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Il Grignolino, un vino rosso garbato

Non conoscevo il Grignolino, intendo bene, come piace a me, sul ‘campo’. Non mi ritengo un’esperta, come dico spesso sono solo una donna che ama il vino e che vuole conoscerlo attraverso tutti gli elementi che lo compongono.

Il vino per me è l’espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno, al territorio e al clima, quindi mi chiedo – come è possibile dare un giudizio completo senza conoscere ciascun elemento che contribuisce a determinare le sue caratteristiche? – Certo, con l’assaggio è possibile coglierne i difetti o i pregi, ma la cosa si ferma li.  

Proprio per questo, pochi giorni fa, quando un amico mi ha chiesto cosa pensassi di un vino, mi è venuto spontaneo rispondergli… – sai, posso dirti che mi piace o non mi piace, ma un vino, finché non l’ho conosciuto nella sua pienezza, mi passa solo a metà. E’ come conoscere una persona leggendo di lei, ma senza averla incontrata… non si avrà mai la percezione di ciò che è veramente

Ho fatto questa premessa per farvi capire come ‘amo vivere il vino’, ma soprattutto per farvi capire l’entusiasmo con cui ho colto l’invito di Maurizio Gily e Monica Pisciella per il #grignolinodigitour. Detto questo, pronti via… si parte!

Quando inizio un viaggio, breve o lungo che sia, entro quasi in un’altra dimensione, giuro, non sto scherzando! Entro come in simbiosi con le terre che visito.

Ora sto pensando che… ma quanto sono belli i paesaggi vitivinicoli! In questa stagione poi, con le tante sfumature dei colori che variano dal verde al giallo e al rosso… una vera meraviglia!

Lo sapevate che i paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e Monferrato sono candidati a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco? Ebbene si, e con merito!

Il #GrignolinoDigiTour si è svolto Domenica 17 Novembre.

Insieme agli amici dell’Officina Enoica siamo partiti da Milano puntando in direzione della Rocca di Rosignano Monferrato, una balconata che vi consiglio di visitare per la sua vista mozzafiato.

Ad aspettarci Maurizio Gily, che, subito dopo i saluti di rito, si è accertato sull’altezza dei miei tacchi; l’ultima volta che ci siamo visti a Gavi ne avevo un paio stratosferici, errore che stavolta non ho ripetuto. 😉

Una passeggiata a piedi per conoscere un territorio è il modo migliore per viverlo. E’ così che è iniziato il nostro tour nella terra del Grignolino: un percorso tra i ‘i bric e foss’, le dolci colline del Monferrato Casalese.

Di tanto in tanto perdevo di vista il gruppo a causa delle mie continue soste per fotografare ogni angolo che colpiva il mio sguardo.

La vista sui vigneti, gli scorci caratteristici dalle belle case in pietra da Cantoni, la pietra arenaria tipica di questi luoghi, fino al belvedere, o meglio, ‘An sal Sass’, il sasso su cui si erge il nucleo originario del paese.

Arrivati in comune abbiamo trovato ad aspettarci i gentili rappresentanti delle amministrazioni di Rosignano Monferrato, Cella Monte e San Giorgio. Oltre a darci il benvenuto ci hanno esposto il loro progetto per la promozione del territorio rivolto in particolar  modo ai comunicatori digitali.

Non potevano mancare un caffè e i famosi Krumiri Portinaro, una tipicità del Monferrato che risale al 1878, anno in cui morì Vittorio Emanuele II. A lui sono stati dedicati ispirandosi alla forma tipica dei suoi ‘baffi a manubrio’.

La tappa successiva è stata la visita all’Ecomuseo e al suo infernot situati a Cella Monte, comune caratteristico per le costruzioni a vista in pietra da Cantoni.

Indovinate li chi ho incontrato? Una donna col cappello, o meglio, una bella ‘Monferrina’! Questo nome ha origine da un’antica ballata del Monferrato la cui nascita sembra risalire alla storia di una giovane piemontese, Maria Catlina, corteggiata dal suo innamorato con questa danza.

Gli infernot sono nicchie sotterranee scavate nella pietra da Cantoni. Situati sotto le abitazioni private, sono senza luce ne aerazione diretta, con clima e umidità costanti. Ambienti, che nella storia della viticoltura locale, hanno trovato luogo ideale per la conservazione del vino.

Un’architettura sotterranea nata dalla sapienza contadina, che ne ha fatto oggi un’espressione della tradizione rurale di questo territorio.

Arrivata l’ora di pranzo abbiamo fatto tappa al ‘Relais I Castagnoni, una dimora d’epoca del 1742, un tempo convento religioso. Qui abbiamo degustato i piatti tipici della tradizione monferrina a base di tartufo bianco.

