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Maurizio Gily. Una questione di vizio di forma, e non di verità.

Mi presento, mi chiamo Maurizio Gily. Sono un agronomo specializzato in viticoltura ed enologia e un giornalista pubblicista. Dirigo una rivista tecnica del settore, Millevigne, collaboro con Slow Food, e sono consulente di imprese vitivinicole e di amministrazioni pubbliche. 

Maurizio Gily, un uomo di terra e di vino, una persona che stimo. Accusato di vizio di forma nell’esprimere una notizia vera, è stato condannato ad un risarcimento per aver leso di conseguenza, l’onore di un collega giornalista.

Questa le parole del giudice: “…non vi è questione in ordine al fatto che il dott. Gily nello scrivere abbia riportato notizie vere…”.  Ma la forma vince, per lo meno lo ha condannato, per ora…

Riporto parte dell’articolo di Millevigne “La cicuta di Velenitaly

di Maurizio Gily

Più di cinque anni dopo il caso “Velenitaly”, la bomba atomica calata su Vinitaly dal settimanale l’Espresso, che denunciando, correttamente, alcuni casi di frode e sofisticazione,  parlava, non altrettanto correttamente, di centinaia di migliaia di bottiglie di vino avvelenato (veleno mai trovato),  e, in un altro articolo, del caso brunellopoli, accostando in una gran confusione l’inquinamento da agenti cancerogeni (mai trovati)  con l’inquinamento da Merlot nel Sangiovese (che ovviamente non uccide nessuno), un giudice del tribunale di Rovereto mi ha condannato a risarcire il giornalista dell’Espresso che avevo attaccato su Millevigne. Ne avrei leso la reputazione. Euro cinquemila, più le spese legali.

A detta del giudice il mio è stato un “attacco personale”  che avrebbe travalicato il diritto di critica ledendo l’onore del collega, che vale una condanna al risarcimento, sia pure decimata rispetto alla richiesta della controparte, che era partita da dieci volte tanto (50.000 euro). Eppure non ho fatto uso di turpiloquio, né ho accusato qualcuno di qualcosa che non aveva fatto: ho solo scritto che una notizia non era vera (non la frode con annacquamento e arricchimento dei mosti, quella era vera, ma l’avvelenamento), dopo che due ministeri e un magistrato inquirente sull’inchiesta in questione lo avevano già detto in comunicati ufficiali, da me diligentemente riportati.  Non ho neppure parlato di mala fede, ma solo di eccesso di fantasia (“fantasie horror” per la precisione) nel riportare notizie raccolte in una procura ed elaborate in modo creativo (ad esempio parlando di sostanze cancerogene, ma senza citarne alcuna, anzi citandone alcune che non lo sono, oltre a non esserne accertata la presenza nel prodotto in questione).

Morale: nel paese riconosciuto al 57esimo posto al mondo per la libertà di stampa, secondo la classifica di “reporter senza frontiere”, preceduto da molte nazioni non famose per le loro democrazie, la verità va detta con moderazione. Pardon, con continenza. Soprattutto quando si vanno a toccare aziende, gruppi e persone con le spalle più larghe delle vostre.  Come Millevigne contro Espresso- Repubblica: una pulce contro un carro armato.

“La straordinaria solidarietà che mi è arrivata da gran parte del mondo del vino, in particolare dai vignaioli italiani, mi ha convinto a presentare ricorso in appello. Da loro, e da voi, è arrivata anche la spinta ad aprire, superando il mio naturale imbarazzo, una sottoscrizione pubblica per finanziare le spese di questo ricorso, che né io, né l’editore di Millevigne siamo in grado di sostenere.”  Maurizio Gily

  • A questo LINK  c’è la sottoscrizione pubblica su buona causa.org e una serie di informazioni.

Ecco la  CRONISTORIA dei fatti:

1. L’avvocato di Paolo Tessadri mi mandò, a settembre del 2011, una diffida a rimuovere dal web il mio articolo “spazzatura via espresso” chiedendomi nel contempo 50.000 euro di danni per aver leso l’onore del suo assistito (che se ne era accorto quindi tre anni dopo). La mia risposta fu quella che avrei rimosso l’articolo dal web, e così feci, come gesto conciliatorio e in ragione del tempo trascorso, ma non rinnegando nulla di quanto avevo scritto e ovviamente precisando che non avrei pagato un centesimo. E pensavo, onestamente, che la cosa finisse lì.

