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Il vino che amo… irruento, forte, ma soprattutto saggio. I Vini Autoctoni Friulani Rossi.

Approfondimento di Roger Sesto

 

Una volta Josko Gravner mi ha detto: “Cinzia, per me il vino è bianco”. Io non sono una grande come lui, ma sento il vino soprattutto quando è rosso.

Mi piace irruento come un’onda che si scaglia sulla roccia… forte come le strette di mano dei contadini che schietti ti guardano negli occhi… saggio come gli uomini e le donne che lavorano la terra e che amo ascoltare con le loro storie.

Il vino che amo è questo. Un vino irruento, forte, saggio… un vino che con i suoi profumi mi fa viaggiare, e con i suoi sapori mi fa ricordare.  Qualche sera fa l’ho incontrato, era rosso, autoctono e friulano.

Il Friuli, una terra che mi richiama tra la sua gente per le mie origini. Gente difficile dicono molti. La verità è ben diversa, i friulani vanno capiti. Sono un popolo legato alla terra… un popolo che spalanca il cuore, quando sente che il cuore davanti a se, batte sincero.

Lùnis

Timp furlan! Na scussa umida di sanbùc, na stela
nassuda nenfra il fun dai fogolàrs, na sera  pluvisina – un pulvìn di fen.
tai ciavièj o in tal sen di un frut ch’al ven sudàt da la ciampagna  ta la sera rovana.

Lunedi. Tempo friulano! Una scorza umida di sambuco, una stella nata in mezzo al fumo dei focolari, in una sera piovigginosa – un pulviscolo di fieno nei capelli o nel petto di un ragazzo, che viene sudato dalla campagna nella sera infuocata. Pier Paolo Pasolini da ‘La meglio gioventù’

Marco Felluga Russiz Superiore

Gradisca d’Isonzo – Vigneti di Marco Felluga

Ebbene, nonostante questa regione sia conosciuta per suoi grandi bianchi, ci sono autentici rossi autoctoni da riscoprire e soprattutto da assaggiare. L’occasione è stata propizia qualche sera fa al Ristorante ‘Il Fauno’ di Cesano Maderno (MB). Durante la serata, con la guida dell’amico Roger Sesto, ho avuto il piacere di degustare vini di alcune varietà salvate dall’estinzione.

VINI AUTOCTONI FRIULANI ROSSI

di  Roger Sesto

I vitigni autoctoni friulani a bacca rossa, principalmente parliamo di Refosco, Schioppettino, Tazzelenghe, Pignolo, Terrano, rivestono una notevole importanza essendo cultivar che sono riuscite a sopravvivere alle mode. Ciò grazie al fiero carattere delle genti friulane che, con fermezza, hanno deciso di salvaguardare un autentico patrimonio ampelografico locale, in potenziale pericolo di estinzione preservandone la qualità e l’importanza culturale.

Una tipicità peraltro molto legata al terroir friulano: tutti i vini della regione infatti, soprattutto i rossi, conservano una certa aggressività e crudezza legata in qualche modo allo stesso carattere degli abitanti della regione ed alla gastronomia locale, forte e speziata, mutuata dalla cucina slava. E forse è stata proprio la cucina – dai sapori forti e decisi – ad incentivare la sopravvivenza di questi vitigni duri e grintosi.

I rossi friulani sono vini dal carattere forte, selvatici, schietti, non levigati, netti, riconoscibili e, fino ad una ventina di anni fa, anche molto rustici. Persino le due varietà – cosiddette internazionali – più diffuse nella regione, il Merlot ed il Cabernet Franc, che altrove, soprattutto la prima, sono dotate di un profilo organolettico più aggraziato, non parliamo nel bordolese, ma anche in Toscana e persino in Alto Adige, qui sono particolarmente “verdi” ed aggressivi, con un terroir che in questo caso fa veramente la differenza.

Oggi la matrice di base di questi vini è ancora e sempre la medesima: le uve son quelle, il terroir (ovviamente) pure; però, a livello di cantina, ovvero da un punto di vista enologico, qualcosa è cambiato. Le macerazioni sono condotte con più cautela, con temperature e tempi più controllati e calibrati. Le botti si sono mediamente rimpicciolite, pur non trattandosi necessariamente di barriques, e la loro anzianità di servizio è scesa notevolmente, venendo più frequentemente rinnovate. E’ rimasto in sostanza uno “zoccolo duro” tradizionale, su cui si sono applicate via via tecniche sempre più innovative. Talvolta – e sempre più spesso – queste evoluzioni stanno portando a rimettere in discussione tutto sin alle radici, inducendo ad esempio a compiere operazioni – come la vinificazione e affinamento in anfore – costituenti un vero salto nel passato remoto dell’enologia, che si rifanno alle tradizioni enologiche georgico-caucasiche.

