mio grido, il mio #TamTamxlaTerra, per chi crede come me, che il futuro lo abbiamo sotto i piedi…

Perdonerete il mio sfogo, ma non posso far diversamente. Ogni volta che ne ho l’occasione, a modo mio, allegramente, con i miei cappelli vistosi, con i miei sorrisi, con il mio fiume di parole, professo la mia fede per la terra.

Mi si è presentata l’occasione a Social Gusto, la manifestazione coordinata dalla gentile Silvia Giovannini, svoltasi nei magnifici Giardini Estensi di Varese.

Protagonista la Cucina Italiana di qualità avvicinata alla gente, ma non solo. La parte riservata all’offerta culturale ha permesso a giornalisti e blogger, di esporre le loro esperienze e il loro pensiero, nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Ho avuto il piacere di essere al tavolo con:

  • Anna Prandoni, Direttore de La Cucina Italiana, la più importante rivista di cucina in Italia nata nel 1929
  • Laura Pantaleo Lucchetti, foodblogger che come me collabora con il Cavolo Verde, settimanale on line di food&wine
  • Rosy Battaglia, giornalista esperta di social media e “food blogger mancata”
  • Samanta Abalush Cornaviera, massaia 2.0
  • Eugenio Peralta, foodblogger ideatore del blog L’uomo è una Locusta
  • Jenny Maggioni, blogger

Persone semplici che ho avuto modo di apprezzare, spinte dalla passione per il cibo e per il recupero delle tradizioni, ma con un occhio attento alla rete e alle sue grandi potenzialità per la promozione del territorio e delle sue produzioni.

Nel mio intervento ho raccontato come, ormai quasi tre anni fa, ho iniziato questa mia avventura che ora mi sta letteralmente travolgendo, ma che mi piace tanto.  Non faccio un mistero sul cambiamento che la mia vita ha avuto improvvisamente. Dopo uno smarrimento iniziale mi sono rialzata reinvestendo nelle passioni di sempre, la terra, l’agricoltura, il vino, e la storia delle persone.  Da ragazzina sono cresciuta tra le vigne nelle campagne trevigiane… la terra lascia il segno, nel tempo, e nelle anime.

Creai un gruppo su Facebook, Le Vigne-tte. Condividevo link legati alle tradizioni, ai dialetti, al cibo, e al vino. Qualcuno notò questa donna rumorosa. Un giorno mi venne suggerito di leggere un’intervista fatta ad una vignaiola di Aosta. Mi emozionai così tanto che mi recai sul posto per conoscerla. Quando ho saputo che non aveva i mezzi per l’etichetta a retro della sua bottiglia di vino, ho voluto raccontare la storia di quella vigna.

Dopo averla stampata gliela portai, perché volevo che la donasse insieme alla vendita del suo vino. Qualcuno l’ha letta, e mi ha chiesto di scrivere. La mia storia ora continua qui sul blog e su Cavolo Verde, anche se ho un sogno, quello di vivere in campagna e lavorare nell’agricoltura. Tra me e me dico spesso: “Cinzia, piedi per terra, e ricordati perché hai iniziato.” Sto imparando e continuerò a farlo, perché in fondo non si finisce mai…

Tra le mie tanti passioni c’è anche quella della comunicazione digitale. Twitto, fotografo, lancio sui social… una vera peste! 😉 Metto in rete tutto quello in cui credo e che mi piace, per condividere i miei momenti di felicità, convinta dell’importanza della comunicazione enogastronomica e del territorio attraverso il web.

Di una cosa però sono fermamente convinta,  i social che abbiamo l’opportunità di utilizzare devono unire, e non sostituire la conoscenza diretta, esperienza indispensabile per conoscere le realtà, e i loro prodotti. Non fermatevi alle vetrine…




“Due chiacchiere con… Giorgio Ferrari”

Giorgio Ferrari, Professore di Storia Contemporanea, autore e conduttore di programmi culturali per la Rai. Un onore averlo come amico, un piacere farvelo conoscere.

  • Chi è Giorgio Ferrari?  

E’ la somma dei suoi ricordi più il patrimonio genetico ereditato. Senza ricordi non siamo nulla. Così è per i popoli. Gli italiani sono la somma delle esperienze fatte nella Storia. Se si perdono, si ritorna ad essere il volgo confuso che voce non ha. Così è per il vino e per l’enogastronomia. La cucina povera che diviene ricchezza, il vino dei contadini che diventa DOC. Anche questo è Storia. Le nostre radici hanno fatto nascere il popolo Italiano, con le sue tradizioni, con la sua creatività, con le sue eccellenze conosciute nel mondo… E il territorio italiano pulsa di Storia ad ogni passo. “Perché certi piatti si fanno così in un determinato posto e non in un altro? Perché la creatività, la fantasia e le esigenze della gente di quel posto hanno creato quella cucina”.

  • Giorgio, com’è nata la tua passione per la storia?

Fin da bambino. Alle elementari la parte storica del sussidiario la leggevo tutta di un fiato. Naturalmente allora mi affascinavano le battaglie e i grandi eroi. Poi col passare degli anni ho capito che la Storia siamo noi. Ognuno ha il suo ruolo piccolo o grande.

  • Che personaggio storico avresti voluto incontrare, e perché?

Ne vorrei incontrare molti. Forse quello che mi intriga di più è Voltaire. Non ha combattuto battaglie, non è stato uno statista, ma con i suoi saggi, soprattutto col Trattato sulla tolleranza, ha cambiato il Mondo, ha innescato un moto per cui oggi godiamo di libertà (anche se spesso non la sappiamo usare) e uguaglianza dei diritti.

  • E’ ormai diffusa la tendenza nel recuperare vecchie tradizioni del passato sia in vigna che in cantina. Credi che sia solo una moda, o che ci sia una vera voglia di ritorno alla vita dei bei tempi?

Credo che sia una tendenza inarrestabile. E dovrebbe far scuola. Senza le nostre tradizioni siamo automi in balia di ogni imbonitore.

  • Per chi ti conosce bene è nota la tua passione per la vodka. Questo amore è dettato solo da una questione di gusto, o da altri fattori?

La vodka è un po’ come un panino, si consuma in fretta, entra subito in circolo e tra amici crea un immediato circuito di allegria. Per la verità il liquore che amo di più è il whiskey torbato. Ideale nelle lunghe serate invernali, magari mentre leggo un bel libro.

  • Credi che sia possibile per i giovani un futuro da investire nella terra?

Il futuro è nella terra. Ho conosciuto molti giovani professionisti che a vario titolo ci lavorano e l’amano. Se avessi un figlio lo indirizzerei li. Oggi il “mondo contadino” non è più quello che Marx definiva nella formula: “Idiotismo della vita rurale”. E’ un campo in cui ci vuole grande professionalità, oltre che passione.

  • Giorgio ormai hai un appuntamento serale fisso sulla tua bacheca facebook. Quasi un servizio sociale per coloro che in alcuni momenti di solitudine della propria vita, sanno di poter trovare sempre un amico disponibile con cui discorrere dei temi più svariati. Com’è nato tutto questo?

Nacque per puro caso. Una sera scrissi che mi stavo versando una vodka e un gruppo di amici commentarono: “A noi non la offri?” La sera dopo scrissi non mi ricordo più cosa e gli stessi amici commentarono: “Ehi, questa sera non si beve?” Così è nato il mio bar virtuale. Ogni sera è aperto, cambiano gli avventori, a volte è affollatissimo, a volte è quasi deserto, ma la porta è sempre aperta per gli amici.

 
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