2. Dopo una seconda diffida offrii a Tessadri l’opportunità di replicare su Millevigne al mio articolo, precisando che la sua replica sarebbe stata pubblicata senza commenti. Sono infatti convinto che questo sia il modo giusto con il quale un giornalista deve difendere il suo onore qualora lo ritenga leso. In verità io penso che quando un giornalista pubblica notizie che non sono né vere, né verosimili, come in questo caso,  l’onore se lo leda da solo, ma tant’é. Altra possibilità sarebbe stata quella di un incontro conciliatorio presso l’ordine, ma neppure questa fu presa in considerazione.

3. Tessadri non aderì alla mia proposta e avviò la causa civile, abbassando la sua richiesta a 25.000 euro. Il mio avvocato mi spiegò poi che tale scelta fu probabilmente motivata da una banale questione di scaglione nel costo dei bolli … la difesa di Tessadri si era forse resa conto dell’entità surreale della prima richiesta.

4. Il foro competente di Rovereto, anziché quello di Alba, dove ha sede Millevigne, dipende dal fatto che la difesa di Tessadri  non fa riferimento alla rivista, ma al web, sulla base di una sentenza di Cassazione che stabilisce che in caso di diffamazione a mezzo web il foro competente è quello della residenza del danneggiato. La mia difesa non ebbe appigli da opporre al riguardo. Da notare che il sito di Millevigne nel 2008 lo vedevano i classici quattro gatti (abbiamo anche prodotto una perizia che lo dimostra, poche decine di contatti per articolo al massimo), mentre la rivista era, allora, un tabloid a diffusione gratuita in oltre 10.000 copie, ma “attaccarsi al web” consentì a Tessadri di ottenere il processo giocando in casa.

5.  Dopo questa sentenza Tessadri potrebbe segnalarmi all’ordine, il quale potrebbe a sua volta sanzionarmi e sospendermi per violazione deontologica. Non so se lo farà ma per quel che lo conosco lo ritengo probabile.

 




Il Grignolino, un vino rosso garbato

Non conoscevo il Grignolino, intendo bene, come piace a me, sul ‘campo’. Non mi ritengo un’esperta, come dico spesso sono solo una donna che ama il vino e che vuole conoscerlo attraverso tutti gli elementi che lo compongono.

Il vino per me è l’espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno, al territorio e al clima, quindi mi chiedo – come è possibile dare un giudizio completo senza conoscere ciascun elemento che contribuisce a determinare le sue caratteristiche? – Certo, con l’assaggio è possibile coglierne i difetti o i pregi, ma la cosa si ferma li.  

Proprio per questo, pochi giorni fa, quando un amico mi ha chiesto cosa pensassi di un vino, mi è venuto spontaneo rispondergli… – sai, posso dirti che mi piace o non mi piace, ma un vino, finché non l’ho conosciuto nella sua pienezza, mi passa solo a metà. E’ come conoscere una persona leggendo di lei, ma senza averla incontrata… non si avrà mai la percezione di ciò che è veramente

Ho fatto questa premessa per farvi capire come ‘amo vivere il vino’, ma soprattutto per farvi capire l’entusiasmo con cui ho colto l’invito di Maurizio Gily e Monica Pisciella per il #grignolinodigitour. Detto questo, pronti via… si parte!

Quando inizio un viaggio, breve o lungo che sia, entro quasi in un’altra dimensione, giuro, non sto scherzando! Entro come in simbiosi con le terre che visito.

Ora sto pensando che… ma quanto sono belli i paesaggi vitivinicoli! In questa stagione poi, con le tante sfumature dei colori che variano dal verde al giallo e al rosso… una vera meraviglia!

Lo sapevate che i paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e Monferrato sono candidati a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco? Ebbene si, e con merito!

Il #GrignolinoDigiTour si è svolto Domenica 17 Novembre.

Insieme agli amici dell’Officina Enoica siamo partiti da Milano puntando in direzione della Rocca di Rosignano Monferrato, una balconata che vi consiglio di visitare per la sua vista mozzafiato.