Maurizio Gily, dopo una degustazione alla cieca tra dodici assaggi di Grignolino, ci ha raccontato la storia e le caratteristiche di questo vino tipico del Monferrato Casalese, un vino ancora ai più poco conosciuto.

L’incontro e l’ascolto dei produttori, poi, ha completato il quadro. Con loro ho avuto modo di approfondire, di degustare, e di capire meglio questo vino come è giusto che sia.

Il Grignolino, un vino dal colore rubino chiaro, come più volte sottolineato da Maurizio, non un vino rosato ma un vino rosso vinificato con macerazione sulle bucce. Un vino molto sensibile al territorio d’origine da cui acquisisce i caratteri peculiari.

Definito da Luigi Veronelli come anarchico e testa balorda, per la personalità indipendente e quasi ribelle, da Mario Soldati, come il più delicato tra tutti i vini piemontesi.

Lo sto bevendo ora, mentre scrivo, dopo averlo conosciuto nel luogo in cui nasce, dopo aver parlato con chi lo produce. Non amo ricamare troppo sui vini, per questo motivo lo descriverò con poche parole: ‘Il Grignolino, un vino rosso garbato’.

Bisogna andare dal vino senza aspettare che sia il vino a venire da noi” 

Filiberto Lodi – Giornalista

L’etimologia del termine Grignolino sembra risalire al termine medievale ‘berbexinus’, un vino di uve berbexine considerato pregiato. (fonte Maurizio Gily)




“Lu Vi Cottu” della terra dei cinghiali

Vi presento “lu vi cottu” che in dialetto marchigiano indica “il vino cotto”, un vino da dessert.

Siamo a Loro Piceno, nel maceratese, il comune per eccellenza di questa antichissima bevanda di tradizione marchigiana. Mario Soldati nell’opera Vino al Vino del 1971, descrivendo le sensazioni provate all’assaggio di un mosto cotto invecchiato sessant’ anni scriveva:

“Lo trovo un vino da dessert, ottimo. Di un bel colore rosso mattone a riflessi di oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseante di tanti passiti e marsalati. C’è qualcosa di affascinante, di profondo rustico e montano, nel vino cotto…”

Me lo ha fatto conoscere la cara Emanuela Tiberi dell’Az. Agricola David Tiberi di Loro Piceno (MC).

Insieme a lei, ma non solo, ho passato piacevolmente una serata del girotondo enogastronomico “Per Tutti i Gusti” dedicata alla regione Marche. Coordinatore di questo tour, Carlo Vischi, l’ambientazione quella de “Il Canneto, ristorante dell’Hotel Sheraton Malpensa.

Durante la cena con Emanuela si è parlato a lungo di questa produzione tipicamente  marchigiana dalla storia millenaria. Visto il mio interesse per le tradizioni ha pensato bene di inviarmi una pubblicazione realizzata dalla Camera di Commercio di Macerata che ho ricevuto pochi giorni fa, e su cui leggo testualmente:

“Vuole la tradizione che, conservato in botti di rovere, esso costituisse un principio medicamentoso atto a conservare lucentezza alla pelle, curare gli eritemi dei bambini, risanare gli effluvi degli aliti e, principalmente, sollevare lo spirito umano dalla monotonia di ogni giorno. Non c’era contadino o mezzadro che un tempo non avesse la propria botte di vino cotto.”

Il vino cotto ottenuto dalla bollitura del mosto dei vitigni di Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, riposa a lungo invecchiando in botti di legno di rovere. Oltre ad essere utilizzato nella preparazione di dolci e per insaporire le carni, è un ottimo rimedio per curare la tosse e il raffreddore.

Detto questo mi direte: “Ma… i cinghiali son scappati?” Magari vi rispondo!

Purtroppo sono causa di continua e seria devastazione dei raccolti. Da anni interi branchi danneggiano le coltivazioni di queste terre creando gravi ostacoli all’agricoltura locale. Nemmeno l’attività venatoria è stata capace di ridurre la presenza di questi animali selvatici. Un’analisi della Coldiretti ha stimato i danni conseguenti agli attacchi ad un importo di oltre quattro milioni di euro.

Riporto qui di seguito lo sfogo che solo qualche giorno fa Emanuela mi ha fatto scrivendomi una mail:

“Cinzia, oggi sono andata a potare la mia vigna; su diverse viti ho trovato enormi buche che i cinghiali hanno scavato per cercare le radici. Il rischio è la conseguente morte delle piante. Un vero problema che noi agricoltori nel maceratese viviamo da anni. Chi di dovere se ne occupa, ma i risultati sono ancora poco visibili.”

Sembra quasi impossibile che non si possa risolvere questa situazione. Da curiosa quale sono ricercando sul web, ho trovato un articolo del 2010 della Provincia di Sondrio che riporta la strategia adottata dagli agricoltori locali “sull’uso dell’odore dell’orso” per allontanare i cinghiali. Strategia decisamente da approfondire…

 

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