  • Lo Schioppettino proviene dai Colli Orientali. Vi sono due versioni circa l’origine del suo nome. La prima ne fa derivare l’etimo dal rumore provocato dall’esplosione dei suoi acini quando vengono schiacciati. La seconda si riferisce alle bottiglie che scoppiavano in cantina quando, durante la primavera, in alcune di esse riprendeva la fermentazione. Ad ogni modo si caratterizza per una colorazione non molto carica, sicuramente meno di quella del Refosco, per avere sentori di frutta rossa in netta prevalenza, conditi con una piccante speziatura di pepe. Il gusto è caratterizzato da una certa acidità, che contribuisce ad evidenziare i tannini.
  • Il Refosco (si tratta di un “vitigno-popolazione”, di cui il più interessante rappresentante è costituito da quello dal Peduncolo Rosso), presente largamente sui Colli Orientali ed un poco nel Grave, giungendo sino alla provincia di Treviso, si caratterizza per una speziatura piccante, sommata ad una nota vegetale e selvatica ed a sentori di frutti rossi concentrati, la colorazione è intensa, ed il gusto è connotato da una relativamente contenuta acidità, che rende i tannini meno spigolosi.
  • Il Tazzelenghe dimora essenzialmente sui Colli Orientali, ha delle affinità con il Refosco, ma in più è caratterizzato da note animali piuttosto spiccate e complesse, e soprattutto da una tannicità molto decisa e da un’acidità “tagliente”, da qui le origini del nome. Per domarne l’irruenza tannica è praticamente obbligatorio un adeguato affinamento in legno e/o un leggero appassimento in pianta o in fruttaio.
  • Il Pignolo, forse lontano parente della Pignola Valtellinese, possiede una speziatura morbida, piuttosto moderata ed elegante, arricchita da sentori leggermente aromatici e quasi balsamici. E’ uno tra i vitigni più nobili del Friuli.
  • Il Terrano, anche chiamato Terrano del Carso o d’Istria o anche Refosco del Carso o d’Istria, è vitigno che esige potatura lunga, denota buona vigoria e produzione abbondante e costante. La foglia, di grandezza media, appare tondeggiante, pentagonale, e trilobata; il grappolo, grande, lungo 20 cm., ha forma tipicamente piramidale a base larga, alato, mediamente compatto, presenta acini leggermente ellittici, di media grandezza con buccia di colore blu intenso molto pruinosa, un po’ sottile, consistente; la polpa sciolta è di sapore semplice, dolce e un po’ acidula. Dà origine a un vino di colore rosso rubino-violaceo intenso con spiccata fragranza e leggero profumo vinoso, al palato si rivela asciutto, di buon corpo, mediamente alcolico, acidulo, tannico, nel complesso abbastanza gradevole. Si coltiva esclusivamente nelle zone carsiche goriziane e triestine.

Per quel che riguarda la longevità si tratta in genere di vini che volendo sono anche pronti subito, ma con la capacità di reggere qualche anno di bottiglia, anche una decina.

Fotografia e Vigneti di Marco Felluga – Gradisca d’Isonzo




Il mio incontro tra le anfore con Josko Gravner

Avete presente quei pomeriggi estivi, quando il caldo ci induce all’ozio facendoci perdere nella leggerezza delle chiacchiere…?  Ebbene, capitò  proprio così  che mio cugino Ilario mi disse: “Conosci Josko Gravner il vignaiolo che mette il vino nelle anfore ?”.  Beh, mi alzai di scatto e risposi: “Nelle anfore…?!”.  Non mi seppe dare molte spiegazioni, e quindi, stuzzicata dalla curiosità, iniziai subito con le mie ricerche. Cominciai a leggere di lui affascinata, e decisi che dovevo conoscerlo…

Guardai alcuni video in cui Josko raccontava la sua filosofia della terra…  poesia per le mie orecchie! Definitemi pure romantica, ma le sensazioni che avevo ascoltandolo erano di equilibrio e saggezza.

E’ nella terra che si radica la risposta a questa mia ricerca, questa è la mia terapia, questa sarà la mia rinascita,  perché è nell’amore per essa che trovo i significati più profondi.

Mandai una mail a Josko Gravner per fissare un incontro. Dalla sua risposta capii che il momento non era propizio. Era tempo di vendemmia, e le esigenze della vigna lo assorbivano. Un pochino delusa mi rassegnai a posticipare l’incontro, ma da persona caparbia quale sono non demorsi. Ben presto quel momento arrivò!

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La mattina della partenza caricati i bagagli,  puntai il navigatore in direzione Oslavia.  Ero particolarmente emozionata;  mentre guidavo percorrendo la strada pensavo a come si sarebbe svolto l’incontro. Poi, fra me e me pensai che l’unico modo per instaurare rapporti sinceri con le persone è essere se stessi, e così feci.