Ad aspettarci Maurizio Gily, che, subito dopo i saluti di rito, si è accertato sull’altezza dei miei tacchi; l’ultima volta che ci siamo visti a Gavi ne avevo un paio stratosferici, errore che stavolta non ho ripetuto. 😉

Una passeggiata a piedi per conoscere un territorio è il modo migliore per viverlo. E’ così che è iniziato il nostro tour nella terra del Grignolino: un percorso tra i ‘i bric e foss’, le dolci colline del Monferrato Casalese.

Di tanto in tanto perdevo di vista il gruppo a causa delle mie continue soste per fotografare ogni angolo che colpiva il mio sguardo.

La vista sui vigneti, gli scorci caratteristici dalle belle case in pietra da Cantoni, la pietra arenaria tipica di questi luoghi, fino al belvedere, o meglio, ‘An sal Sass’, il sasso su cui si erge il nucleo originario del paese.

Arrivati in comune abbiamo trovato ad aspettarci i gentili rappresentanti delle amministrazioni di Rosignano Monferrato, Cella Monte e San Giorgio. Oltre a darci il benvenuto ci hanno esposto il loro progetto per la promozione del territorio rivolto in particolar  modo ai comunicatori digitali.

Non potevano mancare un caffè e i famosi Krumiri Portinaro, una tipicità del Monferrato che risale al 1878, anno in cui morì Vittorio Emanuele II. A lui sono stati dedicati ispirandosi alla forma tipica dei suoi ‘baffi a manubrio’.

La tappa successiva è stata la visita all’Ecomuseo e al suo infernot situati a Cella Monte, comune caratteristico per le costruzioni a vista in pietra da Cantoni.

Indovinate li chi ho incontrato? Una donna col cappello, o meglio, una bella ‘Monferrina’! Questo nome ha origine da un’antica ballata del Monferrato la cui nascita sembra risalire alla storia di una giovane piemontese, Maria Catlina, corteggiata dal suo innamorato con questa danza.

Gli infernot sono nicchie sotterranee scavate nella pietra da Cantoni. Situati sotto le abitazioni private, sono senza luce ne aerazione diretta, con clima e umidità costanti. Ambienti, che nella storia della viticoltura locale, hanno trovato luogo ideale per la conservazione del vino.

Un’architettura sotterranea nata dalla sapienza contadina, che ne ha fatto oggi un’espressione della tradizione rurale di questo territorio.

Arrivata l’ora di pranzo abbiamo fatto tappa al ‘Relais I Castagnoni, una dimora d’epoca del 1742, un tempo convento religioso. Qui abbiamo degustato i piatti tipici della tradizione monferrina a base di tartufo bianco.

Maurizio Gily, dopo una degustazione alla cieca tra dodici assaggi di Grignolino, ci ha raccontato la storia e le caratteristiche di questo vino tipico del Monferrato Casalese, un vino ancora ai più poco conosciuto.

L’incontro e l’ascolto dei produttori, poi, ha completato il quadro. Con loro ho avuto modo di approfondire, di degustare, e di capire meglio questo vino come è giusto che sia.

Il Grignolino, un vino dal colore rubino chiaro, come più volte sottolineato da Maurizio, non un vino rosato ma un vino rosso vinificato con macerazione sulle bucce. Un vino molto sensibile al territorio d’origine da cui acquisisce i caratteri peculiari.

Definito da Luigi Veronelli come anarchico e testa balorda, per la personalità indipendente e quasi ribelle, da Mario Soldati, come il più delicato tra tutti i vini piemontesi.

Lo sto bevendo ora, mentre scrivo, dopo averlo conosciuto nel luogo in cui nasce, dopo aver parlato con chi lo produce. Non amo ricamare troppo sui vini, per questo motivo lo descriverò con poche parole: ‘Il Grignolino, un vino rosso garbato’.

Bisogna andare dal vino senza aspettare che sia il vino a venire da noi” 

Filiberto Lodi – Giornalista

L’etimologia del termine Grignolino sembra risalire al termine medievale ‘berbexinus’, un vino di uve berbexine considerato pregiato. (fonte Maurizio Gily)

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