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Vino cotto, mosto cotto o… tutti e due?

La ricetta: “Caldidolci al Vin Cot di Quistello”

Vino cotto o mosto cotto? Direi tutti e due, ma siamo sicuri di conoscere la differenza? Per fare un po’ di chiarezza mi  farò aiutare dai produttori.

Recentemente, dopo aver conosciuto meglio entrambi i prodotti, mi sono resa conto che non tutti ne conoscono le differenze. Ambedue ottime produzioni, diverse però sia per densità che per gli usi a cui sono destinate.

Partiamo innanzitutto dal presupposto che ilvino cotto del Picenoè un vero e proprio vino. E’ ottenuto dalla bollitura del mosto dei vitigni di Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, e viene invecchiato in botti di legno di rovere. E’ un vino da dessert, utilizzato anche nella preparazione di dolci e per insaporire le carni. Oltretutto è un ottimo rimedio per curare tosse e raffreddore, e per chi come me, ama la medicina naturale, questo è già un ottimo motivo per parlarne.

Me lo ha fatto conoscere Emanuela Tiberi dell’Azienda Agricola David Tiberi di Loro Piceno, con la quale, durante una serata del girotondo enogastronomico “Per Tutti i Gusti” coordinato da Carlo Vischi, ho avuto modo di chiacchierare.

Passo ora al “vino cotto mantovano” che, nel termine dialettale, viene chiamato “vin cot”. L’ho conosciuto grazie alla cara Paola della Cantina Quistello di Mantova, prima su Twitter, e poi di persona a GourMarte, la manifestazione enogastronomica coordinata da Elio Ghisalberti.

La Cantina sociale di Quistello è una cooperativa costituita nel 1928 da un gruppo di viticoltori la cui produzione si estende lungo le rive del fiume Secchia. Un territorio ricco di antiche tradizioni viticole e gastronomiche che ben conosco e apprezzo per le mie origini paterne mantovane.

Dunque, qui ad aiutarmi a far chiarezza è il loro Presidente, che mi definisce il loro vino cotto non un vino, ma un mosto cotto; è usato come condimento per piatti di carne, per insalate, e anche per dolci.

Come stabilito da disciplinare di produzione del vin cot, la materia prima utilizzata è il mosto d’uva Lambrusco Grappello Ruberti, vitigno storico coltivato nella zona di produzione dell’IGP Quistello. E’ un prodotto con molta concentrazione di zuccheri d’uva e senza alcol.

In conclusione, tornando alla questione che ho posto inizialmente su: “vino cotto o mosto cotto?” direi proprio tutti e due. Utilizzerò il “Vin Cot di Quistello” nella preparazione di un dolce da loro stessi consigliato, e il “Vino Cotto del Piceno” come vino da dessert per accompagnarlo. 😉

“Caldidolci al Vin Cot di Quistello”

  • Ingredienti:

Un litro di latte, 3 bicchieri di farina di mais sottile, un pizzico di sale, zucchero qb, un pezzetto di burro, una manciata di uva passa, pinoli qb, un goccio di Vin Cot di Quistello.

  • Preparazione:

Preparare una polentina portando a ebollizione il latte mentre si aggiunge a pioggia la farina di mais e un pizzico di sale. Rimestare bene, fino a quando la farina sarà cotta. Aggiungete sempre mescolando, lo zucchero, un pezzetto di burro, un goccio di VinCot e per ultimi l’uva passa e i pinoli.

Con la polentina ottenuta formare tanti biscottini ovali e lasciarli riposare per qualche ora. Passateli poi al forno, facendo attenzione a non seccarli.

I “Caldidolci” come dice la parola stessa, vanno serviti caldi.




“Lu Vi Cottu” della terra dei cinghiali

Vi presento “lu vi cottu” che in dialetto marchigiano indica “il vino cotto”, un vino da dessert.

Siamo a Loro Piceno, nel maceratese, il comune per eccellenza di questa antichissima bevanda di tradizione marchigiana. Mario Soldati nell’opera Vino al Vino del 1971, descrivendo le sensazioni provate all’assaggio di un mosto cotto invecchiato sessant’ anni scriveva:

“Lo trovo un vino da dessert, ottimo. Di un bel colore rosso mattone a riflessi di oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseante di tanti passiti e marsalati. C’è qualcosa di affascinante, di profondo rustico e montano, nel vino cotto…”

Me lo ha fatto conoscere la cara Emanuela Tiberi dell’Az. Agricola David Tiberi di Loro Piceno (MC).

Insieme a lei, ma non solo, ho passato piacevolmente una serata del girotondo enogastronomico “Per Tutti i Gusti” dedicata alla regione Marche. Coordinatore di questo tour, Carlo Vischi, l’ambientazione quella de “Il Canneto, ristorante dell’Hotel Sheraton Malpensa.

Durante la cena con Emanuela si è parlato a lungo di questa produzione tipicamente  marchigiana dalla storia millenaria. Visto il mio interesse per le tradizioni ha pensato bene di inviarmi una pubblicazione realizzata dalla Camera di Commercio di Macerata che ho ricevuto pochi giorni fa, e su cui leggo testualmente:

“Vuole la tradizione che, conservato in botti di rovere, esso costituisse un principio medicamentoso atto a conservare lucentezza alla pelle, curare gli eritemi dei bambini, risanare gli effluvi degli aliti e, principalmente, sollevare lo spirito umano dalla monotonia di ogni giorno. Non c’era contadino o mezzadro che un tempo non avesse la propria botte di vino cotto.”

Il vino cotto ottenuto dalla bollitura del mosto dei vitigni di Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, riposa a lungo invecchiando in botti di legno di rovere. Oltre ad essere utilizzato nella preparazione di dolci e per insaporire le carni, è un ottimo rimedio per curare la tosse e il raffreddore.

Detto questo mi direte: “Ma… i cinghiali son scappati?” Magari vi rispondo!

Purtroppo sono causa di continua e seria devastazione dei raccolti. Da anni interi branchi danneggiano le coltivazioni di queste terre creando gravi ostacoli all’agricoltura locale. Nemmeno l’attività venatoria è stata capace di ridurre la presenza di questi animali selvatici. Un’analisi della Coldiretti ha stimato i danni conseguenti agli attacchi ad un importo di oltre quattro milioni di euro.

Riporto qui di seguito lo sfogo che solo qualche giorno fa Emanuela mi ha fatto scrivendomi una mail:

“Cinzia, oggi sono andata a potare la mia vigna; su diverse viti ho trovato enormi buche che i cinghiali hanno scavato per cercare le radici. Il rischio è la conseguente morte delle piante. Un vero problema che noi agricoltori nel maceratese viviamo da anni. Chi di dovere se ne occupa, ma i risultati sono ancora poco visibili.”

Sembra quasi impossibile che non si possa risolvere questa situazione. Da curiosa quale sono ricercando sul web, ho trovato un articolo del 2010 della Provincia di Sondrio che riporta la strategia adottata dagli agricoltori locali “sull’uso dell’odore dell’orso” per allontanare i cinghiali. Strategia decisamente da approfondire…

 

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