Giunta finalmente a destinazione fui  piacevolmente sorpresa dalla semplicità dell’abitazione di Josko.

Fu il suo sorriso ad accogliermi, e quell’atmosfera gradevolmente familiare che mi mise subito a mio agio. Chi mi conosce bene ha sperimentato anche la mia timidezza che mi sforzo di nascondere chiacchierando.

Josko Gravner 1

Quel pomeriggio con noi c’era la dolce Maria moglie di Josko, e Sabrina e Debora, due loro amiche di Viareggio. Iniziammo il nostro percorso di visita tra una degustazione e l’altra e le narrazioni riguardanti la sua vita.  Ci raccontò di come ebbe inizio la sua avventura di viticoltore, facendo frequenti riferimenti alla perdita del padre quando lui aveva appena venticinque anni. Capii bene ciò che mi diceva, avendo avuto alla medesima età la stessa esperienza. Gli insegnamenti dei padri tuttavia ci accompagnano per tutta la vita, come un eco che continua a diffondersi nella testa.

Josko ci narrò del suo viaggio in Georgia, della sua ricerca di un vino senza chimica che segua il ciclo della natura: un vino semplice e pulito come nei tempi passati.  Dalla Georgia portò le sue anfore e abbandonò definitivamente l’utilizzo dell’acciaio. Raccontava:  “Il vino nelle anfore vive, mentre nell’acciaio non respira… L’anfora è come un utero in cui il vino nasce per poi maturare nelle grandi botti, che a differenza delle piccole non lo influenzano troppo…”

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Ci raccontò di suo figlio Miha scomparso prematuramente, e della volontà di quest’ultimo di orientarsi verso la Ribolla Gialla, volontà che Josko fedelmente rispetta. Ci parlò di Aljosa, suo fidato collaboratore e ormai parte integrante della famiglia. Di quanta passione e amore questi mettesse nel condurre i lavori in vigna e in cantina. Il tempo passò molto velocemente con le mie domande che spesso lo sorprendevano per quell’ingenuità a cui probabilmente non era abituato. Perché io voglio capire… perché questa è la mia ricerca.

Nel nostro divagare, Bruno il cane di Josko, ci faceva compagnia seguendoci da un locale all’altro. Improvvisamente fu attirato da qualcosa, e con scatto repentino urtò Sabrina che, avendo tra le mani un calice di Ribolla me lo versò completamente addosso. Erano tutti visibilmente imbarazzati alla vista della mia camicia e del mio giacchino di pelle bagnati.  Erano momenti così emozionanti che volli subito sdrammatizzare dicendo: “Ma ci pensate, avrò l’onore di avere la giacca alla Gravner!”.  Credetemi… dopo pochissimo tempo le macchie si asciugarono alla perfezione senza lasciare nessun alone… quel vino, era proprio pulito!

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Nel nostro giro di assaggi degustai tutte le annate. Ero un po’ titubante visto che sono abituata a bere pochissimo a causa di un’emicrania legata all’eccesso dell’uso di solforosa nel vino. Quel giorno nulla accadde,  la mia testa era perfettamente lucida. Esterrefatta dissi: “A questo punto mi viene spontaneo chiedermi… ma che vini siamo abituati a bere?! Ma quanta chimica viene introdotta?!”.

Trascorsero tre ore senza che me ne rendessi conto; era arrivato il momento di congedarmi, senonché Maria insistette perché rimanessi a cena. Seduta a fianco a Josko  chiacchierai tutta la serata passando da un argomento all’altro. Non dimenticherò mai le emozioni di quella giornata. Le ho volute raccontare per poterle rivivere ogni volta che le rileggerò.

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Recentemente ho letto definire Josko “un eremita”.  Non ho potuto far altro che sorridere, perché Josko, è semplicemente un vignaiolo in terra d’Oslavia, simpatico e gioviale, che mi ha accolto come se fossi una persona di famiglia. Viticoltore Italiano conosciuto nel mondo per le sue ricerche e per  la sua semplicità,  un grande uomo che ho potuto conoscere ed apprezzare, che mi ha consigliato, e che mai dimenticherò!

“In molti mi deridono per questo mio essere, ma cosa volete sono vecchio per cambiare e alla fine sono felice di essere cosi.  Non avrò denari da lasciare ma una Terra sana dove il sudore di mio padre Jozef e mio zio Franc non è stato versato invano. E’ a questi due uomini che ho pensato in questi anni di forti cambiamenti, e va a loro il mio primo e ultimo pensiero della mia giornata. E finalmente me l’immagino orgogliosi e sorridenti.”  Josko Gravner

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